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La forza nascosta L’Argentina era un alievo modello del FMI. Ed ancora ne sta pagando le conseguenze. Economia, lavoro e assistenza sociale in America
Misure di sicurezza nazionali e continentali in previsione di presunti attacchi terroristici dopo l’undici settembre. I tentativi del presidente Bush di sponsorizzare gli Stati Uniti  sono condannati. Gli attivisti protestano contro un fiume di parole…i fatti non si vedono.
Il Fondo monetario internazionale ha già avuto la sua occasione e ha fallito. L’Argentina non dovrebbe chiedere prestiti ma risarcimenti. Da Buenos Aires, il reportage di Naomi Klein Both Bin Laden and US cold war nostalgics pine for epic narratives Democratic rights are a high price to pay for western free trade
Il problema dell'America non è il suo marchio - che non potrebbe essere più forte - ma il suo prodotto. Messaggi pubblicitari distorcono la realtà The best-selling Canadian author of No Logo, the international anti-corporate activists' guide, begins her fortnightly column for the Guardian today.

La forza nascosta

Il nocciolo del World Social Forum non è stato negli eventi ufficiali, ma nelle cuciture. Come la sera della radiocronaca da New York.
Il primo giorno del World Social Forum (Wsf) di, in Brasile, nei corridoi si parlava solo delle defezioni dal nord. Molti delegati stavano lasciando il World Economic Forum (Wef) di New York per venire a Porto Alegre: un primo ministro europeo, alcuni dirigenti della Banca mondiale, perfino dei manager di grandi aziende. Alcuni non si sono mai visti, altri sì. Ed è cominciato il dibattito su che cosa potesse significare tutto questo.

Era la prova della nuova forza del Forum (che ha richiamato più di 60mila persone) o un segnale di pericolo? Il Wsf è stato creato nel 2001 in alternativa alla riunione annuale dei massimi dirigenti delle più grandi aziende del mondo, dei leader e degli opinion-maker mondiali. Di solito la riunione si svolge a Davos, in Svizzera, ma quest'anno si è svolta a New York. Con l'arrivo di tutti questi pezzi grossi, il forum di Porto Alegre ha rischiato però di trasformarsi da una chiara alternativa in un circo caotico: gruppi di fotografi a caccia di politici, analisti di mercato che nelle hall degli alberghi cercavano opportunità di "dialogo", studenti che tiravano una torta alla crema a un ministro francese.

C'è stata grosso modo la stessa confusione anche a New York: ong che agivano come multinazionali, multinazionali che si presentavano con un look da ong, e quasi tutti che affermavano di essere lì come un cavallo di Troia. I toni, se non i tempi, sono certamente cambiati. Eravamo abituati a vedere nel World Economic Forum un appuntamento dove i ricchi potevano esibire orgogliosi la loro ricchezza e l'élite mondiale dare prova del suo sprezzante elitismo. Ma nel giro di tre anni Davos si è trasformato da festival dell'impudenza in una parata annuale della mortificazione pubblica, un austero salotto del sadomasochismo capitalista. Oggi, anziché vantarsi del loro successo, gli ultraricchi fanno a gara autoflagellandosi su come la loro avidità sia insostenibile e come i poveri insorgeranno e li divoreranno se non cambierà il loro modo di fare.

Quest'anno, quando la conferenza è scesa dal suo piedistallo alpino per atterrare tra le macerie e tra la folla di New York, i maltrattamenti hanno raggiunto un picco più alto della stessa Davos. "La verità è che il potere e la ricchezza di questo mondo sono distribuiti in modo molto, molto diseguale e che troppe persone sono condannate a vivere in condizioni di estrema povertà e degrado", ha detto il segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan. "Molti hanno l'impressione che la colpa di tutto sia… delle persone che partecipano a questa riunione". Queste autoflagellazioni pubbliche, dagli interventi di New York alle udienze sul caso Enron, sono il segnale di un reale progresso? Per riprendere una domanda rivolta spesso e volentieri a quanti di noi erano a Porto Alegre: quali alternative propongono? Hanno delle idee chiare su come distribuire meglio la ricchezza? Hanno dei piani concreti per mettere fine al flagello dell'Aids o per rallentare il cambiamento climatico? No, purtroppo.

Bilancio partecipativo
Non c'è da sorprendersi che molti giovani siano giunti alla conclusione che il problema non sono le singole scelte politiche o i singoli uomini politici, ma il sistema stesso del potere centralizzato. Per questo motivo gran parte del fascino del Wsf sta nel fatto che la città che lo ospita, Porto Alegre, rappresenta una possibile sfida a queste tendenze. La città fa parte di un crescente movimento politico che in Brasile sta delegando il potere ai cittadini nelle città anziché accumularlo a livello nazionale e internazionale. L'artefice di questo decentramento è il Partito dei lavoratori (Pt), oggi al potere in duecento comuni e con il suo leader in testa nei sondaggi.

A Porto Alegre questo decentramento del potere - il "bilancio partecipativo" - ha prodotto risultati che sono l'esatto opposto delle tendenze economiche globali. Per esempio, anziché ridurre i servizi pubblici per i poveri, la città li ha potenziati molto. E anziché il cinismo e l'astensionismo, anno dopo anno cresce la partecipazione democratica. Il bilancio partecipativo è tutt'altro che perfetto ed è stata solo una delle "alternative viventi" in mostra al Wsf. Tuttavia fa parte di un modello di rifiuto di quella che il politologo portoghese Boaventura dos Santos chiama "democrazia a bassa intensità" a favore di democrazie a più forte impatto: dai giornalisti indipendenti che creano nuovi mezzi di comunicazione partecipativi ai senzaterra che in tutto il Brasile occupano e coltivano i terreni inutilizzati. Molti restano indifferenti, ancora in attesa di una nuova ideologia calata dall'alto che indichi la via da seguire. Un giornalista presente al forum mi ha detto che tutta quest'attenzione concentrata sul potere locale significa "una ritirata maoista nelle campagne". In realtà gli appuntamenti di New York e di Porto Alegre hanno segnato un momento davvero globale per il movimento. L'ho capito una sera sul tardi, nel campeggio di Porto Alegre. Un migliaio di giovani si era raccolto davanti a un altoparlante che trasmetteva dal vivo la cronaca delle manifestazioni di New York. La cronaca era di una giornalista di Indy Media. Aveva un telefono cellulare e stava in mezzo alla folla. La sua voce, trasmessa via internet, era raccolta da una ministazione radiofonica creata nel campo. Qui le sue parole erano tradotte in portoghese e poi trasmesse. A un certo punto il server negli Stati Uniti è andato giù ed è stato immediatamente sostituito da un server in Italia.

Il nocciolo del World Social Forum non è stato negli eventi ufficiali. È stato in momenti estemporanei come quando il mio amico italiano Luca Casarini ha cercato di sintetizzare il senso di Porto Alegre mentre eravamo a cena. "Si tratta di… come si dice in inglese?… questo", ha detto. E usando l'esperanto degli attivisti del forum, fatto di seconde lingue storpiate e di gesti con le mani, ha tirato la manica della sua maglietta e mi ha mostrato la cucitura.

Giusto, le cuciture. Forse il cambiamento non riguarda affatto ciò che si dice e si fa nei centri sociali: riguarda le cuciture, gli spazi intermedi, con la loro forza nascosta. Gran parte dei discorsi che si sono fatti a Porto Alegre vertevano sulla vicina Buenos Aires, dove secondo alcuni è già in corso una rivolta a partire dalle cuciture. I manifestanti non chiedono un cambiamento del corpo politico, ma hanno adottato uno slogan generico: "Sbarazziamoci di tutti". Sono arrivati alla conclusione che non basta rovesciare un partito politico e sostituirlo con un altro. Stanno tentando una cosa molto più difficile: far cadere un'ortodossia economica così potente da poter resistere perfino alle frustate e ai calci che le infliggono dal centro i suoi più forti sostenitori.

La domanda è: può reggere a un attacco a partire dalle cuciture?

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