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Haiti e sporchi affari di Paperon de Paperoni:

E brava Walt Disney! Topolino difensore della giustizia e della legalità, Pippo e Paperino protettori degli spiriti liberi,Qui Quo Qua, in compagnia del Re Leone, attenti alle tematiche ambientali, Pocahontas, la Bestia e il gobbo di Notre Dame a sottolineare la nuova attenzione per i popoli diversi e i diversi in genere... Brava Disney, entrata nel mirino dei "benpensanti" quando ha deciso di pagare gli assegni famigliari a tutti i dipendenti che vivono in coppia, compresi i conviventi e gli omosessuali. Tutto all'insegna della non discriminazione. Peccato che a 5.500 chilometri di distanza dai suoi begli uffici californiani, migliaia di giovani lavoratrici, poco più che quindicenni, lavorinoalla confezione di abbigliamento a marchio Walt Disney per uno stipendio di circa 27 centesimi (430 lire) l'ora.
Haiti. Lo scenario degli impianti, vere e proprie baracche, due soli bagni per qualche centinaia di operaie, offre un contrasto stridente con il candore delle felpe di Pocahontas. Il lavoro va avanti nel rumore più assordante, 8-10 ore al giorno. Si lavora in piedi. Se proprio lo vogliono, le operaie possono portarsi un cuscino da casa. E' proibito parlare così come andare in bagno più di due volte al giorno. D'altronde il ritmo produttivo è così incalzante da lasciare poco più di 10 minuti per la pausa pranzo. Tra le fila delle operaie, i guardiani, con continui urli, percosse e molestie, fanno la loro parte perché la produzione vada avanti. "Ci trattano come animali!" E' questa la protesta delle lavoratrici.Chiunque provi ad organizzare qualsiasi forma di protesta, viene immediatamente licenziata. Non c'è tutela sanitaria e se un'operaia si ammala, non ha diritto a nessuna retribuzione. Di più. Ad Haiti non è legale licenziare le donne incinte, ma i padroni hanno trovato comunque un sistema per evitare il costo della maternità: trasferiscono le donne incinte a lavori ancora più pesanti e malsani finché, poco tempo dopo, è l'operaia stessa a decidere di abbandonareil lavoro. Maltrattamenti, percosse e violenze in cambio di 3.440 lire al giorno. Si calcola che per guadagnare la cifra che l'amministratoredelegato della Disney guadagna in un ora, un'operaia haitianadovrebbe lavorare 101 anni, per 10 ore tutti i giorni!
Agli stabilimenti di Haiti, una tuta di Pocahontas arriva in 11 pezzi. In 13 fasi - cucire i polsini, le etichette, gli orli, ecc... - si arriva al prodotto finito. In 8 ore un'operaia confeziona 50 felpe. Una produzione per un valore pari a 584 dollari (circa 940.000 lire), pagata 2 dollari e 22 centesimi (circa 3.500 lire).Come dire che ad un'operaia occorre 1 settimana e ½ di lavoro per potersi comperare la stessa maglia che produce in meno di 10 minuti.
Il divario fra valore prodotto e salari percepiti avrebbe contorni meno scandalosi se le operaie guadagnassero almeno quanto basta per una vita dignitosa. Il guaio ad Haiti è che i salari sono da Terzo Mondo mentre il costo della vita è da Primo. Lo stipendio di una giornata basta a malapena per consentire alle operaie di mantenersi in vita e di prendere l'autobus per recarsi al lavoro. La conclusione è che per far fronte alle spese del resto della famiglia, esse si indebitano, ma così facendo si impoveriscono sempre di più, perché le condizioni degli usurai sono pesantissime. E' così da sempre. QuandoAristide, eletto dalla popolazione haitiana dopo anni di dittatura, alzò il salario minimo legale, cercando comunque un compromesso con quanti ritenevano che un salario troppo alto avrebbe scoraggiato gli investimenti esteri, per tutta risposta le ditte che gestiscono in subappalto la produzione W.Disney alzarono la quota produzione giornaliera delle loro operaie.
Non è solo per l'economicità del lavoro che molte ditte statunitensi hanno trasferito alcune fasi produttive in paesi stranieri come Haiti. Parte del merito va alla politica neoliberista del governo Reagan. Da parte loro, i governi dei paesi dell'America Centrale per attirare gli investimenti esteri hanno creato delle Zone Economiche Speciali, che garantiscono esenzioni doganali, libertà di esportare i profitti senza essere tassati e, naturalmente, leggi antisindacali. In conclusione, si calcola che di tutto l'abbigliamento prodotto negli Stati Uniti, più della metà è prodotta in condizioni analoghe a quelle haitiane.
Intanto, negli USA è iniziata una campagna nei confronti della Disney. Ad organizzarla è la National Labor Committee (NLC), che si occupa di tutela dei diritti delle popolazioni del Sud del mondo. E' stato Charles Kernaghan, direttore dell'organizzazione,durante un viaggio ad Haiti a rilevare le condizioni delle lavoratrici e a sollevare il caso denunciando pubblicamente il comportamento irresponsabile della Disney. La campagna mira a far accettare ispezioni negli stabilimenti dove si produce per la Disney condotteda organismi indipendenti, che possano parlare liberamente con le lavoratrici per verificare le condizioni reali in cui lavorano, senza che queste debbano temere ritorsioni. Charles Kernaghan precisa di non volere assolutamente il ritiro della Disney da Haiti perché qui c'è bisogno di lavoro, ma chiede che la retribuzione venga portata a 920 lire l'ora (anzichéle 485 attuali). Per le lavoratrici resterebbe un salario basso, ma consentirebbe almeno di far fronte ai bisogni di base.
Per ora la Disney nega ogni addebito, sbandierando il "codicedi condotta" che la società si è data e che le impedisce di utilizzare lavoro minorile o sottopagato. Le cose sono complicate ulteriormente dal fatto che non è direttamentela Disney a gestire gli stabilimenti haitiani. La produzione tessile è subappaltata a due società statunitensi, la H.H.Cutlere la L.V.Myles, che a loro volta si appoggiano a 4 ditte che lavorano in Haiti. Un sistema di scatole cinesi che facilita il gioco di rimpallo delle responsabilità. Se la Disney afferma di non aver riscontrato irregolarità durante le ispezioni, le società che gestiscono l'appalto si trincerano dietro le regole del mercato: Haiti può offrire solo manodopera a basso costo; alzare gli stipendi significa perdere competitività e conseguentemente lavoro. In realtà, se anche la Disney e le ditte subappaltatrici non intendessero rinunciare a nessun punto percentuale dei loro profitti e spostassero tutto il peso degli aumenti salariali sulle spalle dei consumatori, questi si troverebbero a dover pagare un prezzo più alto di appena 1.000 lire. Una cifra così bassa da non minacciare il volume di vendite.
In questa ennesima battaglia tra diritti dei lavoratori e leggi del mercato, la parola passa direttamente ai consumatori. La forza della Disney, così come di molte altre multinazionali, sta nella propria immagine. La sua debolezza nella consapevolezza di non poter difendere in nessun modo davanti ai suoi clienti salari così da fame e condizioni di lavoro così inique. Per questo, nel tentativo di parare il colpo, e pur di non cedere di fronte alla richiesta di ispezione nei suoi stabilimenti,la Disney si è impegnata a far aumentare la paga delle lavoratrici fino a 550 lire l'ora. Tocca ai consumatori giudicare se il comportamento della Disney è congruo con la sua immagine di portatrice di valori familiari, e quindi agire di conseguenza.
FONTE: I CARE - MARZO 1997

BIRMANIA:
Intanto, la Walt Disney resta nell'occhio del ciclone anche per un'altra triste vicenda: la confezione delle felpe di Topolino in Birmania. Qui le condizioni dei lavoratori sono ancora peggiori che in Haiti. Sei centesimi di paga oraria per un monte ore settimanale superiore alle sessanta. Meno di 300.000 lire all'anno in un Paese dove la dittatura militare impone i lavori forzati, reprime brutalmente qualsiasi rivendicazione sindacale, dove non si contano i casi di sparizioni e massacri. Quella stessa dittatura militare che,oltre ad imporre una tassa del 5% su ogni esportazione, èdiretta proprietaria del 45% degli stabilimenti Yangon nei quali vengono prodotte le felpe. Nonostante l'amministrazione Clinton abbia condannato la dittatura e posto la Birmania nella lista dei Paesi fuorilegge (per altro è da qui che arriva la metà dell'eroina consumata negli U.S.A.), nel '95 l'industri tessile statunitense ha importato prodotti "Made in Myanmar" per un totale di 65 milioni di dollari.

HAITI: 150 LICENZIATI DALLA DISNEY
Un recente rapporto della "Disney/Haiti Justice Campaign" ha rivelato che più di 150 lavoratori tessili ad Haiti erano stati licenziati dalla ditta L.V.Myles, che produce per conto della Disney, allo scopo di reprimere la protesta dei lavoratori. Numerosi attivisti avevano scritto alla L.V.Myles a New York o alla Disney in California per denunciare questa ingiustizia.
Chuck Champlin, Direttore delle Comunicazioni per i prodotti Disney, ha parlato recentemente con attivisti dei diritti sindacali affermando di avere avuto un colloquio con Yannick Ettienne di "Batay Ouvriye", la quale "non aveva accennato a questi lavoratori licenziati".
Ettienne comunque disse a "Champaign for Labor Rights" che non aveva fatto cenno ai 150 lavoratori perché il signor Champlin non glielo aveva chiesto. Ettienne ha confermato che più di 150 lavoratori sono stati licenziati prima che una squadra di monitoraggio interno della Disney visitasse lo stabilimento della L.V.Myles. Ettienne ha affermato di aver informato il signor Champlin che "Batay Ouvriye" avrebbe cercato di ottenere i nomi dei lavoratori licenziati ma che sarebbe stato più facile farlo tramite la Disney. Nei contatti con i lavoratori, "Batay Ouvriye" non chiede ai lavoratori il cognome e i lavoratori si conoscono l'uno con l'altro solo per nome. Essi scoprono quando uno dei loro compagni è stato licenziato solo quando qualcun altro prende il suo posto. Il processo di licenziamento è molto veloce: i lavoratori non ritornano in fabbrica a dire ai compagni che sono stati licenziati. La maggior parte delle volte essi ritornano direttamente in campagna. Improvvisamente i lavoratori conosciuti da "Batay Ouvriye" non si trovano più in fabbrica e non si possono rintracciare facilmente.
La Disney potrebbe facilmente scoprire quali lavoratori sono stati licenziati e perché semplicemente chiedendolo alla L.V.Myles. Il Codice di Condotta della Disney, che secondo Champlin è ora disponibile in francese, stabilisce che la Disney avrà accesso a "libri e registrazioni relative a questioni dei lavoratori" di tutte le ditte che lavorano per lei. Il Codice di Condotta richiede anche che "le manifatture rispetteranno il diritto dei lavoratori ad associarsi, organizzarsi e negoziare collettivamente". Esso non menziona il salario minimo ma afferma che la Disney si aspetta che le fabbriche "riconoscano che i salari sono essenziali per soddisfare i bisogni di base dei lavoratori".

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