Hacktivism. La libertà nelle maglie della rete
di A. Di Corinto e T.Tozzi |
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2.2.1.La
Privacy tra Stato e Mercato |
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La domanda
è ovviamente retorica, e questo non solo per la capacità «genetica»
delle memorie informatiche di registrare immense quantità di dati
nell’universale formato del bit e di trasferirle e scambiarle attraverso
le reti di comunicazione, ma perché introducono dei cambiamenti qualitativi
e quantitativi nella natura stessa della sorveglianza.
Surveillance,
Social Control, New Technologies La Sorveglianza
si riferisce al monitoraggio o alla supervisione di gruppi di individui
per ragioni specifiche. Il concetto, per come lo intendiamo oggi,
ha la sua origine nell’organizzazione burocratica degli stati moderni.
La Sorveglianza è l’elemento sempre presente in ogni gruppo organizzato
come elemento di regolazione dei rapporti sociali. Il controllo
sociale si riferisce alle modalità attraverso cui differenti componenti
di un dato gruppo limitano o influenzano le scelte e le interazioni
degli altri membri. Il controllo sociale può essere esogeno (esterno),
endogeno (dall’interno), o autogeno (autodiretto), in relazione alla
fonte da cui origina. Il controllo sociale è basato sulla comunicazione
efficace fra i membri del gruppo, e poiché la comunicazione face to
face non consente di gestire le esigenze organizzative di gruppi sempre
più ampi e dispersi geograficamente, mezzi e tecniche di comunicazione
sono di primaria importanza per raggiungere questo obiettivo. Oggi questi
mezzi sono rappresentati dalle nuove tecnologie dell’ICT che si basano
sulla microlettronica. In sintesi,
si tratta di strumenti e tecniche che consentono la raccolta, l’immagazzinamento
e la ricerca dei dati attraverso infrastrutture di comunicazione come
Internet, che connettono le persone fra di loro, le macchine con le
macchine e le persone con le macchine. L’invadenza
delle tecnologie microelettroniche utilizzate a fini di controllo
sociale (monitoraggio e sorveglianza, prevenzione e repressione dei
comportamenti devianti) ha trasformato la questione della privacy
in una questione di libertà.
La privacy
del mercato Big Brother
isn’t watching, Big Brother is selling (Winston Smith)
Il rispetto
della privacy è stato spesso invocato come il «diritto ad essere lasciati
in pace», all’interno della propria sfera privata, quella domestica
innanzitutto, riesumando una vecchia definizione del 1928, attribuita
a Louis Brandeis. Questa definizione ignora però la minaccia che la
perdita della privacy rappresenta in termini di limitazione della
dignità personale e della propria autonomia di scelta quando è il
nostro essere sociale, e cioè il ruolo sociale e l’agire pubblico,
a cadere sotto l’osservazione di un «occhio indiscreto». Quando ciò
accade, il caso è usualmente considerato «eccezionale», fuori dell’ordinario,
e non è infrequente trovare chi invoca la legge a tutela della propria
sicurezza e dei propri interessi immediati. Ma non sembra
sufficiente impostare il problema in questi termini. Sulla scia della
riflessione di Lyon, è utile riflettere sul significato che la violazione
della privacy assume in termini di filosofia della sorveglianza per
capire come essa venga applicata al monitoraggio di una specifica
popolazione di individui al fine di controllarne e guidarne i comportamenti.
E l’esempio
per eccellenza è il controllo dei comportamenti di consumo.
La Perdita
della Privacy La perdita
e la «confisca» della privacy appartengono storicamente al regime
di ogni istituzione totale, dove assumono il valore esplicito del
controllo sulla altrui esistenza. Filosofi,
economisti e uomini di stato, hanno pontificato sulle qualità implicite
del dominio della privacy degli «altri» per conseguire obiettivi validi
per il funzionamento della società come macchina organizzativa globale. Applicata
alle tradizionali sfere della devianza, criminale e non, al luogo
di lavoro nella sua dimensione di potenziale motore del conflitto
di classe, utilizzata dal mercato per omogeneizzare e guidare i comportamenti
di consumo, la filosofia del controllo basata sulla raccolta di informazioni
personali e quindi sulla categorizzazione degli individui, è uno strumento
di potere che stabilisce le modalità del comportamento corretto classificando
di volta in volta gli individui come buoni o cattivi lavoratori, consumatori,
vicini di casa. Questo obiettivo si rivela anche quando il controllo,
quello dello Stato, si presenta come riequilibrio della partecipazione
al benessere comunitario, dove il controllo opera come meccanismo
di inclusione ed esclusione sociale rispetto al godimento dei diritti
di cittadinanza.
Da dove origina
questa filosofia? Nella concettualizzazione
benthamiana del Panopticon la trasparenza del soggetto «sotto osservazione»
ne garantisce il rispetto verso un sistema di regole basato sulla
proiezione individuale del timore della punizione conseguente alla
loro infrazione. Nella teorizzazione di Weber 18,
invece, il controllo e la pianificazione dei comportamenti sono considerati
il prerequisito di ogni organizzazione votata all’efficienza, costituendo
la base teorica dell’intuizione fordista per cui è attraverso l’organizzazione
scientifica dei ritmi e delle funzioni del lavoro che si ottimizza
la produzione e si aumentano i profitti. Michel Foucault 19
ci ha spiegato invece quale sia il ruolo della sorveglianza nell’induzione
al conformismo preventivo e all’autodisciplina, descrivendo le dinamiche
del controllo negli orfanotrofi e nell’esercito come nella fabbrica
e nelle prigioni, nella sua famosa teorizzazione della «disciplina
del corpo docile». Per Foucault la filosofia del controllo è il paradigma
attraverso cui vengono elaborati i codici e i concetti attraverso
cui ogni società definisce se stessa mediante il principio dell’esclusione.
L’evoluzione
della sorveglianza Il sistema
del controllo che oggi si dipana è tuttavia qualitativamente e quantitativamente
differente da quelle elaborazioni, anche se le contiene tutte insieme.
L’evoluzione delle forme «tradizionali» di controllo, nonchè della
teoria che le origina, non è più riducibile al solo universo della
devianza e dell’organizzazione del lavoro e della macchina-stato,
ma si afferma come fattore di controllo del mercato e con esso si
mescola. La sorveglianza
dei consumi, che non disdegna l’uso illegittimo di dati e informazioni
raccolte attraverso le istituzioni dello stato, si presenta oggi come
obiettivo generale di una società già disciplinata, dove la partecipazione
sociale e quindi il godimento dei diritti di cittadinanza si identificano
con la partecipazione ai meccanismi del consumo piuttosto che con
un codice universalistico eticamente fondato su inalienabili principi
umani di libertà e dignità. La sorveglianza
del mercato si presenta come parte di un disegno organizzativo, la
cui efficacia è legata al «comando» sulle qualità del potenziale consumatore
e si basa sulla precisa conoscenza dei suoi comportamenti di consumo
e della sua capacità di spesa. Per conseguire
tale scopo, il mercato non solo viola la tradizionale sacralità della
soglia domestica con la posta personalizzata o con le indagini telefoniche,
ma interviene nel modellare i comportamenti sociali tout court, laddove
pianifica con l’aiuto della statistica geodemografica l’offerta di
merci su segmenti di consumo individuati attraverso la conoscenza
delle caratteristiche generali dei consumatori come l’età, la professione,
la residenza, la composizione familiare, il genere. Questa strategia
si avvale di modernissimi mezzi di monitoraggio dei comportamenti
sociali, che nell’era digitale coincidono con gli strumenti elettronici
in grado di mantenere «traccia» dei comportamenti quotidiani: dalle
videocamere nel supermercato fino alla posta elettronica via Internet.
Lo scopo è la precisa rilevazione dei comportamenti di consumo e la
loro guida. La metodologia
di sorveglianza utilizzata dal mercato trova il suo complemento nella
pianificazione capillare dei meccanismi di domanda e offerta ritagliati
sulla conoscenza di attitudini, gusti e preferenze dei consumatori. Che cosa c’entra
tutto questo con la privacy? Nei fatti,
in termini di «management sociale» le informazioni ottenute da collezioni
geodemografiche e dalla analisi statistica dei dati personali di una
certa popolazione consentono la creazione di modelli inferenziali
di decision making e di social judgement dei soggetti sotto esame
per adattare la domanda all’offerta e in tal modo guidare le scelte
degli individui, utilizzando la conoscenza dei fattori psicologici
che sono alla base dell’agire sociale. In tal modo,
utilizzando i dati registrati sui sistemi elettronici attraverso cui
viene svolta ormai la grande maggioranza delle transazioni commerciali
(e che forniscono oltre ai dati anagrafici le informazioni circa l’area
geografica di residenza, gli orari e gli strumenti di interazione),
gli ingegneri del marketing sociale ricostruiscono i profili degli
utenti. Questi profili vengono infine usati per mettere a punto campagne
di marketing strategico, dove si parte dallo shampoo per conquistare
l’adesione al partito. Lo scopo non
è quello di esercitare una coercizione sui cittadini quanto quello
di sedurre i consumatori. Se consideriamo
che le stesse scienze sociali descrivono la corrispondenza tra l’essere
e il fare dei cittadini-consumatori, i nuovi mercanti di dati sono
interessati a sfruttare pattern di comportamento per indirizzare i
consumi secondo modelli di acquisto che, per l’elevata corrispondenza
che in certe società hanno con l’ordine sociale e l’immaginario, costituiscono
un ambito di controllo assai rilevante per chi vuole mantenere lo
status quo. Così, mentre
i dati personali relativi all’identità burocratica sono più facilmente
reperibili attraverso servizi di credito o sistemi demografici ed
attuariali, i dati sui comportamenti di consumo ottenibili attraverso
i questionari commerciali, la carta degli sconti del supermercato,
le smart-cards dell’autostrada e i PoS (Point of Sale), sono molto
più interessanti per gli ingegneri del mercato. Al mercato
interessano profili di consumo basati sui comportamenti, mentre l’attribuzione
univoca dell’identità a un determinato comportamento ha più a che
fare con le attività di polizia che col mercato. Tuttavia, seppure
il mercato non ha bisogno di sapere come ci chiamiamo ma come agiamo
da consumatori, vuole sapere cosa è che ci piace e «dove» venirci
a cercare per offrirci ciò che siamo più propensi a desiderare. La
ricognizione dei gusti e dell’ubicazione del potenziale consumatore
costituisce la base del marketing personalizzato, utilizzato come
strumento di previsione e orientamento dei consumi.
Vendere sentimenti Dall’intuizione,
vecchia di quarant’anni, del sociologo G.D Wiebe, per cui «è possibile
vendere il sentimento di fratellanza come si vende il sapone» siamo
arrivati ad un controllo assai più subdolo e pervasivo, se pensiamo
che nella società in cui viviamo l’autoidentificazione e l’integrazione
sociale si fondano più sull’illusorio esercizio della libertà di scelta
offerta dal mercato che sulla partecipazione ai diritti di cittadinanza
su base universalistica. Così lasciandosi
sedurre dal richiamo accattivante del consumo si contribuisce, più
o meno direttamente, a mantenere e rafforzare lo status quo di un
ordine sociale basato, appunto, sul consumo. Perché allora
è importante garantire la riservatezza dei propri comportamenti e
non solo dell’identità anagrafica? E come può
questo atteggiamento trasformarsi in opposizione critica al mondo
dei consumi? Probabilmente
l’opposizione migliore a un sistema sociale basato sul consumo è quella
di non consumare. È questo il senso del «Buy Nothing Day», una giornata
di ribellione al mondo dei consumi festeggiata in Nord-America da
molti anni, che consiste nel rifiuto a acquistare alcunché per un
giorno intero con l’obiettivo di dichiarare la propria ribellione
alla mercificazione dell’esistenza e dei rapporti sociali. Un’iniziativa
replicata in altri paesi, come in Italia. Altri auspicano
invece l’attuazione di strategie di «resistenza» che invocano il diritto
a una vita «analogica» e presuppongono il rifiuto di usare strumenti
che conservano traccia dei loro comportamenti e la distruzione di
tutti i dati che li riguardino per affermare la concretezza della
propria esistenza e l’irriducibilità dei propri bisogni contro il
sé digitale rispetto al quale le politiche dello stato e del mercato
vengono organizzate secondo meccanismi di inclusione ed esclusione. Evitare che
vengano creati profili individuali è un fatto di privacy, la quale
non essendo una tecnica o uno status, ma una relazione sociale, riguarda
da una parte l’autonomia di scelta e la dignità personale, dall’altra
«il diritto dell’individuo ad essere lasciato in pace». La minaccia
del mercato alla privacy lede una libertà primordiale: per coloro
che sono integrati nei meccanismi di scambio e di consumo, è la stessa
capacità di scelta ad essere progressivamente annullata, mentre la
minaccia incombe sulla libertà tout court per tutti coloro che auspicano
un diverso ordine sociale, gli stessi per i quali l’esclusione dal
circuito delle merci ha una sola risposta: l’emarginazione sociale
20.
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