Hacktivism. La libertà nelle maglie della rete
di A. Di Corinto e T.Tozzi |
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2.1.3
Mutualismo |
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Alla base
del fare collettivo ci deve essere un principio di mutualismo. Ovvero
nello scambio ogni parte deve ricavare benefici. Le prime associazioni
di mutuo soccorso risalgono al XIX secolo e agli esperimenti delle
Comuni. Nella seconda metà dell’Ottocento sono stati sperimentati
modelli di economie autogestite che proteggevano ogni componente della
comunità. L’attività di ogni componente era tesa a produrre un miglioramento
del gruppo nella sua totalità. Per tale scopo nelle Comuni venivano
condivisi gli strumenti di lavoro, così come le competenze. La scoperta
di uno era un progresso ed un bene per tutti. L’idea di
autogestione e cooperazione tipica dell’area della psichedelia e degli
hippyes degli anni Sessanta evolve nel rapporto che essi instaurano
con l’informatica e la telematica. L’attitudine al Fai da Te (Do It
Yourself) è un esempio di azione individuale all’interno di una rete
collettiva, ed è un principio che guida l’azione di personaggi come
B. Albrecht (che fonda la People Computer Company), T. Leary o McCarthy,
che si incrociano alla Midpeninsula Free University di San Francisco.
È in quel periodo che nascono riviste che si ispirano al principio
della «coevoluzione». È da quest’area di persone che il «personal»
computer sarà visto come un passo verso l’autonomia all’interno del
collettivo. Purtroppo
questi principi, che hanno accompagnato lo sviluppo delle utopie comunitarie
californiane negli anni Sessanta e Settanta, nel tentativo di applicarli
all’uso delle nuove tecnologie informatiche e telematiche, sono stati
traditi dall’ideologia del libero mercato e da una sorta di pensiero
darwinista per il quale il fine ultimo era o il profitto del singolo
o lo sviluppo della tecnologia, anziché la felicità dell’individuo
e delle collettività. Gli imprenditori
del digitale considerano il loro successo un frutto del loro ingegno
e si rifiutano di riconoscere che le loro imprese si sono sviluppate
grazie ai fondi pubblici, al protezionismo dello Stato e alla partecipazione
comunitaria e disinteressata di migliaia di programmatori che sviluppavano
le nuove tecnologie senza fini di lucro. Ogni sviluppo tecnologico
è cumulativo ed è il risultato di un processo storico collettivo.
Dei benefici di questi sviluppi tecnologici dovrebbero in egual misura
goderne tutti, cosa che puntualmente non avviene. C’è una chiara
divergenza di concezione tra coloro che hanno creato la rete attraverso
uno sforzo collaborativo non mirato al profitto e coloro che hanno
realizzato software per scopi di lucro usando gli sforzi di altri
e impedendo di far fare agli altri lo stesso attraverso il copyright.
È l’esempio di Bill Gates che nel 1975 sfrutta le competenze apprese
all’Homebrew Computer Club per realizzare un software Basic su cui
rivendica il copyright, mentre altri dell’Hcc realizzano un’altra
versione del Basic di cui rendono subito pubblico il codice. Se già negli
anni Settanta i collettivi come la People Computer Company, lo Homebrew
Computer Club, o molti altri, hanno tentato di affiancare alle ricerche
e alle sperimentazioni sui nuovi media i principi etici del mutualismo,
è solo negli anni Ottanta che queste esperienze iniziano ad organizzarsi
e ad essere riconoscibili come gruppi di difesa dei diritti digitali.
Una delle
esperienze fondamentali è quella messa in piedi da R. Stallman nel
1983 con la creazione della Free Software Foundation e del progetto
Gnu (Gnùs Not Unix). Gnu è una versione differente del sistema operativo
Unix, distribuita liberamente attraverso la rete. Allo stesso tempo
Gnu è il tentativo di «creare un sistema operativo senza copyright
che la gente possa usare migliorandolo e così facendo stabilire una
comunità mondiale di persone che condivida software». Chiunque può
modificare e diffondere Gnu, mentre nessuno potrà limitarne la distribuzione.
Nella General Public License (Gpl) che regola la distribuzione del
progetto Gnu viene sottolineato che il free software non è software
gratuito, ma software libero, e tale deve rimanere nei suoi scambi
ed evoluzioni. Sarà il progetto
Gnu e l’etica hacker ad ispirare L. Torvalds nel 1991, quando metterà
liberamente in circolazione la prima versione del sistema operativo
Linux da lui realizzato. Identici saranno i principi intorno a cui
una comunità di programmatori in tutto il mondo si riunirà per realizzarne
continue migliorie, permettendone l’utilizzo a chiunque. Questo sistema
operativo sarà modificato, rielaborato e migliorato da migliaia di
utenti della rete in modo analogo a come avveniva anche all’interno
del Nwg. Il risultato è che Linux è oggi il sistema più usato dai
fornitori di accesso ad Internet, che devono in questo modo parte
delle loro fortune allo sforzo cooperativo e non remunerato della
collettività. I centri sociali
autogestiti (Csa) sono tra gli attuali luoghi del fare collettivo
e della difesa dei diritti. Prodotti della politica dei movimenti
degli anni Sessanta, i Csa sono oggi in Italia luoghi in cui si creano
le infrastrutture e si forniscono le competenze per dare a chiunque
la possibilità di partecipare allo scambio dei saperi on-line. È il
caso, ad esempio, del Forte Prenestino a Roma che dal 1999 ha creato
un’infrastruttura telematica dedicata a questo scopo, organizzando
nel frattempo corsi gratuiti per l’apprendimento dell’uso del computer
e delle reti. Come il Forte Prenestino moltissimi altri Csa nel territorio
nazionale ed internazionale forniscono questi servizi gratuiti, fungendo
in certi casi da avanguardia sul territorio, in altri casi sopperendo
ai limiti che le reti civiche e le istituzioni spesso manifestano
in questo settore. È sempre nell’area
dei Csa che in Italia ha preso piede la forma dell’organizzazione
collaborativa on-line di manifestazioni e meeting. È il caso ad esempio
del meeting «Immaginario tecnologico di fine millennio» tenutosi a
Padova nel 1993, a cura della Libreria Calusca, ma preceduto da una
fitta serie di discussioni on-line sulle tematiche del convegno in
alcune reti come la Cybernet e l’Ecn. Una pratica ripetuta per il
convegno «Diritto alla comunicazione nello scenario di fine millennio»,
organizzato da «Strano Network» al Centro per l’Arte Contemporanea
Luigi Pecci di Prato, nel febbraio del 1995 attraverso una «conferenza
ipermediale» preparatoria svoltasi nelle solite reti telematiche nell’autunno
del 1994. Una modalità che
attraverso specifiche mailing list è divenuta la prassi per la realizzazione
degli «Hackmeeting» italiani svoltisi annualmente a partire dal 1998
a oggi. Queste forme collaborative evitano un vertice che piloti gli
eventi e riconoscono ad ognuno la possibilità di proporre in modo
autonomo un proprio micro-evento all’interno dell’evento generale. Per concludere,
i diritti non si difendono solo attraverso il rispetto delle leggi,
ma anche attraverso i processi culturali e linguistici. Così come
profetizzato nel progetto Xanadu di T. Nelson, il World Wide Web di
T. Berners-Lee è il luogo della decentralizzazione tanto dell’organizzazione,
quanto dei processi semiotici insiti nei saperi collettivi. È il luogo
dove l’organizzazione e la codificazione dei saperi non avviene per
classificazioni gerarchiche verticali, ma attraverso collegamenti
e rimandi semantici orizzontali, paralleli e simultanei. Non vi è
inoltre un uso della lingua che rimanda a una cultura specifica depositaria
del senso, bensì, essendo la rete usata trasversalmente da più culture
(sebbene a dominanza occidentale) i discorsi che emergono al suo interno
sono fortemente polisemici. Questo, grazie alla possibilità da parte
di tutti di partecipare non solo leggendo, ma anche scrivendo; difatti,
se ciò viene a mancare il risultato ridiventa analogo a quello dei
tradizionali media broadcast quali la televisione, la radio e per
certi aspetti il libro, in cui un determinato prodotto culturale viene
semplicemente esportato in altre culture. Il perseguimento dell’uguaglianza
tra individui e popoli dipende dunque anche dal tipo di tecnologia
attraverso cui viene resa possibile la comunicazione. È intorno alle
possibilità fornite dallo strumento che la comunità deve confrontarsi
per far emergere quegli accordi che ne permettano un utilizzo paritario
ad ogni suo componente.
La mente umana,
l’identità e l’intelligenza collettiva 13 L’intelligenza
collettiva non è semplicemente un modo di lavoro collettivo. È anche
una modalità operativa di conoscenza del mondo. Di fatto non sarebbe
possibile ritenere l’enorme quantità di informazioni significative
che ogni giorno, fin dalla nascita, percepiamo attraverso l’esperienza.
Per fronteggiare questo problema l’umanità ha creato nel suo procedere
storico un’enormità di artefatti cognitivi, disseminati negli oggetti,
nei testi, nei comportamenti e nella lingua in generale. Ovverosia
gli oggetti si danno alla nostra percezione fornendoci attraverso
forma e sostanza le tracce inerenti al loro senso ed uso. In pratica
il processo del nostro pensiero non si avvale esclusivamente degli
input che emergono dall’interno, ma si appoggia a una parte della
mente disseminata negli artefatti cognitivi di cui il mondo abbonda.
Il nostro pensiero, funziona grazie ad una parte della nostra mente
collettiva che risiede nelle cose che ci circondano e che sono il
prodotto delle molteplici culture che si sono susseguite, mescolate,
sussunte e rielaborate. Questo vuol
dire che non possiamo fare a meno dell’intelligenza collettiva per
elaborare pensieri sensati. Che, dunque, qualsiasi cosa prodotta da
ognuno di noi è contemporaneamente anche il frutto dello sforzo del
resto della collettività nello spazio e nel tempo. È difficile
quindi pensare di poter assegnare ad alcuni il diritto di possedere
una proprietà intellettuale esclusiva su qualcosa. Per Licklider
il computer rappresenta uno strumento per «esternalizzare modelli
mentali». «Qualunque comunicazione tra le persone intorno a un dato
oggetto è una comune esperienza rivelatrice dei rispettivi modelli
della cosa stessa». In altri termini, comunicare attorno a un dato
oggetto significa scambiarsi informazioni sui rispettivi modelli dell’oggetto
medesimo (Blasi, 1999, pp. 23-25). Le comunità
virtuali sono luoghi dove l’individuo costruisce la sua identità personale,
e, al tempo stesso, sono lo strumento dove si crea un confronto tra
singole identità. Un confronto che produce un accordo intorno a un
riferimento comune che può essere definito un’identità collettiva.
Le comunità virtuali sono dunque un nuovo modello comunitario attraverso
cui si crea e si trasmette un’intelligenza collettiva frutto della
coevoluzione e del mutuo scambio tra una molteplicità di soggetti.
M. DeFleur e S. J. Ball-Rokeach individuano nel modo seguente una
delle caratteristiche principali del paradigma sociologico riconosciuto
sotto la definizione di interazionismo simbolico: «La società
può essere considerata come un sistema di significati. Gli individui
condividono un patrimonio comune di significati legati ai simboli
della lingua e da questa attività interpersonale derivano le aspettative
– stabili e ugualmente condivise – che guidano il comportamento secondo
modelli prevedibili» (DeFleur, Ball-Rokeach, 1995, p. 51). Hacker è uno
stile di vita non necessariamente collegato alla tecnologia, ma relativo
al modo in cui si affrontano le cose. Secondo S. Brand, gli hacker
hanno fatto si che l’era dell’informazione si riorganizzasse intorno
all’individuo grazie al personal computer (Levy S., 1996, p. 443).
Gli sforzi che sono stati portati avanti dagli hacker e dal movimento
cyberpunk per costruire un sistema di relazioni in cui ogni individuo
potesse essere un soggetto attivo, in grado di intervenire nella costruzione
del linguaggio sociale ci fanno capire quanto questa differente proposta
di comunicazione abbia messo in moto la creazione di linguaggi differenti,
influenzando le società in cui viviamo. La tesi centrale
della Reid è che «Irc 14 è fondamentalmente
un terreno di gioco. Nel suo ambito la gente è libera di sperimentare
forme diverse di comunicazione e autorappresentazione» (Reid, 1991).
Su quel terreno di gioco comunicativo gli habitué di Irc hanno creato
norme, rituali e stili di comunicazione che si qualificano come una
vera e propria cultura, in base a criteri scientifici. La tesi della
Reid trae spunto dal capovolgimento del ruolo del contesto sociale
nella conversazione e nella socialità. Nel mondo materiale, le convenzioni
sociali si svolgono all’interno di case e scuole e uffici, che si
distinguono in base a modo di vestire, codici, etichette, atteggiamenti,
accenti, tono di voce e centinaia di altri indizi simbolici che fanno
sì che la gente possa stabilire con precisione come comportarsi in
una determinata situazione sociale. Le persone imparano a regolare
il comportamento per conformarsi a un modello mentale appreso di comportamento
convenzionale. Prima dell’avvento dei mezzi di comunicazione elettrici,
quasi tutti gli indizi usati per stabilire il contesto sociale delle
comunicazioni erano più fisici che verbali. Invece in IRC i partecipanti
reagiscono a un mondo privo del contesto nonverbale, e ricreano il
contesto mancante descrivendo testualmente come agirebbero e come
l’ambiente apparirebbe nel modello mentale comune di un mondo completamente
costruito. [...] La teoria della Reid è che i partecipanti all’Irc
usano la mancanza di contesto e di separazione geografica per creare
comunità alternative, con versioni scritte di molti degli strumenti
essenziali usati dalle comunità reali per promuovere la solidarietà:
«in Irc si sono sviluppati metodi sia positivi che negativi per favorire
la socialità. Esistono la ricompensa e la punizione telematica e si
sono sviluppati complessi rituali per mantenere gli utenti nell’ambito
del ‘gregge’ di Irc e per regolare l’uso dell’autorità». Questi aspetti
del comportamento in Irc corrispondono alla definizione di cultura
secondo l’antropologo Clifford Geertz: «una serie di meccanismi di
controllo (progetti, ricette, norme, istruzioni: ciò che gli informatici
chiamano «programmi») per il governo del comportamento» (Rheingold,
1994, pp. 210-211). Nel 1992 Amy
Bruckman, nel suo studio al Mit sull’importanza psicologica e sociale
della cultura dei Mud, (Bruckman, 1992) descriveva i Mud in termini
di «Laboratori di identità» (Rheingold, 1994, p. 178). Nel caso del
Well, una delle prime grandi comunità virtuali creata a San Francisco
nel 1985, si ha una conversazione in cui il 16% delle persone intervengono
per l’80% delle parole scritte, ma molti ascoltano invisibili e sono
liberi di partecipare. In questo senso, la comunicazione virtuale
ha un elemento teatrale: la conversazione scritta come performance.
Una delle caratteristiche distintive della comunicazione elettronica
sta nel mescolare aspetti della comunicazione informale in tempo reale
con quelli della comunicazione formale, scritta per durare a lungo.
Le conversazioni elettroniche sono dialoghi situati in un luogo preciso
e in un tempo preciso. Il luogo sociale è cognitivo, non geografico.
Nelle comunità tradizionali, le persone hanno uno schema mentale molto
omogeneo del luogo: lo spazio o il paese o la città in cui avvengono
le loro interazioni. Nelle comunità virtuali, il senso del luogo richiede
un atto individuale di immaginazione. I diversi modelli mentali dell’agorà
elettronica complicano la ricerca delle ragioni di costruire società
mediate da schermi di computer. Un problema del genere porta inesorabilmente
a domandarsi quali forze tengano insieme una società. Simili questioni
si radicano a monte dei sovvertimenti sociali suscitati dalle moderne
tecnologie comunicative. Per «società» si intendono normalmente cittadini
di entità spaziali note come nazioni. Noi diamo per scontate queste
categorie. Ma la transizione psicologica di massa che le persone hanno
compiuto giungendo a considerarsi parte della società moderna e degli
stati-nazione è storicamente recente. Emile Durkheim ha chiamato il
tipo di gruppo sociale premoderno Gemeinschaft, che ha un significato
simile alla parola italiana comunità, e il nuovo tipo di gruppo sociale
Gesellschaft, che può essere approssimativamente tradotto con società.
Tutti i problemi relativi al ciberspazio indicano un tipo analogo
di transizione che potrebbe essere in corso ora, ma a cui non è stato
ancora attribuito un nome tecnico. Le nazioni e, per estensione, le
comunità sono costruzioni mentali, nel senso che una certa nazione
esiste in virtù della comune accettazione di esserne parte. Occorre
che le nazioni esistano nella mente dei cittadini per poter esistere.
«Le comunità virtuali, per essere usate, richiedono un atto di immaginazione»,
rileva M. Smith (Smith M., 1992), estendendo la linea di pensiero
di Anderson al ciberspazio, «e ciò che va immaginato è l’idea stessa
della comunità» (Rheingold, 1994, p. 66). Le comunità
virtuali possono dunque proporsi come luoghi di mediazione tra un
modello comunitario basato sulla conoscenza diretta dovuta al vivere
all’interno di un aggregato localizzato geograficamente e un modello
comunitario basato sulla condivisione dei valori. Anche nelle comunità
diventa dunque fondamentale il linguaggio come fondamento della loro
esistenza. Secondo McLuhan e Foucault, se cambiate il linguaggio,
cambiate la società. La filosofia
francese ha recentemente sottolineato l’importanza del linguaggio
e della semiotica nel determinare comportamenti e strutture sociali
umani. I classici studi della politica linguistica e del controllo
della mente, condotti da M. Foucault lo portano alla conclusione che:
«la coscienza umana, espressa nel discorso e nelle immagini, nell’autodefinizione
e nella designazione reciproca... è l’ambiente autentico della politica
determinante dell’essere... La condizione nella quale nascono uomini
e donne è soltanto in modo superficiale un determinato sistema sociale,
legislativo o esecutivo. Il loro retaggio ambiguo e oppressivo è costituito
dal linguaggio, dalle categorie concettuali, dalle convenzioni di
identificazione e di percezione che si sono evolute e che si sono
in larga misura atrofizzate fino al momento della loro esistenza personale
e sociale. A rendere loro schiavi sono le costrizioni non arguite,
bene affermate ma abitualmente inconscie» (Leary, 1994, p. 63). Le comunità
virtuali sono il luogo dove il linguaggio può essere l’espressione
di una molteplicità anziché di un gruppo di governo/controllo sociale.
Sono il luogo in cui l’identità individuale si forma attraverso un
confronto tra una molteplicità di attitudini linguistiche. Sono la
possibilità di costruire segni il cui senso non sia mediato da una
cultura del controllo, bensì frutto di un confronto cooperativo nella
comunità. La possibilità di costruire segni nuovi per definire nuovi
sensi e garantire dunque l’esistenza della differenza all’interno
del gruppo. Le comunità
virtuali diventano così la possibilità di usare le nuove tecnologie
come un media che permette l’espressione e il confronto delle diversità
rifiutando una società del controllo che elimini i media o dai media
la possibilità di esprimere dissenso. «La maggior
parte dei programmi contemporanei giocano un ruolo di tecnologia intellettuale:
riorganizzano più o meno la visione del mondo dei loro utenti e modificano
i loro riflessi mentali. Le reti informatiche modificano i circuiti
di comunicazione e di decisione nelle organizzazioni. Man mano che
l’informazione progredisce, certe funzioni sono eliminate, dei nuovi
saperi compaiono, l’ecologia cognitiva si trasforma» (Levy P., 1990,
p. 62). Uno dei processi
in base a cui funziona la mente umana è anche quello della ricombinazione
delle idee sulla base di un processo analogo al funzionamento dei
geni per le cellule, che R. Dawkins ha definito «memi». Le nostre
idee, attraverso i memi, farebbero in qualche modo parte del nostro
apparato riproduttivo influenzando, ed essendo influenzati nel nostro
sviluppo evolutivo dallo sviluppo dell’umanità nel suo complesso.
La rete come
luogo in cui cooperare mantenendo l’autonomia L’informazione
viene ricombinata attraverso la sua diffusione. Il processo di diffusione
dell’informazione, produce feedback comunicativi che amplificano l’informazione
mutandola. In rete questo processo avviene per apogenesi anziché per
epigenesi. Ovvero non vi è un fenomeno di sovrapposizione (e relativa
sussunzione del senso) che, nel mutamento, impedisce l’indipendenza
dell’informazione precedente, bensì vi è un fenomeno di divisione
che, nel mutamento, da una parte lascia la vecchia informazione inalterata
ed indipendente, mentre dall’altra le fa vivere nuove possibilità
di senso. È una forma differente di dialettica in cui il risultato
del confronto tra parti differenti non sopprime le parti, ma vi affianca
una nuova possibilità che in certi casi può temporaneamente diventare
un centro di riferimento delle parti in causa. È una forma di sviluppo
che nel suo progredire non annulla, bensì aggiunge o in certi casi
aggrega. È una forma di sviluppo in cui il riconoscersi in un centro
non implica la creazione di un centro differente cui opporsi per conquistare
identità. Ovvero, la nascita dell’identità di un nuovo gruppo non
si forma sull’opposizione verso altri gruppi, ma sulla relazione di
differenza che si ha con questi altri gruppi. Una relazione indispensabile
come riferimento attraverso cui riconoscersi per differenza e non
per opposizione. Nella rete
ogni testo per definire se stesso ha bisogno di interrelarsi con altri
testi che sono gli indispensabili riferimenti attraverso i quali riconoscersi
per differenza. Un link non crea un approfondimento, ma una relazione
attraverso cui verificare una differenza; una differenza rispetto
al senso che prima di tale link si era immaginato appartenere al testo
da cui è partito l’approfondimento. Gli organismi
sociali, così come i linguaggi, hanno spesso usato nel passato la
strategia di affermare una parte (o un’unità di senso) attraverso
l’annullamento di una o più altre parti per opposizione (il positivo
che si afferma sul negativo) o per dialettica (il superamento di due
o più parti in un’altra parte frutto della loro unione). Lo sviluppo
dei processi culturali culminati nella rete ha mostrato la possibilità
di un incrocio identitario che trae origine e si fonda sulla mente
e che espande indefinitamente le opposizioni, le differenze, così
come i riferimenti (qualcosa di analogo a un processo di semiosi illimitata)
in una rete talmente complessa da renderne possibile la percezione
solo se si accetta di coglierla come insieme. Un insieme sfumato la
cui complessità non permette di distinguere al suo interno unità distinte
e opposte ad altre unità, quanto il riconoscersi per il sentire o
per attitudine intorno a un centro temporaneo di cui si coglie la
relazione. Laddove il
rapporto di cooperazione lascia la libertà di scegliere il proprio
centro temporaneo la rete permette la coevoluzione mutuale dei propri
componenti, rispettandone l’autonomia. Laddove invece ciò non accade,
la rete si trasforma producendo conflitto.
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