Hacktivism. La libertà nelle maglie della rete
di A. Di Corinto e T.Tozzi |
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2.1.4.
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All’uso liberista
delle nuove tecnologie hanno risposto i movimenti, proponendone un
uso sociale che diventava implicitamente un nuovo e diverso modo di
fare politica. La connessione in rete è stata vista come la possibilità
di creare un movimento sociale oltre che un nuovo modo di comunicare.
La cosiddetta
Wired society è stata definita da alcuni come un sistema di reti:
reti di potere, di comunicazione e di contropotere. H. Bey ha stabilito
una simile tripartizione, usando però i termini rete, tela e controrete
(vedi scheda H. Bey) (AA.VV., 1991, p. 96). Se il primo
termine individua l’uso della rete finalizzato agli interessi del
potere, i movimenti hanno situato il loro campo di azione oscillando
nelle restanti due aree in cui hanno cercato di costruire dei modelli
di rete come liberazione, socialità di pratiche, comportamenti di
rifiuto, resistenza, sabotaggio e costruzione un nuovo soggetto con
identità collettiva. La rete è stata usata dai movimenti per trasmettere
insubordinazione, autonomia e identità collettiva. Il movimento
in rete Secondo L.
Felsenstein i computer distribuiti alle persone «avrebbero diffuso
l’etica hacker nella società dando alle persone non solo il potere
sulle macchine, ma anche sugli oppressori politici» (Levy S., 1996,
p. 185). Felsenstein
teorizza la necessità di attivare un numero sempre maggiore di reti
comunicative. Reti che devono essere concepite sul modello rizomatico.
L’intento di Felsenstein è rivolto alla costruzione di un’etica specificatamente
hacker, che guidi l’azione di ogni gruppo nella propria pratica. L’obbiettivo
è una società dove la macchina venga messa al servizio dell’uomo e
della sua liberazione (Scelsi, 1990, pp. 24-25). Il computer, dunque,
come strumento di liberazione attraverso cui operare una rivoluzione
sociale. Howard Frederick,
attuale direttore delle notizie dell’Institute for Global Communications
(nato nel 1985), ritiene che gli interessi finanziari e politici hanno
«spinto al margine la società civile», lasciando senza mezzi di comunicazione
chi voleva dare vita a questa cultura. La telematica ha modificato
l’equilibrio di potere a favore delle associazioni del volontariato
civile a livello mondiale. La telematica cambia l’equilibrio di potere
tra cittadini a livello comunitario. Oggi sono emerse sulla scena
mondiale forze nuove e potenti: il movimento per la protezione delle
foreste tropicali, il movimento per i diritti umani, la campagna contro
il commercio di armi, agenzie di informazioni alternative e reti planetarie
di computer. Le associazioni del volontariato internazionale devono
affrontare un grave problema politico che sorge dalla concentrazione
della proprietà dei mezzi di comunicazione mondiale nelle mani di
un numero molto ristretto di persone. A fine secolo «cinque-dieci
giganti controlleranno la maggior parte dei giornali, delle riviste,
dei libri, delle radio, delle produzioni cinematografiche, degli studi
di registrazione e delle società di videocassette più importanti del
mondo». Questi nuovi signori dei media non presteranno certo le loro
reti alle associazioni della società civile. La soluzione militante
a questo dilemma è stata di creare reti informative planetarie alternative.
L’Institute for Global Communication (Igc) è stato concepito come
comunità virtuale per queste associazioni, una tecnologia per la crescita
della società civile mondiale. La distribuzione della rete e la disponibilità
di computer a prezzo non eccessivo hanno reso possibile creare una
rete alternativa sull’infrastruttura principale (Rheingold, 1994,
p. 303). Anche altri
gruppi hanno apertamente dichiarato le proprie finalità sociali. Tra
questi, la mailbox Links della fine degli anni ottanta, appartenente
al gruppo hacker di Monaco, Computer Club Socialista gruppo che «si
definisce come libera aggregazione di computerfreaks, provenienti
dall’area di sinistra. Questo box si definisce come una banca dati
dal basso sulle Bürgerinitiativen, sul movimento delle donne, il movimento
per la pace, i movimenti ambientalisti ed ecologisti.(…) Con volantini
e pubblicazioni di vario genere vengono poi diffuse queste informazioni»
(Scelsi, 1990, p. 141). L’European
Counter Network è stato un esempio di una rete europea pensata alla
metà degli anni Ottanta come strumento di trasmissione delle informazioni
all’interno di un progetto di agenzia di comunicazione antagonista. Nel primo
periodo di sviluppo di questa rete (fine anni Ottanta, inizio anni
Novanta) si era posta la necessità di «non usare la rete come un Cb
per fare chiacchere, ma di dargli un carattere di controinformazione
strutturando l’informazione in modo analitico». Così come di avere
uno spazio libero per tutti, ma anche uno spazio dove l’informazione
sia garantita e dunque selezionata e sedimentata in scrittura. Vi
era dunque nel progetto di un’agenzia di stampa alternativa una proposta
differente da quella tipica della comunità virtuale. Un’agenzia di
stampa nazionale implicava un coordinamento nazionale ed internazionale.
Un obiettivo era quello di accelerare il flusso di informazioni nel
movimento, stabilendo rapporti continui di comunicazione tra le diverse
realtà, sia collettive che individuali, sparse in tutto il paese.
Vi era inoltre la necessità di strutturare l’informazione in modo
da renderla comprensibile all’estero e comunque a chi non usa determinati
linguaggi. La difficoltà di far dialogare linguaggi differenti è un
problema tipico che genera il divario sociale. In un’agenzia di stampa
internazionale la rete può configurarsi come semplice struttura di
servizio, dove sia possibile dare/avere tutte le informazioni necessarie
e non. In una comunità virtuale si fa differenza tra «rete» e «coordinamento»:
a doversi mettere in «rete» sono i soggetti e non le macchine, altrimenti
si ha un semplice coordinamento. In questi modelli la rete
non sostituisce comunque gli altri media di movimento, ma vi
interagisce (AA.VV., 1991, pp. 77-99). Questo modello
di rete, come semplice strumento di servizio per il movimento, si
è miscelato in Italia con lo spirito comunitario e cyberpunk promosso
da un’altra variegata area di soggetti e gruppi collegati ai centri
sociali e trainati principalmente dall’attività del gruppo milanese
Decoder. Questa attitudine ha dato luogo in Italia alla nascita della
rete telematica Cybernet prima sotto forma di semplice area messaggi
cyberpunk (1991) quindi come rete telematica vera e propria (1993).
Il confronto tra i soggetti promotori delle due reti Ecn e Cybernet
ha prodotto una trasformazione delle dinamiche di entrambe le aree
che ha dato luogo alla nascita, nel 1996, del sito web «Isole nella
Rete» (http://www.ecn.org). Una delle
più attuali forme di protesta partecipativa in rete è il netstrike.
Il netstrike, o corteo virtuale (vedi Netstrike), è una forma di protesta
cui viene dato molto rilievo anche rispetto ad altre modalità come
la petizione in rete, per la quale si ritiene che non esistano sufficienti
garanzie a tutela dei sottoscrittori, in quanto permette, ad esempio,
di costruire banche dati. Introdotto da StranoNetwork nel 1995 come
«pratica virtuale per conflitti reali» 15,
nasce in un’occasione internazionalista ed esplicitamente globale
(che prevede sempre una comunicazione in più lingue), con la prima
marcia virtuale contro i siti del governo francese per protestare
contro gli esperimenti atomici di Mururoa; viene però anche utilizzato
in una dimensione più ‘locale’, come nel caso della protesta contro
gli sgomberi dei centri sociali. (Carola Freschi, 2000).
Utopia o realtà? Ciò che prevale
nei movimenti è il tentativo di evitare una struttura gerarchica al
loro interno, a favore di una dinamica di rapporti fluttuante e orizzontale.
Queste caratteristiche troveranno nel modello delle comunità virtuali
un ottimo terreno di sviluppo. Uno sviluppo talmente forte da influire
anche sulla nascita delle prime reti civiche, dove però gli interessi
politici ed economici impediscono la fluidità della struttura che,
rimanendo prevalentemente gerarchica, non garantisce una vera libertà
e partecipazione agli individui. Nello sviluppo
delle comunità virtuali vi è dunque il rischio di tradire quelle utopie
libertarie che ne hanno accompagnato la nascita e lo sviluppo e dunque
lo spirito originario dei movimenti. Lo spirito
comunitario degli anni Sessanta-Settanta in California viene infatti
da taluni criticato retrospettivamente. R. Barbrook e A. Cameron nel
loro «The Californian Ideology» (Barbrook e Cameron, 1996, pp. 183-190)
nel 1995 scrivono: «Incoraggiati dalle predizioni di McLuhan, i radicali
della West Coast sono coinvolti nello sviluppo delle nuove tecnologie
dell’informazione per la stampa alternativa, le stazioni radio comunitarie,
l’Homebrew Computer Club e i collettivi video. Queste comunità di
attivisti dei media credevano di essere in prima linea nella lotta
per costruire una nuova America. La creazione dell’Agorà elettronica
era il primo passo verso lo sviluppo della democrazia diretta dentro
le istituzioni sociali. La battaglia poteva sembrare dura, ma ‘ecotopia’
16 era quasi a portata di mano. Nasce
la «Classe Virtuale» [vedi Kroker, Weinstein, 1996] (...) «L’Ideologia
Californiana deriva la sua popolarità dalla considerevole ambiguità
delle sue massime. Negli ultimi anni il lavoro pioneristico delle
comunità di attivisti dei media è stato largamente riassorbito dalle
industrie dei media ed hitech.» (...) «Negli anni Sessanta i teorici
della Nuova Sinistra credevano che i lavoratori tecnico-scientifici
stessero ponendo le basi per la liberazione sociale» (vedi Mallet,
1975) (...) «al contrario i futurologi pensavano che i membri di queste
nuove professioni sarebbero diventati la nuova classe dominante» (vedi
Bell, 1973)». In realtà
la critica di Barbrook e Cameron è condivisibile solo per certi casi.
La stragrande
maggioranza di coloro che formavano le comunità virtuali ha continuato
la propria vita in modo coerente, senza cambiare volto ai propri ideali,
così come ai propri comportamenti. Se però in alcuni casi si è avuto
un cambiamento di rotta, spesso questo è avvenuto per cause esterne.
Il problema è che una tecnologia, da sola, non è in grado di cambiare
un modello sociale ed economico. Che dunque non è sufficiente mettere
su un’impresa che fornisce servizi Internet per garantirsi un differente
modello di rapporti lavorativi all’interno dell’impresa stessa. Il
problema è connesso con le forme di monopolio nella produzione di
determinati servizi in un determinato momento: per sopravvivere in
un mercato sostenuto da lobby e gruppi di potere si è costretti a
chiudere o ad assumere delle forme di produzione sempre più su larga
scala che costringono a rivedere le forme di relazione nel lavoro,
così come le forme di lavoro stesse. Per modificare dei modelli di
produzione si devono innanzi tutto eliminare i gruppi di potere, quindi
sviluppare una produzione che sia coerente con le proprie risorse
e che non raggiunga dimensioni tali da costringere l’organizzazione
produttiva a perdere il controllo del suo stesso sviluppo. Ad esempio,
la terza parte del libro di P. Levy «Hackers» del 1984, è la storia
della trasformazione dei rapporti tra persone che, partite da uno
stesso piano sociale ed ideale, si trovano a vedere le proprie vite
divise, divenendo uno proprietario di una grossa azienda di software,
e l’altro il suo operaio programmatore. Un programmatore di videogiochi
che all’inizio era un autore, riconosciuto come tale, in grado di
scrivere da solo la sceneggiatura e il software del videogioco, alla
fine del libro diventava un semplice operaio che partecipa alla scrittura
della sceneggiatura o del software insieme a un elevato numero di
altri programmatori, perdendo la possibilità di esprimersi creativamente,
di avere gratificazioni e riconoscimenti personali e di intrattenere
relazioni paritarie nell’ambito lavorativo. Nel libro di Levy questa
sembra essere quasi l’inevitabile fine di un’utopia irrealizzabile
e dunque l’ineluttabile riproduzione delle classiche forme di alienazione
sul lavoro. La dimostrazione che non vi è spazio per piccole produzioni
di opere multimediali, in grado di mantenere vivi quei modelli comunitari
egualitari sopra descritti. Sembra esservi, in questo, una rassegnazione
di fronte all’immodificabilità del contesto liberista nella produzione
multimediale. Il nostro
parere è che le comunità virtuali sono state e sono strumenti efficaci
nel produrre trasformazioni culturali nella sensibilità e nella consapevolezza
delle persone. La diffusione
delle culture e del confronto attraverso ogni strumento e dunque anche
quelli telematici, può sviluppare una coscienza di classe tra i lavoratori
dell’immateriale, nel cosiddetto proletariato cognitivo, tale da alimentare
il coraggio del rifiuto e della ribellione verso ogni ingiustizia
quotidiana. Ma questo
conflitto non si gioca solo attraverso l’azione di protesta diretta,
ma anche attraverso l’ideazione e la realizzazione di nuovi modelli
comunitari di produzione nel campo delle nuove tecnologie.
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