Pag 5
Pag 3
 
 


Il cyberspazio.


D: Quali sono i vantaggi e gli svantaggi di quello che potrebbe essere definito un terzo polo di esperienza, quello delle simulazione dello schermo, che si aggiunge alla realtà ed al sogno?


R: I vantaggi: un allargamento delle attività dei soggetti, un potenziamento delle loro capacità di intervento sulla realtà, la pratica di una maggiore libertà nell'attività progettuale. Gli svantaggi: l'incapacità di stabilire rapporti corretti fra gli aspetti virtuali e quelli attuali della realtà, l'insorgere di deliri di onnipotenza, la falsa convinzione che sia possibile progettare e costruire senza tener conto dei vincoli esterni.


D: Spesso accade che ci si smarrisca nel cyberspazio: si perdono i punti di riferimento spaziali ed il tempo si dilata. Quali sono le conseguenze della ridefinizione dei concetti di spazio e tempo che si verifica nel cyberspazio?


R: Non so se ho le competenze per rispondere a una domanda come questa. I concetti di tempo e di spazio (anche se non li vediamo come categorie kantiane) sono evidentemente costrutti culturali della mente, elaborati a partire da determinanti biologiche ma ormai parzialmente autonomizzati da esse. Però sono fra i più antichi costrutti culturali della specie, quindi fra i più “stabili”, e mi sembra si possa dire (mi scuso se la mia terminologia scientifica è imprecisa) che in qualche modo il cervello sia “precablato” rispetto alla percezione dello spazio e del tempo. Ora osservo che il periodo di evoluzione biologica e culturale di gran lunga prevalente durante il quale questo “precablaggio” si è formato è stato quello dell'esistenza nomade dell'uomo, per capirci il paleolitico e il primo neolitico. Rispetto alle due o tre centinaia di migliaia di anni del paleolitico, il neolitico e l'era industriale sono stati molto più brevi (non più di 9.000/9.500 anni complessivamente, di cui solo gli ultimi 3 o 400 occupati dalla civiltà industriale, che ha rappresentato la rivoluzione più rilevante per quei due concetti: basti pensare all'idea di un tempo oggettivo e misurabile, irriducibile alla “durata” - per dirla con Bergson - che rappresenta pur sempre la percezione individuale del tempo). Mi sembra evidente che il cervello paleolitico dell'uomo ha avuto e ha ancora adesso dei problemi a interiorizzare le nuove visioni dello spazio e del tempo elaborate dalla scienza dal XVII secolo a oggi. Ora, per certi versi, spazio e tempo nel ciberspazio non sono più così “oggettivati” come nella concezione deterministica della scienza, sembrerebbero più influenzati (lo dico in senso metaforico, non letterale) da una dimensione relativistica o quantistica: ma non credo che questo sia ipso facto più compatibile con la percezione “ingenua” dello spazio e del tempo, una percezione che mi sembra ancora fortemente legata all'esperienza nomade sepolta nelle cellule cerebrali (nell'inconscio collettivo, direbbe Jung). Temo quindi che stiamo andando incontro a un ulteriore periodo di frizione fra cervello e tecnologia, dopo quello già visto durante l'era dell'industria: e prevedo quindi che il lavoro per psichiatri, psicologi e psicoterapeuti sia destinato a non mancare anche per il futuro.