Il cyberspazio.
D: Quali sono i vantaggi e gli svantaggi di quello che potrebbe
essere definito un terzo polo di esperienza, quello delle simulazione
dello schermo, che si aggiunge alla realtà ed al sogno?
R: I vantaggi: un allargamento delle attività
dei soggetti, un potenziamento delle loro capacità di intervento
sulla realtà, la pratica di una maggiore libertà nell'attività
progettuale. Gli svantaggi: l'incapacità di stabilire rapporti
corretti fra gli aspetti virtuali e quelli attuali della realtà,
l'insorgere di deliri di onnipotenza, la falsa convinzione che sia possibile
progettare e costruire senza tener conto dei vincoli esterni.
D: Spesso accade che ci si smarrisca nel cyberspazio: si perdono
i punti di riferimento spaziali ed il tempo si dilata. Quali sono le
conseguenze della ridefinizione dei concetti di spazio e tempo che si
verifica nel cyberspazio?
R: Non so se ho le competenze per rispondere a una
domanda come questa. I concetti di tempo e di spazio (anche se non li
vediamo come categorie kantiane) sono evidentemente costrutti culturali
della mente, elaborati a partire da determinanti biologiche ma ormai
parzialmente autonomizzati da esse. Però sono fra i più
antichi costrutti culturali della specie, quindi fra i più “stabili”,
e mi sembra si possa dire (mi scuso se la mia terminologia scientifica
è imprecisa) che in qualche modo il cervello sia “precablato”
rispetto alla percezione dello spazio e del tempo. Ora osservo che il
periodo di evoluzione biologica e culturale di gran lunga prevalente
durante il quale questo “precablaggio” si è formato
è stato quello dell'esistenza nomade dell'uomo, per capirci il
paleolitico e il primo neolitico. Rispetto alle due o tre centinaia
di migliaia di anni del paleolitico, il neolitico e l'era industriale
sono stati molto più brevi (non più di 9.000/9.500 anni
complessivamente, di cui solo gli ultimi 3 o 400 occupati dalla civiltà
industriale, che ha rappresentato la rivoluzione più rilevante
per quei due concetti: basti pensare all'idea di un tempo oggettivo
e misurabile, irriducibile alla “durata” - per dirla con
Bergson - che rappresenta pur sempre la percezione individuale del tempo).
Mi sembra evidente che il cervello paleolitico dell'uomo ha avuto e
ha ancora adesso dei problemi a interiorizzare le nuove visioni dello
spazio e del tempo elaborate dalla scienza dal XVII secolo a oggi. Ora,
per certi versi, spazio e tempo nel ciberspazio non sono più
così “oggettivati” come nella concezione deterministica
della scienza, sembrerebbero più influenzati (lo dico in senso
metaforico, non letterale) da una dimensione relativistica o quantistica:
ma non credo che questo sia ipso facto più compatibile con la
percezione “ingenua” dello spazio e del tempo, una percezione
che mi sembra ancora fortemente legata all'esperienza nomade sepolta
nelle cellule cerebrali (nell'inconscio collettivo, direbbe Jung). Temo
quindi che stiamo andando incontro a un ulteriore periodo di frizione
fra cervello e tecnologia, dopo quello già visto durante l'era
dell'industria: e prevedo quindi che il lavoro per psichiatri, psicologi
e psicoterapeuti sia destinato a non mancare anche per il futuro.