D: Spesso nelle sue opere lei ha citato il cyborg, come un essere
ibrido tra uomo e macchina. Quali sono, secondo lei, le implicazioni
socio-psicologiche di questa figura?
R: Come ho cercato di mostrare nella nuova edizione
del mio libro, a cambiare le cose è soprattutto l'apparizione
di un “cyborg genetico”, cioè di un organismo in
cui la componente artificiale non è più una componente
esterna, cioè un artefatto tecnologico elettromeccanico o elettronico
aggiunto al corpo “naturale”, ma un intervento “astratto”,
anche se non immateriale, sul codice genetico (cloni, nascite programmate,
etc.). E questo vale tanto per l'uomo quanto per gli animali e le piante.
Ma restiamo all'uomo. Allora, come sempre assisteremo sulla figura del
cyborg a un conflitto fra interessi divergenti: da un lato il capitale
vorrà fare del cyborg la perfetta forza lavoro flessibile, continuamente
e indefinitamente “formabile” (autoaggiornamento, autoformazione),
capace di secernere immaginario direttamente integrabile nel sistema
produttivo - insomma vorrà confinare il suo carattere di ibrido
a quegli aspetti “valorizzabili” dal suo punto di vista;
dall'altro la forza lavoro “cyborghizzata” vorrà
invece (prima o poi) autovalorizzarsi, cioè non sottomettersi
a un dominio esercitato su di essa dall'esterno anche quando si presenta
come il risultato di una “libera scelta”, vorrà estendere
il suo carattere di ibrido a tutti gli aspetti della vita e non solo
a quelli della produzione, vorrà trovare nuovi modi di godere
della ricchezza sociale - per esempio sperimentando stili di vita resi
possibili dalla nuova frequentazione adulterina con le macchine, ma
non previsti dalla logica del capitalismo postfordista. Il guaio è
che questo conflitto - in senso lato sociale - si combinerà con
un conflitto mentale e comportamentale fra strumentazioni psichiche
di origine biologica e ritmi e aspettative derivati dall'ibridazione
(come ho già accennato in una risposta precedente). Il nostro
destino di cyborg, insomma, non è evidentemente esorcizzabile
con qualche giaculatoria “umanistica”, né eludibile
con impensabili marce all'indietro della storia. Ma si annuncia foriero
di conflitti molto difficili da padroneggiare, e forse prima ancora
da comprendere: conflitti che a me pare saranno quelli centrali nei
decenni e (azzarderei) nei secoli a venire.