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L'interno e l'esterno Lo wired, l'essere che vive in collegamento con una rete telematica (di volta in volta una BBS, Bulletin Board System, una banca dati, un service on line), vive quindi dentro una comunità virtuale, che ha scelto in base ai suoi interessi, ai suoi gusti, alle sue idiosincrasie. È un nomade della consolle, che senza muoversi dalla sua stanza entra in contatto con persone fisicamente lontane, a volte lontanissime, e tramite l'interfaccia di questi sistemi comunicativi può presentarsi ai suoi interlocutori con l'identità che preferisce: pseudonimi, travestimenti sessuali, finte personalità, tutto è possibile nel ciberspazio. Per i navigatori di questo non-spazio, per i colonizzatori del tempo cibernetico non c'è più differenza sostanziale tra l'interiorità e l'ambiente. Tutto, potenzialmente, può essere "portato fuori" da sé, ma è un fuori che non è realmente fuori, perché contiene anche ciò che fino a ieri eravamo abituati a considerare la nostra sfera interna.
L'esteriorizzazione non è certo una novità dell'era postindustriale: la novità sta nell'estensione e nell'intensità di un processo che non solo ha caratterizzato la specie umana, ma (si potrebbe dire) l'ha definita come tale. Da sempre l'uomo basa la sua azione nel mondo sulla capacità di trasferire fuori di sé (e quindi di potenziare) una parte delle sue attività, sia fisiche (con gli utensili, poi, quando si scoprono fonti di energia più efficaci del corpo umano o animale, con le macchine), che intellettuali (dalla scrittura alla stampa, dalla biblioteca cartacea a quella elettronica, con l'archiviazione di ogni tipo di testo e di immagine). Questa ampia attività di esteriorizzazione crea nell'uomo la necessità (non riscontrabile nella stessa misura in altre specie animali) di una gestione dei rapporti fra il proprio corpo e l'ambiente che lo circonda. La tecnica, il mondo propriamente umano, crea necessariamente un rapporto complesso fra il corpo e gli artefatti, che prevede un aspetto pragmatico e uno emotivo, con la proiezione dei movimenti della psiche sull'oggetto (e quindi la creazione di legami affettivi, ma anche la difesa dall'oggetto). La rottura dell'equilibrio, del rapporto puramente animale con la natura, la faccia violenta che inevitabilmente la tecnica porta con sé (per esempio nella coltivazione del suolo e nell'estrazione dei metalli, attività che comportano entrambe la violazione del grembo della madre terra) deve in qualche modo essere esorcizzata: l'uomo deve in qualche misura preservare una sfera "interna" nella quale l'offesa, la violenza fatta al mondo, non abbiano cittadinanza, ma vengano piuttosto risarcite, una sfera che non si fondi sul rapporto con l'oggetto, con la tecnica, ma che gli dia semmai una giustificazione. Il rapporto interno/esterno che si viene così a creare comprende naturalmente come aspetto ineliminabile anche quello del rapporto sociale, il patto degli uomini tra se essi e con le divinità che getta le fondamenta e detta le regole dell'esistenza della società. Esso si basa però (perlomeno nella storia della civiltà occidentale, anche in epoche e società che non conoscono il concetto di "interiorità" in senso moderno) su un sentimento molto materiale di separazione dell'uomo dal mondo, sul carattere rassicurante della presenza della pelle come confine del corpo, su una inviolabilità dell'interno del corpo. Nella civiltà industriale, con i suoi processi di standardizzazione e di massificazione, la minaccia all'interiorità è stata vissuta come particolarmente virulenta, fino a minacciare l'unicità e l'integrità stessa del corpo. La fantascienza ha espresso molto precisamente la sensazione di questa trasformazione e di questa minaccia con due figure emblematiche: quella del robot e quella del cyborg. La prima rispecchia (da questo punto di vista) la preoccupazione che la tecnica riesca a creare una macchina che condivida con l'uomo le sue fattezze esteriori, o il suo intelletto, o entrambe le cose. La seconda segnala il processo crescente di integrazione dell'uomo e della macchina, l'impossibilità di far funzionare normalmente il corpo (anche nella vita quotidiana) separato dal sistema delle macchine. Ma negli anni Ottanta la narrativa cyberpunk ha superato d'un colpo queste due figure, proponendo una terza immagine, quella che chiamerei del "corpo disseminato". Nel ciberspazio, sia in quello letterario di Gibson, Rucker e Sterling, sia in quello telefonico, telematico o virtuale della vita quotidiana del presente o del prossimo futuro, c'è un processo di continua creazione di presenze artificiali, di repliche dell'utente, oggi limitate a una sensorialità ancora divisa (come la voce al telefono), domani, con la realtà virtuale, estese a tutto il corpo (sia pure in un senso simulacrale e immateriale).