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Sin dal primo numero di Virtual io vi tenni una rubrica, che nelle intenzioni della direttrice (e mie) doveva contribuire a tenere aperta la comunicazione fra i temi della tecnologia, a cui erano dedicati la maggioranza degli articoli, e quelli della cultura. La rubrica era intitolata “Il filosofo e la farfalla,” dall’apologo taoista di Zhuang-zi [Chuang-tzu], che, avendo sognato di essere una farfalla, non sapeva al suo risveglio se era Chuang-tzu che avesse sognato di essere una farfalla, o una farfalla che stesse sognando di essere Chuang-tzu. Mi era sembrata una buona epigrafe per esprimere il senso di disorientamento di fronte a una improvvisa moltiplicazione dei mondi possibili, che uscivano dai trattati di logica e di semiotica e dai romanzi di fantascienza per divenire esperienza, ampliando d’un colpo (e confondendo) anche il concetto di “realtà”. Ho pensato a lungo di dare quel titolo a questo libro, che raccoglie saggi e interventi editi e inediti scritti per lo più negli anni Novanta. Ma dopo averne discusso per un certo tempo, l’editore e io abbiamo preferito il titolo attuale, meno evocativo forse, ma più preciso. Se dovessi ricominciare a tenere, oggi come oggi, la rubrica di Virtual, dubito che la chiamerei ancora così. L’apologo di Chuang-tzu esprime una preoccupazione, per così dire, prevalentemente epistemologica, ed era quella (sulla scorta anche di massicce letture di Philip K. Dick) che avevo in mente quando, verso la fine degli anni Ottanta, cominciai a scrivere su realtà virtuali e cyberpunk: come possono orientarsi le soggettività quando i confini tra reale e immaginario (come da anni ci andava ammonendo Baudrillard) si stavano sfaldando? Quali strategie e tattiche cognitive e comportamentali adottare? Sono bastati dieci anni o giù di lì e gli interrogativi epistemologici non sono certo scomparsi, ma non occupano più il proscenio. Essi non possono essere neppure correttamente formulati se non si fondano su domande più chiaramente ontologiche: quali sono le qualità, le determinazioni, gli aspetti, i funzionamenti del mondo (o dei mondi) in trasformazione?. In qualche modo - se posso continuare con la terminologia forse troppo presuntuosamente filosofica - l’ontologia si è divorata l’epistemologia. I confini tra l’io e il mondo si fanno labili, e non si possono più formulare ipotesi sulle strategie cognitive dei soggetti conoscenti senza fare contemporaneamente ipotesi sul mondo. Per potersi chiedere sensatamente se si è una farfalla o Chuang-tzu, non si può fare altro - almeno preliminarmente - che seguire la farfalla nelle sue migrazioni per i vari territori o i vari mondi che l’espandersi di questa misteriosa nuova modalità (la “virtualità”) giorno dopo giorno crea. In questo viaggio è forse più utile farsi guidare da James Ballard che da Philip Dick, o comunque leggere Dick con occhiali più ontologici di quelli con lui l’abbiamo letto negli anni Settanta e Ottanta: proprio come fa David Cronenberg in eXistenZ, il suo film forse più dickiano, ma che subordina il tema della crisi del soggetto al problema dell’indistinguibilità dei mondi artificiali da quello “naturale”, sino a negare forse l’esistenza stessa di un mondo naturale.