Archeologie del virtuale

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Nel secolo XXI la dimensione del virtuale si avvia ad affermarsi in ogni campo della vita umana. Naturalmente, essa ha una preistoria, che potrebbe essere tracciata lungo tutto il secolo XX, ma che si è resa più visibile agli occhi degli osservatori nei suoi anni Novanta, in sintonia con l’affermazione planetaria delle tecniche informatiche e telematiche. Il ritmo forsennatamente accelerato della mutazione tecnologica e sociale consente l’uso paradossale del termine “archeologia” (di matrice foucaultiana) anche per descrivere una vicenda così recente.
Il libro segue il progressivo emergere della dimensione del virtuale nell’ambito della teoria e dell’immaginario (in particolare nella letteratura e nel cinema). Temi ricorrenti sono il tramonto della scrittura come tecnica di comunicazione dominante e la messa in guardia contro l’identificazione di “virtualità” e “immaterialità”, non perché una dimensione immateriale non vi sia, naturalmente, nell’esperienza contemporanea, ma perché essa non è caratteristica di quest’epoca, essendo presente in tutta la storia della specie, come portato della dimensione progettuale e linguistica dell’uomo. Ciò che caratterizza il presente è piuttosto un’inedita capacità dell’uomo di materializzare l’immateriale, di attualizzare il virtuale.

Introduzione dell'autore. Le migrazioni delle farfalle.

Sull’onda dell’interesse (in qualche caso dell’entusiasmo) per le nuove tecnologie di realtà virtuale, che stavano arrivando in Italia dopo il boom di qualche anno prima (1988-90) negli Usa e in Giappone, usciva a Milano nel settembre del 1993 il primo numero di Virtual. In quella rivista, diretta da Stefania Garassini (che durò sino al 1998), si ritrovarono per qualche tempo, accanto a giornalisti più sperimentati, anche persone che negli anni Ottanta si erano interessate alla videoarte, alla computer graphics e ad altri fenomeni vagamente inquadrabili o avvicinabili all’immaginario scientifico e tecnologico. Naturalmente, fra costoro, solo i più inquieti e i meno rispettosi delle tradizioni intuivano confusamente che le “realtà virtuali” segnavano una svolta non solo in quel ristretto e specifico settore, ma nell’immaginario complessivo. Cominciammo a tenerci aggiornati sulle novità delle tecnologie digitali, a riflettere sulle possibili conseguenze del diffondersi di quelle tecnologie, a studiare le coordinate del cambiamento fra i comportamenti delle generazioni più giovani, a seguire le riviste, i libri, i film, i saggi dei circoli cyberpunk (poi, più concisamente, “cyber”) internazionali; imprecammo contro Nicholas Negroponte, assistemmo alle performance di Stelarc, leggemmo Derrick de Kerckhove e Pierre Lèvy. Le realtà virtuali si defilarono ben presto dall’orizzonte mediatico, e arretrarono un poco su quello della tecnologia e dell’immaginario. In capo a un paio d’anni arrivava il boom mondiale di Internet, e al suo seguito la new economy, la globalizzazione, il movimento di Seattle. Ma la cosiddetta “era del virtuale”, negli anni intorno al 1993, era cominciata così.