Hacktivism. La libertà nelle maglie della rete
di A. Di Corinto e T.Tozzi |
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2.4.3.
Creazione di Eventi, Panico Mediatico, Arte della Contestazione |
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These exchanges
are typically antagonistic, and I believe constitute not only a resistance
to opposing viewpoints, but to the hegemony of corporate controlled
media(s) altogether. As a reaction to highly centralized media sources,
these disruptive actions create media vectors (or coverage) of their
own, allowing those engaging in these actions (defacements) some modicum
of voice and agency. The actors in this conflict therefore are media
participants and not merely consumers, which I might suggest is a
motive at the center of all activist movements in an era where much
of the shape of social reality is determined by competing media(s):
books, newspapers, pamphlets, radio, and, of course, the Internet.
(Will Taggart)
Tra le pratiche
che assolvono tali obiettivi vi è il detournement, il plagiarismo,
l’art strike, ecc. La maggior parte delle tematiche sviluppate in
queste pratiche sono rivolte a smascherare l’ideologia dominante e
il rifiuto dell’oggetto merce. Guerriglia
della Comunicazione (Azioni di sabotaggio dell’immaginario contemporaneo) Uno dei pilastri
della società disciplinare, secondo Foucalt, è l’ordine del discorso,
ordine che stabilisce chi ha diritto di parola e chi no in un dato
contesto, e che riflette i modi dell’inclusione o dell’esclusione
sociale poiché stabilisce i criteri di partecipazione e appartenenza
attraverso cui i gruppi sociali definiscono se stessi. L’ordine del
discorso secondo il filosofo francese è un processo che si autoperpetua
attraverso l’interiorizzazione di norme relazionali e regole sociali
apprese nei luoghi della socializzazione primaria – casa scuola famiglia,
oratorio – e che, perfezionate sul luogo di lavoro, nei circuiti del
consumo e nelle istituzioni totali, in genere sfociano nel conformismo,
nell’autodisciplina e nel controllo reciproco. Sovvertire
l’ordine del discorso è alla base dell’idea del rovesciamento della
«grammatica culturale» – che definisce modi, tempi e ruoli del soggetto
comunicazionale – proposta dal libro Comunicazione-Guerriglia. Tattiche
di agitazione gioiosa e resistenza ludica all’oppressione 42. Nel libro,
Sonja Brunzels, Luther Blisset e l’autonome a.f.r.i.k.a. gruppe, passano
in rassegna i mille modi di rompere e superare i modelli della grammatica
culturale dominante – intesa come sistema di regole che struttura
la comunicazione secondo rapporti di potere e di comando col loro
seguito di valori e convenzioni sociali – per descrivere principi
ed effetti della comunicazione-guerriglia applicata ai temi di grande
rilevanza politica come l’ambiente, la salute, la guerra, e la libertà
d’espressione. Una sorta di manuale per la decostruzione delle regole
della comunicazione sociale in grado di dar voce alle parole dissidenti
degli individui che non si rassegnano all’ordine del discorso dominante
affinché diventino capaci di comunicare in maniera politicamente efficace
grazie all’esempio dei franchi tiratori semiotici descritti nel libro. Secondo gli
autori, la decostruzione della grammatica culturale può avvenire in
molti modi. La strategia che punta all’occupazione e al possesso di
spazi d’azione ricollocando i soggetti sociali secondo rapporti di
forza loro favorevoli è estranea al concetto di comunicazione guerriglia,
che, attraversando continuamente le frontiere mobili della comunicazione,
si prende gioco del potere e ne stravolge i meccanismi, creando nuove
concatenazioni di senso in luoghi da cui poi si ritira. Invalidare
le strategie di produzione del consenso attuate dal potere prefigura
una strategia che possa diventare patrimonio collettivo di resistenza
culturale ed è il primo obiettivo della comunicazione-guerriglia. Ogni giorno
siamo inondati da segni e messaggi che ci dicono cosa comprare, come
comportarci, con chi e quando parlare: nell’«Impero dei Segni» la
comunicazione-guerriglia diventa un obbligo per chi vuole sottrarsi
all’egemonia del discorso pubblico operata da anchormen, opinion makers
e dalla comunicazione pubblicitaria. La Comunicazione
guerriglia interviene all’interno del processo comunicativo per sovvertirlo
e usa molteplici tecniche di stravolgimento semiotico: l’affermazione
sovversiva, lo sniping, il nome multiplo, il fake, il camouflage,
il plagio e il collage, ma opera sulla base di due fondamentali principi
psicologici , lo straniamento e la sovraidentificazione. Lo straniamento
procede attraverso l’appropriazione di forme, idee e concetti preesistenti
modificandoli quel tanto che basta per disvelarne la seconda natura
e innescare un processo di riflessione critica sulla percezione delle
cose. È il caso del Billboard Liberation Front che ha creato capolavori
urbani intervenendo sulle pubblicità murali dove Obsession for Men
di Calvin Klein diventa Recession For Men, o di quelli di Adbusters
che hanno ridisegnato JO Camel, il vanaglorioso cammello testimonial
delle omonime sigarette, come il Jo Chemio dello scenario di un centro
oncologico. È la stessa filosofia di quei buontemponi che hanno dipinto
un naso da pagliaccio sui manifesti di Berlusconi. La sovraidentificazione
che sposa completamente la logica dominante di una relazione comunicativa
tende invece a disvelare e a rimarcare i valori e le finalità implicite
e nascoste del discorso. È il caso dell’assemblea operaia in cui contestatori
impeccabili nella loro mise da finti manager applaudono insistentemente
il sindacalista che cerca di convincere le perplesse tute blu della
necessità dell’intesa con la direzione. Lo straniamento è assicurato
e se gli operai vedono i padroni d’accordo col sindacalista… Un metodo
per scomporre i meccanismi di costruzione mediatica della realtà è
quello di inventare notizie false al fine di creare eventi veri. È
storia ormai l’invenzione di Allen Ginsberg che, durante un’azione
di contestazione della guerra del Vietnam in un sobborgo di New York,
entra in un supermercato e urla che la guerra è finita. I poliziotti
impegnati a disperdere la manifestazione dapprima restano perplessi,
poi solidarizzano coi manifestanti. Ma l’invenzione ha anche altre
modalità. È stato il
caso della telefonata all’Ansa in cui Luther Blisset sotto le mentite
spoglie di Aldo Curiotto, portavoce della Comunità Incontro, dichiara
trafelato che non c’è nulla di vero nella notizia di Don Pierino Gelmini
accusato di traffico di video pedofili e fermato all’aeroporto con
dei bambini asiatici. Il giornalista, che non poteva conoscere la
notizia (che era falsa), si affretta a comunicare ai colleghi di non
tenere conto di segnalazioni di quel tipo, ma la competizione fra
le testate e la voglia di scoop avranno l’effetto di produrre titoli
cubitali come: «Arrestato Don Gelmini/Calunniato per vendetta». Una
non-notizia ha prodotto una notizia. Innescando dubbi e perplessità
nell’audience. E lo stesso
è accaduto nel caso della beffa di Luther Blisset a «Chi l’ha visto?»
che mandò le sue troupe a cercare in Inghilterra il ciclista scomparso
Harry Kipper. Non era mai esistito. Ma quel fake era servito per ridicolizzare
la superficialità del giornalismo d’inchiesta. All’interno
di un paradigma sociale incentrato tutto sulla comunicazione e dove
tutti si affannano a shakerare insieme D. Luhman, C. Shannon e P.
Watzlawick per stabilire i criteri della comunicazione efficace, la
proposta della Comunicazione-guerriglia sviluppa il tema del Caos
comunicativo e descrive le modalità del linguaggio performativo usato
per rompere l’unità di spazio-tempo-azione della grammatica culturale,
e ricordarci che ogni informazione è al contempo deformazione e che
i suoi effetti sono una variabile dipendente del soggetto che interpreta
in un contesto situato socialmente. E quando si rompono le regole
della comunicazione cambia la percezione dei suoi contenuti. Secondo
Luther Blissett si tratta di omeopatia mediatica.
La Guerriglia
comunicativa va su Internet Se per gli
hacker Il diritto all’informazione è al contempo diritto alla deformazione
(Icata ’89), si capisce allora perché anche le pratiche di sabotaggio
mediatico sulla rete telematica come strumento di conflitto adottano
i principi della comunicazione-guerriglia. Quindi la
novità è che quelle pratiche proprie del mondo analogico, i manifesti
«corretti» del Blf, oggi sono state trasportate sulla rete www.sinistra.org
Così come
l’affermazione sovvversiva prende corpo sui poster digitali delle
Guerrilla Girls http://www.guerrillagirls.org/posters. Infatti anche
le tecniche di digital guerrilla si basano sul principio dello straniamento.
Lo straniamento procede attraverso l’alterazione dei contenuti per
attirare l’attenzione sul contesto o viceversa. L’invenzione
di notizie false serve a criticare i meccanismi di produzione egemonica
della realtà operata dai media e a corrodere il rapporto di fiducia
che i mass media cercano di instaurare con il pubblico. Le false notizie
quindi servono a creare eventi veri. Una falsa notizia immessa nel
circuito mediatico nel modo giusto obbliga il bersaglio a commentarla,
a chiarire la propria posizione dietro la pressione dei media e dell’opinione
pubblica, perché essa in genere solleva contestazioni. La presa di
posizione e la contestazione della falsa notizia diventano esse stesse
«la notizia» con l’effetto di ingenerare altre domande nelle persone
o di spostare il fuoco dell’attenzione su aspetti ignorati del fenomeno
e in genere di portare alla luce ciò che è celato al pubblico. Questa è una
forma di contestazione conosciuta in Italia come ANSiA. L’ ANSiA fa
il verso alla agenzia di stampa italiana proponendo contenuti camuffati
col linguaggio proprio della nota agenzia. I suoi comunicati spesso
sono stati presi per «veri» e attribuiti all’agenzia. L’obiettivo
è lasciare intendere che le informazioni non sono mai di per sé oggettive
e che veicolano elementi ideologici che attraverso il detournment
semiotico possono essere evidenziati. Il camouflage
(camuffamento) replica l’outfit formale del linguaggio dominante per
trasportare contenuti dissidenti e aprire un canale di comunicazione
con il pubblico. Nel territorio digitale l’equivalente del camouflage
è la clonazione dei siti (site cloning). E questo è il caso del Vaticano.org
Il fake rivendicato
invece serve a creare interesse e dibattito intorno alla questione.
Come è successo con il falso sito dell’Ocse. Il detournment
serve a strappare oggetti e immagini conosciuti dal contesto abituale
per immetterli in nuova inconsueta relazione e avviare un processo
di riflessione critica. È il caso del plagiarismo digitale e analogico
degli Adbusters ma anche del digital hijacking degli Etoy o degli
RTmark Un dirottamento digitale verso porti inattesi di cui ha ampiamente
discusso M. Dery nel pamphlet Culture Jamming: Hacking, Slashing and
Sniping in the Empire of Signs. http://www.levity.com/markdery/culturjam.html
La migliore
sovversione sta nel distorcere i codici non nel distruggerli. I soggetti
dell’attivismo digitale utilizzano la rete come strumento per l’affermazione
di diritti vecchi e nuovi, ma anche come metodo di critica radicale
che individua nella comunicazione un terreno di conflitto tout court. I suoi caratteri
sono intrinseci alla natura della rete: la comunicazione orizzontale,
da molti a molti, la condivisione dei saperi e delle tecniche, l’interazione
linguistica finalizzata alla cooperazione. Mentre alcune
pratiche dell’attivismo digitale sono solo l’estensione digitale di
forme di contestazione proprie del mondo analogico, come le vecchie
campagne di «controinformazione», gli scioperi di piazza e i banchetti
delle petizioni, altre mutuano le loro forme dalla pratica di avanguardie
e correnti artistiche come il surrealismo, il neoismo, la mail art,
il situazionismo. Questo secondo
filone è quello proprio di gruppi di attivisti come gli 0100101110101101.org,
Entartekunst, ®Tmark., Adbusters, Negativland, Luther Blissett, e
altri. Le pratiche
di questi gruppi muovono dalla consapevolezza che la rete è lo strumento
per eccellenza del linguaggio performativo che costruisce la realtà
attraverso la comunicazione. Proprio come nell’accezione di uno dei
suoi teorici, John Austin, secondo cui il linguaggio performativo
è un «enunciato linguistico che non descrive uno stato di cose, ma
produce immediatamente un fatto reale». E la storia
recente di Internet ci consegna molti esempi di linguaggio performativo
capaci di generare eventi, indurre stili di comportamento, modificare
le teorie implicite ed esplicite sulla realtà sociale. Molte delle
pratiche comunicative degli attivisti digitali sono finalizzate a
creare scompiglio, incertezza, panico mediatico. Ma hanno un obiettivo
in comune, quello di decostruire le dinamiche della comunicazione
mass-mediale e stimolare una riflessione critica sul concetto di informazione,
utilizzando l’idea di quegli hacker per i quali «Il diritto all’informazione
è al contempo diritto alla deformazione». Le tecniche
utilizzate sono quelle già esposte – il fake, il camouflage, lo sniping
(interventi sui manifesti murali) e la loro controparte digitale,
il site cloning, il digital hijacking, i defacements – e mirano a
produrre un effetto di straniamento e innescare una riflessione critica
su temi di rilevanza sociale o soltano a prendersi gioco dei concetti
di oggettività e verità riferiti al mondo dell’informazione.
Ocse.org Un caso recente
di fake telematico è stato quello praticato dai contestatori del Terzo
Global Forum, dedicato all’e-Governance e tenutosi a Napoli nel Marzo
2001, i quali hanno ideato un sito beffa dell’Ocse, uno degli sponsor
del Forum. A febbraio i pranksters napoletani clonano il sito del
manifestazione ufficiale www.globalforum.it , ne modificano i contenuti
e lo riversano sul dominio www.ocse.org. Digitando l’indirizzo ocse.org,
ci si trova in un sito che nonostante sia identico a quello ufficiale
della manifestazione contiene una critica radicale alla governance
elettronica calata dall’alto e indifferente ai bisogni concreti delle
persone. Dopo una serie di garbate interlocuzioni con gli organizzatori
del Forum, i burloni mettono all’asta il sito beffa per 100 milioni.
Gliene saranno offerti solo 20 da un anonimo estimatore. Il sito,
successivamente censurato è stato riprodotto in http://www.noglobal.org/ocse
.
Vaticano.org Queste beffe
telematiche sono il pane quotidiano dei plagiaristi di www.0100101110101101.org,
un gruppo di studenti iconoclasti, esperti di comunicazione e net-artisti,
che nel Dicembre 1999 si fanno conoscere in tutto il mondo per aver
registrato il sito www.vaticano.org, riempiendolo coi messaggi urbi
et orbi del papa «riveduti e corretti» con semplici taglia e incolla
di testi di canzoni e delle stesse parole del Santo Padre. Alla divulgazione
del sito segue una contesa con gruppi religiosi fitta di dichiarazioni
e avvertimenti legali fino a che l’autorità per la registrazione dei
nomi di dominio decide di non rinnovare ai bolognesi la concessione
del nome vaticano.org «per oltrepassati limiti di tempo nel versamento
del pagamento annuale per il dominio». ma i plagiaristi lo ripropongono
all’indirizzo: http://www.0100101110101101.org/home/vaticano.org
Il sito che corrisponde al nome vaticano.org è oggi tornato ai «legittimi
proprietari».
No Protest/No
Profit I plagiaristi
bolognesi, entrati in azione anche nell’ottobre del 2000 per sostenere
la campagna anti-censura delle associazioni capitoline escluse dalla
rete civica romana a causa della diffusione di presunto materiale
filo-pedofilo sui loro siti, sono gli stessi che hanno proposto una
particolare forma di protesta sul web insieme a The Thing Roma contro
l’operato del comune che aveva voluto la chiusura dei siti www.ecn.org/thingnet
delle associazioni componenti la rete civica. Dall’Ottobre 2000 il
sito del Comune di Roma è raggiungibile anche dall’indirizzo www.0100101110101101.org.
Se si prova a cliccare sulla targa simbolica S.P.Q.R. che permette
l’ingresso ai contenuti del sito istituzionale, la targa «scappa».
Inutile rincorrerla col mouse, la targa cambia colore, cambia posizione
e forma, ma non si fa acchiappare. Dopo pochi secondi compare l’avviso
a partecipare a un concorso piuttosto strano: The No Protest/No Profit
Contest. Il concorso premia con dollari sonanti tutti quelli che inviano
un originale documento di denuncia contro la censura operata dal Comune.
I testi inviati, e-mail a rima baciata, satiriche, provocatorie o
di carattere accademico-religioso, sono valutate da una giuria di
esperti americani ed europei che assegnano ai vincitori un premio
in denaro da restituire agli organizzatori per reinvestirlo in una
nuova azione di protesta a favore della libertà di comunicazione.
Le email spedite sono state circa un migliaio ma solo dopo il contest
si è scoperto che si trattava di una burla. ®Tmark è un
gruppo di attivisti della comunicazione che organizza campagne di
sabotaggio mediatico nei confronti della comunicazione politica e
d’impresa. Famosi sono diventati il sito clone del candidato repubblicano
G.W. Bush in cui veniva denunciato il carattere mercantile della politica
americana, o il rifacimento del sito della Shell che informa gli internauti
dei disastri ambientali, e umani, prodotti dalla politica di sfruttamento
delle risorse petrolifere del centroafrica. Gli ®Tmark hanno un modo
particolare di realizzare le loro campagne di sabotaggio mediatico,
invitando tutti a proporre degli obiettivi da sabotare e raccogliendo
denaro in fondi di investimento collettivo (mutual funds) per pagare
manifesti e volantini, pubblicare inserzioni sui giornali, realizzare
spot televisivi e radiofonici. Nell’aprile
1999, ®Tmark realizza il sito GWBush.com, un sito web che a prima
vista sembra essere quello del candidato repubblicano George W. Bush.
Ma non lo è. Il sito, che argomenta la dipendenza della politica americana
dalle lobby industriali fa andare Bush su tutte le furie e spinge
i suoi avvocati a minacciare per lettera il responsabile del sito.
Dopo la reprimenda della Commissione elettorale federale, il commento
televisivo di Bush secondo cui «dovrebbero esserci limiti alla libertà
di espressione», diventa un file audio che su Internet ricorda a futura
memoria la gaffe del presidente di una nazione che considera il free
speech un diritto fondante della sua stessa costituzione. http://rtmark.com/gwbush Nel novembre
1999 ®Tmark pubblica http://gatt.org un sito contente informazioni
sul meeting di Seattle del 30 Novembre. Il sito, contrariamente alle
aspettative dei visitatori mette in discussione gli assunti del libero
commercio e della globalizzazione. In maniera piuttosto dura. Da lì
nascerà una battaglia a colpi di comunicati stampa fra gli autori
del sito clone e la direzione generale del Wto la quale arriva a dichiararsi
«fortemente preoccupata» a proposito del sito, che definisce «illegal
and unfair», in quanto «pregiudica la trasparenza e la chiarezza delle
informazioni che l’organizzazione mette a disposizione del pubblico».
A quel punto, dopo una fitta corrispondenza fra i responsabili dell’organizzazione
per il commercio mondiale e gli attivisti di ®Tmark, e grazie alla
diffusione della notizia dell’avvenuto plagio su newsgroup e homepage,
la maggior parte degli sforzi dell’ufficio stampa del Wto viene dedicata
a contrastare le critiche rivolte dal «popolo della rete».
Cuejack Un esempio
di come si possano utilizzare in maniera creativa strumenti e tecniche
di induzione al consumo è il cuejack, che reinterpreta le funzioni
di un un lettore di codici a barre a forma di topo simile al mouse
del computer, distribuito gratuitamente ai navigatori di Internet
e agli aquirenti per corrispondenza. Il CueCat, che si può collegare
alla porta seriale del computer, grazie al software distribuito col
lettore permette di leggere i codici a barre dei cataloghi di vendita
per corrispondenza su quotidiani e periodici o anche il codice riportato
sui prodotti, collegandosi direttamente con i siti internet dei produttori
e, ove possibile, acquista direttamente la merce. Ma il codice
è stato riscritto per utilizzare il topo con fini diversi, come la
catalogazione della propria collezione di Cd, provocando la reazione
dei produttori. Inoltre passando lo scanner sul codice a barre di
un prodotto, il programma, invece che collegarvi alle pagine della
casa produttrice del prodotto stesso, automaticamente avvia una ricerca
a tappeto nei motori di ricerca associando il nome dell’impresa a
termini come «boicotta», «sfruttamento dei lavoratori» o «profitto»,
e presentando sul video i risultati della ricerca. Uno strumento
della strategia di marketing si trasforma così in uno strumento per
l’informazione critica del consumatore http://rtmark.com/cuehack/
Adbusters Nella migliore
tradizione del subvertising pubblicitario troviamo in azione gli Adbusters
nordamericani. Gli acchiappa-pubblicità che si sono distinti nella
contro-pubblicità di alcol, sigarette, etc.. Ribaltando i contenuti
della comunicazione pubblicitaria gli adbusters descrivono la struttura
nascosta del messaggio che è quella della comunicazione persuasiva
orientata al consumo di merci dannose per la salute. Sono loro che
hanno ideato la campagna contro il testimonial della Philip Morris,
Joe Camel, ridisegnandolo come un malato di cancro terminale nei loro
spot diffusi in rete. www.adbusters.org
BillBoard
Liberation Front Il BillBoard
Liberation Front è un gruppo di pubblicitari eterodossi che «interviene»
sulle affissioni murali apportandovi delle modifiche, talvolta appena
percettibili, ma sufficienti a stravolgerne il senso. Eclatanti le
correzioni dei manifesti di Exxon dopo il disastro della nave cisterna
Valdez e quelli delle sigarette della Philip Morris. http://www.billboardliberation.com
Deturnamento Il detournment
semiotico serve per strappare oggetti e immagini conosciuti dal contesto
abituale e immetterli in nuova inconsueta relazione per stimolare
nello «spettatore» un processo di riflessione critica. Mentre la
maggior parte delle azioni dei gruppi nordamericani sono rivolte al
boicottaggio mediatico delle merci e dei marchi multinazionali, i
guastatori italiani ed europei si intrecciano a vario livello con
gli attivisti informatici per produrre azioni sia fisiche che virtuali
spesso dirette contro i politicanti nostrani responsabili di censure
e repressioni della libera attività di comunicazione. Le pratiche
di sabotaggio e conflitto sulla rete telematica sono uno strumento
di resistenza culturale quando adottano i principi della comunicazione-guerriglia
descritti nell’omonimo libro. La novità
è che queste pratiche, proprie del mondo analogico, sono state trasportate
oggi sulla rete in una maniera adeguata ad una società sommersa da
simboli (manifesti murali, cartelli, pubblicità postale, spot pubblicitari)
che ogni giorno ci dicono cosa fare, dove andare, cosa guardare, cosa
comprare. L’obiettivo
ultimo dei guerriglieri della comunicazione è far capire che le informazioni
non sono mai di per sé oggettive e che trasportano elementi ideologici
e persuasivi finalizzati al conformismo e al consenso, elementi che,
attraverso un processo di decostruzione linguistica e di comunicazione
ludica, possono essere evidenziati e neutralizzati dalla critica. «... la loro
forza è nella capacità di mettere in atto una matrice illusoria, altamente
immaginativa, in cui tutti possono proiettarsi.» (snafu). Queste forme
di guerriglia comunicativa non sono solo l’estensione digitale di
forme di contestazione proprie del mondo analogico, come le vecchie
campagne di «controinformazione» ma ne rappresentano una nuova fase. L’idea di
base della guerra dei segni su Internet è che siccome «i processi
di dominio e di controllo passano soprattutto attraverso la costruzione
mediatica del consenso è tempo di portare la contestazione direttamente
nel dominio della comunicazione» (Critical Art Ensemble). E per i
gruppi che la animano, la guerriglia semiotica del plagiarismo, del
campionamento, della s/pubblicità serve a portare contenuti critici
proprio al pubblico più conformista, decifrando le strategie della
comunicazione d’impresa incoraggiando l’interpretazione personale
e rendendo quelle seduzioni impotenti.
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