Radio e comunicazione sociale
di Roberto Pinto |
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(conferenza a cura di Tommaso
Tozzi per il progetto “Arte, Media e Comunicazione”, 1997)
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Il
rapporto con la radio che ho io da persona che si occupa di arte è un arpporto
molto interessante perché costringe in qualche modo a ripensare tutto ciò che
viene dato per scontato e cominciare a parlare, come se dovessi fare un
racconto, e questa dimensione della narrazione all’interno dell’arte secondo me
è molto interessante, e questo della radio permette fortemente anzi impone
questo rapporto dialettico con il fatto che uno deve ricominciare a riscrivere
tutti i passaggi, senza dare niente per scontato.
Il
mio rapporto con la radio inizia tre anni fa e questo anche per una mia storica
voglia di sentirla, per cui io sono sempre con la radio accesa e non con la
televisione. Il pregio della radio è il fatto che tu hai un rapporto molto più
libero con te stesso e con quello che fai, nel senso che quando guardi la
televisione sei molto più legato a vedere l’immagine, stare in un posto e
quindi a essere bloccato. Con la radio no. La radio ti segue dove vai; vai in
giro e la radio ti segue, ti continua a seguire e tu puoi continuare a fare le
tue cose. Questo credo sia il motivo per cui mi sono avvicinato alla radio.
Però dall’altra c’è questa forte componente di doversi mettere a raccontare che
credo che sia l’altra molla.
In
radio ho cercato di lavorare sempre molto con delle altre persone, nel senso
che questa è una delle cose che credo che sia interessante è l’ambiente che
hai: c’è una stanza piccola, molto raccolta, dove tu racconti e chiaccheri con
una persona. Chiaccheri però in modo che ti possono ascoltare tante altre
persone. Questo ti da questa dimensione di intimità e di tranquillità nel
dialogo, che non hanno altri media in cui ad esempio hai il riflettore puntato
addosso, hai la luce, o comunque un occhio
che ti guarda come in questo caso [il testo di questo intervento è ripreso da
una videoconferenza, n.d. r.] e che ti sembra un po’ da una parte di stare a
raccontare al vuoto. In realtà la radio non ha questo. C’è un feedback molto
diretto e continuo; c’è la possibilità che la gente ti chiama se non gli piace
la trasmissione oppure può arricchire la trasmissione stessa e quindi avere un
rapporto anche qui interattivo con il fatto che ti telefona e comincia a
innescare altri discorsi che magari tu avevi trascurato.
Questa
relazione molto equilibrata tra una dimensione intima, che si raccoglie
all’interno della situazione dello studio e con questa dimensione però
completamente aperta a tutti quelli che l’ascoltano e senza limiti di nessun
tipo perché non c’è nessun canone da pagare, non c’è nessun tipo di accesso da
avere, basta avere un apparecchio con poche migliaia di lire, questo appunto è
una dimensione interessante.
Certamente
da una parte è un controsenso parlare di arte in radio, perché la radio per sua
natura non trasmette immagini; quindi l’arte che si basa sulle immagini diventa
a volte completamente astratta. Quindi la sfida diventa ancora più forte. E’ un
tentativo ancora più di superare i limiti di un’arte che tutto sommato negli
ultimi anni si è molto spesso dimenticata di avere un rapporto con il pubblico
e si è sempre più giocata sull’autoreferenzialità; sul fatto che quello che era
importante parlare di se stessa, avere un pubblico che era sempre lo stesso,
innescare un metalinguaggio. Tutto ciò certe volte diventa profondità, analisi
ancora più approfondita di quello che è il proprio media, le proprie leggi, le
proprie argomentazioni linguistiche, mentre altre volte oltrepassi una soglia
in cui il gioco diventa completamente sterile.
Questo
è assolutamente un limite che esce fuori completamente nella radio. Nel senso
che se tu parli di metalinguaggio non comunichi assolutamente più e quindi ti
trovi di fronte il vuoto. Quello che comunque considero più un difetto che un
pregio, questa autoreferenzialità dell’arte, mi costringe anche a fare delle
scelte, nel senso che è evidente che in radio si può facilmente parlare di un
artista che vuole raccontare delle cose, che vuole raccontare una storia,
piuttosto che un artista che rispecchia una tradizione metalinguistica in cui
magari è importante il suo lavoro in relazione a quello di tutti gli altri e
non tanto al contesto più generale e più aperto in cui si trova.
Una delle cose fondamentali è questo innescare una serie di
relazioni che l’arte stessa credo che contenga all’interno.
Molto spesso e sempre di più l’arte non è l’oggetto che noi ci
troviamo di fronte ma è le relazioni che riesce a scatenare con la persona.
La possibilità di instaurare un dialogo è la possibilità di
‘connettere’ cose.
E questo credo che tutto sommato la radio lo restituisca
completamente. Se perde dal punto di vista della capacità di far vedere, di
esporre, di mostrare (in quanto non avendo il supporto visivo è una cosa che
non compete alla radio), può però restituire un gioco di relazioni; un gioco di
relazioni che si può esplicitare proprio con il discorso e con il dialogo che
spesso viene fuori.
Io mi sono accorto che all’interno del lavoro in radio molto spesso
escono fuori cose di cui io tutto sommato neanche ne ero cosciente, neanche ne
ero molto consapevole. Proprio instaurando un dialogo e cercando di scoprire,
di scavare sotto la vernice di quella che è l’apparenza dell’opera. In qualche
modo andare al di sotto della fascia di visibilità, però entrare in profondità
e capire i meccanismi che scatenano la creazione. Capire non tanto l’oggetto in
se stesso, che deve essere contemplato, non tanto l’oggetto bello, cosa a cui
fondamentalmente non credo più e che credo che non interessi più a nessuno,
quanto le motivazioni di una certa scelta e le capacità che questo oggetto ha
di essere un oggetto relazionale, un oggetto che può portare in qualche modo un
dialogo o un qualche tipo di cambiamento nella persona che ascolta o che vede
l’oggetto.
Il problema della comunità di ascolto è fortissimo, soprattutto in
una radio come “Radio Popolare” che nasce non come radio commerciale ma vive su
13.000 persone che danno dei soldi ogni mese per sostenere la radio. Vive con
iniziative come concerti o anche mostre che si organizzano per sostenere la
radio. Per cui la nascita con la radio di una comunità, per una radio come
questa è assolutamente una prerogativa imprescindibile. Ma che ciò costruisca
un linguaggio diverso, io lo spero, ma non ne sono convinto fino in fondo.
Credo di si. Credo che possano nascere linguaggi diversi forse ridiscutendo un
confine dell’arte che anche qui è difficile da delimitare. Nel caso in cui non
vuoi delimitare questo confine, ma parliamo semplicemente in modo astratto di
linguaggi, sicuramente la radio lo ha ridiscusso: c’è un linguaggio che è
proprio della radio, c’è un linguaggio che è fatto in collaborazione con gli
ascoltatori della radio, insomma tutti i giorni c’è questo famoso microfono
aperto. Il fatto cioè che ogni volta si mette sul piatto un discorso che può
essere sull (????????) dell’informazione, o politico e si discute. Questo fa si
che automaticamente tu ti senti appartenere a un ambito di discussione, a un
ambito di appartenenza se vuoi, per cui credo che sia necessaria questa cosa.
Per quanto riguarda questo feedback che c’è, io all’inizio parlavo
proprio di questa doppia anima che una radio ha nel fatto di avere un ambiente
intimo all’interno dello studio e poi una possibilità molto forte di riscontro
in quanto tu parli e ti possono ascoltare migliaia di persone.
Questo non te ne accorgi quando lo trasmetti, perché quando
trasmetti in realtà cerchi di conquistarti questa intimità, anche per essere
molto più tranquillo e spontaneo (tutto sommato è anche una questione di tirare
fuori i tuoi interessi e cercare di metterli li, cercando di capire un
problema). Però a distanza di tempo hai tutta una serie di persone che ti
dicono: “ah, ma io ho sentito questo che hai detto e io non sono d’accordo”
oppure “sono d’accordo”.
Insomma si innescano sicuramente questi meccanismi. Anche molto a
sorpresa. Anche da parte di persone che non ti aspetteresti mai che ascoltino
un certo tipo di trasmissione o che magari lo ascoltino in quel determinato
momento perché magari fai le trasmissioni in orari che pensi che non vengano
ascoltate.
In realtà c’è un continuo ‘ritorno’, e anche una continua
ridiscussione di quello che si è detto. Molte volte si va avanti, la radio non
ti permette silenzio, per cui a volte continui a parlare, cerchi comunque di
continuare il discorso, di non lasciare il vuoto, di non lasciare il bianco e a
volte i tuoi pensieri passano da altre parti, ma in realtà però tutte quelle
parole rimangono... una volta si diceva “verba volant...”, in realtà con la
radio ‘vola’, ma ritorna molto in fretta e quindi se tu dici una cosa e la
gente ti sta a ascoltare, se non è d’accordo te lo dice e spesso te lo dice
anche molto chiaramente.