Il pensiero della differenza
di Mario Perniola |
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(conferenza a cura di Tommaso Tozzi e Francesco Galluzzi per il progetto “Arte, Media e Comunicazione”, 1997) |
L’argomento della lezione di oggi
è il rapporto tra l’estetica e il pensiero della differenza. Immagino che tutti
voi sappiate che cos’è l’estetica: è quella parte della filosofia che si occupa
dei problemi dell’arte e del bello. Invece un po’ più complesso e richiede una
trattazione più ampia è spiegare cos’è il pensiero della differenza. Il
pensiero della differenza, sotto questo termine va, viene intesa quella
corrente del pensiero filosofico che ha inizio potremmo dire con il pensiero di
Nietsche e che poi ha trovato i suoi punti di riferimento essenziali in Freud ,
in Heidegger, in Walter Benjamin e poi
in tempi più recenti soprattutto nel pensiero francese, prima in Blanchot,
Bataille e Klossowski e poi a partire
soprattutto dagli anni sessanta in Derrida, che è autore di un libro molto
importante che si intitola “La scrittura e la differenza” che è del 1967, di
Deleuze “Differenza e ripetizione” del 1968.
Ciò nonostante per quanto riguarda
la parola ‘differenza’ la ragione del suo successo è soprattutto collegata al
pensiero di Heidegger e a un libriccino “Identità e differenza” pubblicato nel
1957.
Che rapporto stabilire tra la
tradizione estetica del Novecento e il pensiero della differenza, e perché questo
costituisce un problema? Costituisce un problema perché l’estetica del
novecento vista nel suo complesso e anche considerata nel suo aspetto
generalissimo è sostanzialmente un pensiero orientato verso la conciliazione,
verso l’armonia, se volessimo parlare di un’estetico al neutro, così come si
parla di un politico al neutro direi che il carattere essenziale dell’estetico
è una ricerca dell’aspetto conciliativo, di un elemento di conciliazione, di
armonia. A questa linea fondamentale sono in fondo riportabili quelle che
possono essere considerate le quattro problematiche fondamentali dell’estetica
del novecento.
E cioè rispettivamente l’estetica
della vita, l’estetica della forma, l’estetica conoscitiva e l’estetica
pragmatica cioè l’estetica che si interroga in particolar modo sul problema
dell’azione estetica e su che tipo di azione essa sia, svolta dalla poesia e
dall’arte in generale.
Queste quattro problematiche
fondamentali, viste da un punto di vista estremamente essenziale costituiscono
uno sviluppo di quelli che possono essere considerati i due libri fondatori del
pensiero estetico moderno, cioè la “Critica del giudizio” di Kant e l’
“Estetica” di Hegel. Alla “Critica del giudizio” di Kant sono riportabili
rispettivamente l’estetica della vita e l’estetica della forma, cioè
rispettivamente come sapete la prima parte della “critica del giudizio” si
articolava in due parti dedicate rispettivamente al bello e al sublime. Il
carattere essenziale del bello, dice Kant, è un’intensificazione, un aumento
della dimensione vitale , e su questa affermazione di Kant si regge
appunto l’estetica della vita del
Novecento che ha i suoi grandi rappresentanti in Dilthey, in Santayana, in
Bergson in Simmel e in molti altri autori. Per quanto riguarda l’estetica della
forma, anche questa ha la sua radice in Kant l’estetica della forma che ha come
padri fondatori gli autori della cosiddetta Scuola di Vienna, cioè Wolfflin,
Riegl, Worringer, anch’essa ha un suo radicamento kantiano e soprattutto nella
nozione del sublime, di quello che va al di la della forma, e quindi si regge
un po’ su questo rapporto tra la forma e quel che supera la forma. Per quanto
riguarda gli altri due grandi aspetti dell’estetica, cioè l’estetica
conoscitiva (pensate a Croce, a Gadamer) e l’estetica dell’azione (pensate a
Dewey, ma anche agli estetici marxisti, a Gramsci, a Lukàcs, a Bloch), tutta
questa parte dell’estetica del Novecento è invece uno sviluppo dell’estetica di
Hegel. Il quale a differenza di Kant, sottolineava il valore conoscitivo
dell’arte ed era anche particolarmente sensibile soprattutto per quanto
riguarda gli sviluppi che avranno nell’ambito del pensiero marxista al problema
dell’azione, di che tipo di azione è quella estetica. Ciò nonostante tutti
questi pensatori che si autodefiniscono estetici e che si riconoscono
nell’estetica in massima parte, ad eccezione naturalmente di Gadamer, però che
in grandissima parte hanno scritto un’opera che si intitola Estetica, o che
perlomeno siriconoscono nella dimensione estetica, hanno in comune questo
aspetto, il fatto di mirare in fondo ad una dimensione conciliata
dell’esperienza.
Quello che io ho chiamato il
pensiero della differenza invece va proprio contro questo assunto fondamentale.
Freud e già Nietsche in un certo senso per primo elabora una particolare
attenzione per un tipo di esperienze, l’esperienza tragica, caratterizzata non
più dalla conciliazione, dalla conciliazione degli opposti, dall’armonia, ma al
contrario caratterizzata dalla lotta, dal conflitto, dal contrasto, dal
conflitto tra i due termini che nella sua prima opera, “L’origine della
tragedia”, chiama l’apollineo e il dionisiaco, quindi già Nietsche inaugura
l’attenzione ad un altro tipo di esperienza che non è più quello estetico, che
non è più quello pacificato, riconciliato, o che perlomeno che vede il proprio
punto di arrivo nella conciliazione e nell’armonia. Con Nietsche si inaugura
una particolare attenzione filosofica per un tipo di esperienza alternativo
rispetto all’estetica, altro irriducibile alle categorie dell’estetica e della
filosofia sia kantiana e sia hegeliana.
C’è un’attenzione a un tipo di
opposizione che va al di la sia di Aristotele, della logica dell’identità, sia
anche della logica dialettica, della logica di Hegel, che era già un tipo di
opposizione abbastanza importante, prevedeva la contraddizione, a differenza di
Aristotele, vedeva la contraddizione come il punto fondamentale del pensiero e
dell’essere. Negli altri autori che si iscrivono nella categoria del pensiero
della differenza c’è invece attenzione ad un altro tipo di esperienza; un tipo
di esperienza non conciliato come ad esempio in Freud la cui parola chiave per
quanto riguarda questo problema è “il perturbante”. Freud stesso in questo
piccolo saggio del 1919 considera il perturbante come una dimensione
dell’esperienza alternativa a quella di cui si è occupata tradizionalmente
l’estetica, quella del bello e del sublime. L’esperienza del perturbante, come
già dice la parola, è qualcosa che va al di la della logica dell’identità, il
perturbante è già l’esperienza di una differenza. Non tuttavia di una
differenza assoluta, ma di una specie di estraneità familiare, di qualcosa
secondo la definizione di Schelling che Freud eredita, qualcosa di sepolto che
non dovrebbe affiorare, ma che ciò nonostante affiora. Secondo questa
definizione il perturbante per eccellenza è sicuramente l’inconscio perché è
l’inconscio che è questa specie di estraneità che si presenta con i caratteri
della familiarità, questa specie di estraneità familiare, questa specie di
ripetizione che però non è una ripetizione identica, è una ripetizione
spostata, una ripetizione differente.
Punto invece centrale dal punto di
vista della filosofia, per quanto riguarda il pensiero della differenza è
ovviamente rappresentato da Heidegger. Heidegger che scrive delle pagine
nettamente ostili alla nozione di estetica. Ritiene che il proprio pensiero, la
propria riflessione sull’arte, non abbia niente a che vedere con l’estetica.
L’estetica è secondo Heidegger una parte della metafisca, cioè di quel pensiero
caratterizzato dall’oblio dell’essere, caratterizzato da una riduzione
dell’essere a ente, cioè caratteristico di un pensiero che Heidegger critica.
L’intera filosofia di Heidegger può essere considerata nel suo complesso come
una critica della tradizione metafisica occidentale, quella che parte da
Platone eed Aristotele ed arriva fino ad hegel e addirittura anche a Nietsche.
L’estetica è quindi una parte della metafisca e nei suoi confronti Heidegger
tiene un atteggiamento di critica. Egli s rivolge direttamente alle opere
d’arte per interrogarle e in qualche modo ci fa accedere ad una tonalità
caratterizzata da un completo abbandono sia delle categorie dell’identità
aristotelica, sia anche della dialettica hegeliana. E’ l’ingresso in un altro
orizzonte filosofico, è l’ingresso in un altro orizzonte di esperienza a cui si
accede secondo Heidegger soprattutto attraverso i poeti, alcuni poeti a cui
egli attribuisce un valore paradigmatico, penso soprattutto ad Holderlin, il poeta
tedesco che sta a cavallo tra il Settecento e l’Ottocento, o alcuni poeti del
Novecento come Tralk, come Rilke, oppure alcune opere d’arte come Cezanne, Van
Gogh, che consentono l’accesso ad un’esperienza alternativa rispetto alla
metafisica e al pensiero tradizionale dell’occidente. Il pensiero di Heidegger
è profondamente rivoluzionario perché è caratterizzato da questa critica
radicale che si estende a tutta la filosofia dell’occidente. Con alcune
eccezioni: i poeti e alcuni filosofi, quei filosofi che erano già un po’ poeti,
come i presocratici (Parmenide, Eraclito...). Quindi questi due autori possono
essere considerati come i due pensatori per eccellenza della differenza. Nasce
quindi essenzialmente questo problema, ci si trova di fronte a questo paradosso:
la parola estetica letteralmente rimanda al termine greco eistesis che vuol
dire sensazione e che dovrebbe essere quella parte della filosofia che è
attenta ai problemi della sensazione, è attenta ai problemi del sentire, del
sentimento. Paradossalmente tuttavia, fintanto che si
rimane nell’ambito dell’estetica tradizionale, questro sentire è un sentire che
va sempre nella direzione della conciliazione dell’ordine dell’armonia, e non
va invece nella direzione opposta, nella direzione di qualcosa di nuovo, di
esperienze nuove, alternative come quelle descritte da Freud, come quelle a cui
fa riferimento la filosofia heideggeriana. Quindi nasce questo paradosso, che
da un lato nel Novecento noi ci troviamo sempre più esposti a tipi di
esperienze che come quelle delle malattie mentali, della psicosi e della
nevrosi studiate da Freud o a esperienze come quelle del sentire infantile,
oppure esperienze che riguardano il sentire di cui si occupa l’antropologia e
la etnologia, quello dei cosiddetti popoli primitivi. Tutti argomenti che sono
per altro al centro dell’interesse delle arti, della letteratura e della musica
fin dal primo Novecento, e che costituiscono un elemento, un aspetto essenziale
dell’esperienza del Novecento. C’è una specie di distacco, di iato, tra la
riflessione estetica tradizionale e l’esperienza del Novecento. A mio avviso i
veri interpreti dell’esperienza del Novecento non sono tanto gli estetici, ma
sono appunto i pensatori della differenza di cui Nietszche, Freud e Heidegger
costituiscono i riferimenti. Ma essi non sono gli unici punti di
riferimento, una svolta decisiva è quella rappresentata dal pensiero francese
soprattutto degli anni Sessanta, e da tre autori che stanno un po’ sullo
sfondo, e sono appunto Georges Bataille, che ha elaborato la nozione di
dispendio, che si è soffermato sui problemi dell’erotismo e sulla nozione
stessa di erotismo, Maurice Blanchot, un altro francese la cui indagine è
soprattutto centrata sul carattere paradossale, ‘altro’, completamente ‘altro’,
dell’esperienza letteraria, della scrittura letteraria, della letteratura
pensata come un che di neutro, come l’ingresso in una dimensione neutra, e poi
infine Pierre Klossowski, un altro francese che ha portato la propria
attenzione soprattutto sulla nozione di simulacro dove simulacro però non deve
essere inteso come falso, come menzogna, ma deve essere inteso come qualcosa
che sta al di là del vero e del falso, come l’accesso ad una terza dimensione
in cui l’immaginario e il reale coincidono, tendono a coincidere. Da questi tre
autori in qualche modo nasce quello che si è autodefinito come pensiero della
differenza, che ha avuto così grande
rilievo e sviluppo soprattutto in Francia nel corso degli anni Sessanta ei cui
rappresentanti sono appunto gli autori a cui facevo prima riferimento, Jacques
Derrida, il cui pensiero si è andato poi più determinando come un pensiero
della decostruzione della filosofia occidentale, e Gilles Deleuze che con Felix
Guattari ha scritto alcuni libri molto significativi tra cui l’ultimo, che mi
sembra molto rilevante, recentemente pubblicato anche in italiano, si intitola
“Che cos’è la filosofia?”. Per concludere, se noi riflettiamo sull’estetica,
sulla filosofia dell’arte di questo secolo ci troviamo dinnanzi ad una specie
di paradosso, che consiste nel fatto che l’estetica in senso stretto continua a
sviluppare problematiche che appartengono al Settecento e all’Ottocento,
rispettivamente a Kant e a Hegel, mentre i veri interpreti del sentire del
Novecento, di un sentire altro, alternativo, che rappresenta gli aspetti
perturbanti, non sono estetici, sono contro l’estetica. Danno inizio in qualche
modo a un altro tipo di considerazione filosofica che non si può etichettare
col nome di estetica anche se in un certo senso interpreta in maniera più
profonda, in maniera più essenziale, quelle che sono le linee portanti
dell’attività artistica, dell’attività musicale, dell’attività architettonica
del Novecento.