World is a ghetto
di Leonardo Landi |
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(conferenza a cura di Tommaso
Tozzi per il progetto “Arte, Media e Comunicazione”, 1997)
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Villaggio globale, i media occidentali hanno
colonizzato il mondo, dalle Filippine al Senegal, dall'Alaska alla Patagonia
gli stessi strumenti, gli stessi programmi diffondono un unico stile di vita.
E' l'omologazione culturale.
Sistemi di potere mediatico impongono la loro volontà
su masse amorfe e sottomesse,
... ma l'onnipotente controllo pone le basi per la
sua stessa dissoluzione.
I moderni mezzi di comunicazione, in realtà,
forniscono delle armi micidiali a tutti i popoli.
Negli USA, dove il sistema mediatico ha raggiunto il
massimo sviluppo, vediamo le comunità più emarginate che lo attaccano e se ne
impossessano.
La cultura di strada è ormai diventata il mainstream.
La musica rap, musica di strada, espressione diretta
e immediata della realtà quotidiana, se da una parte è la musica popolare
moderna, dall'altra è anche quella più trasmessa e clonata dai mezzi di
comunicazione ufficiali.
Nel cinema il "ghetto movie" ha imposto i
suoi canoni visivi ed estetici ad Hoollywood.
Le cupe atmosfere metropolitane, tipiche del black
cinema, si ritrovano in diecine di films diretti da bianchi (Seven, Trespass,
Bronx, ecc) Wesley Snipe, protagonista di molti films sul ghetto ottiene il
premio a Venezia. In Pulp Fiction l'unico protagonista in qualche modo positivo
è un nero.
L'evoluzione dell'arte murale dei ghetti,
caratterizzata inizialmente dalla ricerca di un'affermazione individuale (le
firme), ha raggiunto la maturità comunitaria. Gli affreschi R.I.P. (riposa in
pace), che adornano le strade di New York, sono commissionati e retribuiti
dalle comunità stesse.
Gli artisti del ghetto sviluppano uno stile visivo
che recupera le tradizioni pittoriche delle varie etnie (Black, Ispanici, ecc).
Questa affermazione di comunità emerginate ha contagiato il mondo.
I popoli si appropriano delle possibilità offerte dai
media per affermare se stessi.
Le tradizioni si rivitalizzano e viaggiano per il
Pianeta alla velocità di Internet.
Il mito di Bob Marley e Bruce Lee, le prime grandi
stars del Sud del mondo, fa impallidire quello dei Beatles e di Jeams Dean per
la durata temporale.
In Pakistan, il grande musicista sufi Nusrat Ali
Fateh Khan interpreta canzoni tradizionali su ritmica ragga o funky. La stessa
che fa da base alle colonne sonore della sterminata produzione cinematografica
indiana.
I montaggi mozzafiato di John Woo modificano il ritmo
del cinema di tutto il mondo.
I movimenti sociali possono sfruttare la situazione,
i passamontagna degli Indios del Chiapas dimostrano che anche gli uomini senza
volto possono affermare i loro diritti.
Le nuove tecnologie offrono anche la possibilità di
una diffusione capillare. Quasi tutti, ormai, possono permettersi di usare una
video camera o un computer.
In Italia, nel Campo Rom del Poderaccio di Firenze,
rituali sufi, che affondano le loro radici in tempi remoti, sono rappresentati
in video. Il media non ne diminuisce l'impatto diretto, ma anzi, grazie ad un
utilizzo collettivo del mezzo, lo socializza maggiormente.
Nelle riprese non si cerca l'effetto spettacolare, ma
si valorizzano le persone. Tutti sono importanti in funzione dell'uso comunitario
delle immagini. Tutti le riguardano insieme, commentano e, soprattutto, si
rivedono. La diffusione dei video per i campi rom diventa una forma di
"pubblicità" che rafforza la coesione della comunità intorno alle
proprie tradizioni e aiuta a resistere al genocidio culturale. Tutto questo è
reso possibile, poi, dai contatti che i Rom fiorentini hanno con il Paese da
cui provengono, la Macedonia. Là esistono studi gestiti da Rom che rendono
possibili il montaggio, la sottotitolatura e l'inserimento di un'adeguata
colonna sonora. Si creano così dei
canali diretti sovranazionali che rafforzano l'identità etnica e nello stesso
tempo permettono l'apertura all'influsso di altre culture. Questo legame è
facilitato anche dall'uso delle antenne paraboliche. Entrando nella baracca che
fa da bar nel campo del Poderaccio, possiamo ascoltare il D.J. turco, che
trasmette da Instabul, con un suono pulito come se fossimo in Turchia.
Ovviamente i Rom non sono la sola comunità che agisce
così. Tutto il mondo è attraversato sotterraneamente da reti di comunicazione
alternative al grande sistema di controllo mediatico. Sono i ghetti stessi,
creati per emarginare, a diventare il centro dello sviluppo culturale della
nostra epoca.
Il ghetto ha ghettizzato la metropoli.