Il giornale: le trasformazioni dal medium cartaceo a quello digitale
di Franco Carlini |
||
(conferenza a cura di Tommaso
Tozzi per il progetto “Arte, Media e Comunicazione”, 1997)
|
Questo
è il libretto dell’auto, un libretto di circolazione di un’automobile.
Da
qualche parte, in qualche casellina c’è scritto CV 14. CV. Cavalli Vapore.
Addirittura
ci portiamo il ricordo di quando andavamo a cavallo e poi il ricordo di quando
le macchine erano macchine a vapore.
A
me sembra un’ottima testimonianza del fatto che ogni nuova tecnologia non
soppianta mai la precedente, ma, almeno come memoria linguistica, si porta
dietro quelle che l’hanno preceduta.
Quando
naquero le macchine a vapore si pensò di valutare la loro potenza in ‘cavalli’
equivalenti e quando naque il motore a scoppio si continuò comunque a chiamare
la potenza con quell’unità di misura convenzionale che era il cavallo vapore.
Con
i mezzi di comunicazione succede esattamente la stessa cosa, nel senso che la
radio non ha soppiantato e buttato via i giornali, la televisione non ha fatto
morire la radio e senza dubbio l’Internet, il WEB e i nuovi media non
scalzeranno del tutto i vecchi.
Il
processo piuttosto è un po’ più complicato e ci dimostra tra l’altro che
l’emergere di un nuovo mezzo di comunicazione non è mai soltanto ed
esclusivamente determinato dal patrimonio tecnico e dall’innovazione tecnica
che esso contiene al suo interno.
Così
come il nostro comportamento umano e sociale è influenzato dai nostri geni e
dal nostro patrimonio genetico, ma non è da essi univocamente determinato, così
anche un’invenzione tecnica non contiene già in se quello che sarà una volta
buttata in mezzo alla gente alle persone al mercato; anzi potrà essere
rifiutata, accettata, o più spesso modificata e plasmata a seconda di come
questa interazione tra tecnica e società, tra innovazione e consumi si svilupperà.
Questo
è vero anche per i giornali, che sono l’oggetto specifico di questa
chiaccherata.
Nel
senso in cui si è detto i giornali hanno avuto una grande funzione di crescita
della democrazia, ma di una democrazia d’élite in quanto sono nati come strumento
di diffusione di notizie e di circolazione delle idee di una classe borghese
che si avviava in sostanza a diventare egemone in tutti i paesi dell’occidente.
Questo è stato. Ma sono sempre stati largamente un fenomeno elitario, anche
nella sua forma moderna del giornale popolare del tabloid e via di seguito.
Dopodiché
a fianco ad esso sono venuti altri mezzi.
L’ultimo
che incalza e che incalza creando qualche preoccupazione agli editori è appunto
il mezzo elettronico. E quì davvero di formulare giudizi e previsioni non è
semplice ne scontato, ne banale. Si possono cogliere indizi, vedere percorsi in
atto, fare il bilancio di esperienze già esistenti, alcune fallimentari, altre
che sembrano interessanti, e cercare di capire e anche di lavorare per quello
che interessa realizzare; interessa realizzare ai fini di una comunicazione la
più diffusa possibile, la più interattiva possibile.
Parliamo
dei quotidiani.
Quello
che hanno pensato di fare come prima mossa di fronte all’emergere delle reti di
comunicazione telematica è stato soltanto quello di dire: beh, mi metto anche
li.
Un
po’ perché era molto trend, era molto di moda esserci, perché faceva “hi-tech”,
un po’ perché era relativamente facile e poco costoso, almeno in apparenza.
In
fondo ogni pezzo di carta che noi vediamo stampato su un quotidiano, su una
rivista, nasce non più come piombo, ma nasce come bit su una memoria di
computer. E’ un testo, un testo elettronico, ed è relativamente facile
travasarlo direttamente in tipografia, farlo diventare una pellicola; ed è
ancora più semplice farlo diventare un flusso di bit reso disponibile su dei
file e spediti a qualcuno oppure messi su un computer perché qualcuno li possa
leggere.
Questa
è la fase della trasposizione del quotidiano così com’è in un altro supporto,
in un nuovo canale di distribuzione. Un canale di distribuzione a scala
mondiale.
Quindi
non per caso molti dei lettori dei quotidiani in linea sono cittadini lontani,
ad esempio italiani immigrati, che però si possono leggere lo stesso il loro
‘Corriere della Sera’, la loro ‘Stampa’, il ‘Sole 24 Ore’, pure abitando in
Australia o in Giappone.
Quindi
è sopratutto un canale di diffusione degli stessi contenuti così com’erano,
anzi, perfino un po’ più povero.
Più
povero in quanto la pagina di un giornale per come la si presenta, specialmente
nei giornali di grandi dimensioni, in qualche modo è una costruzione.
La
disposizione dei pezzi in pagina indica una gerarchia, sia per la loro
collocazione, sia per i corpi usati. Lo stesso montaggio e l’accostamento in
una pagina di cose diverse segnala in tal modo anche le similitudini o i
contrasti. Si costruisce per così dire un blocco di notizie che attira lo
sguardo del lettore e su cui il lettore sceglie, ma in cui già l’intervento
della redazione ha un effetto di mediazione.
Realizzare
le stesse cose sulle pagine WEB non è così semplice, ne scontato, ne così
facile.
Anche
nei giornali più illustri, spesso ci troviamo di fronte semplicemente a una
lista di titoli e sotto ognuno di questi titoli c’è il loro testo originario,
quello che esiste anche su carta stampata. Non è una buona soluzione, perché il
titolo, estratto dal contesto e dalla sua impaginazione, si impoverisce o
addirittura risulta incomprensibile.
Ci
sono altre soluzioni.
Ci
sono soluzioni di altri quotidiani che hanno pensato invece di dire: accanto
alla nostra redazione per la carta, facciamo una nostra redazione elettronica.
Questo
è un altro passo possibile.
Il
rischio in questo caso è semplicemente che i due mondi, le due redazioni non
comunichino più di tanto tra di loro, però ha il vantaggio che si destinino
alcune persone a pensare specificatamente a un’impaginazione, a un modo di
scrivere, a una scelta delle immagini e perché no dei suoni, dei video allegati
da mettere in rete.
Insomma
il prodotto viene già pensato per il nuovo mezzo.
Mezzo
che non è soltanto un canale di distribuzione, ma è una pagina diversa. E’ una
pagina elettronica, è un monitor scorribile all’infinito, però con caratteristiche
diverse che devono attirare l’attenzione.
Non
si può usare una metafora semplice per lo ‘sfogliare le pagine’.
Come
si suol dire è un ipertesto.
Una
terza soluzione è una soluzione ibrida, sia dal punto di vista dell’interno dei
giornali, sia dal punto di vista del prodotto per come compare.
Rispetto
alla lettura dei giornali si può
pensare a soluzioni per cui gli stessi redattori mentre maneggiano le stesse
notizie in qualche modo pensano e avviano i materiali su due destinazioni e due
canali diversi.
Questa
è una possibilità non semplicissima. Infatti, a mia conoscenza, non esistono
esperienze particolarmente significative e riuscite di giornali che abbiano
fatto questo.
Una
delle migliori esperienze non è quello dei giornali stampati, ma è, almeno a
mio avviso, quello di un posto come quello della C.N.N.. Nel senso che li i
redattori evidentemente hanno già presente e sanno già cosa vuol dire usare
l’immagine non come supporto a un testo, oppure un testo come pura didascalia a
un’immagine fissa, ma hanno una particolare predisposizione a lavorare
‘mescolando i generi’ (la parola parlata, la parola scritta, le immagini in
movimento, i suoni) e anche a lavorare per ‘spezzoni’, per piccoli bit, per
piccoli bocconi di informazione, però tra di loro variamente collegati.
In
questo caso si scoprono di colpo delle possibilità in più che sono anche quelle
che negano il fatto che si possa, come dicevo prima, semplicemente trasporre il
nostro testo scritto sulle pagine elettroniche.
Le
possibilità in più sono quelle di agire in sostanza a diversi livelli e con
diversi linguaggi intrecciati.
Uno
dei diversi livelli è quello della notizia, che a questo punto non deve essere
più cadenzata all’ora del telegiornale o all’ora dell’uscita in edicola: la
notizia è viva quando arriva.
Quindi
oggi alle 17.49 se abbiamo la notizia importante, ad esempio, che è stato
trovato l’indizio di chi ha dato fuoco alla chiesa di Torino che conteneva la
Sindone, la si da oggi.
Però
non si da solo la notizia, perché questa sarebbe semplicemente la metafora
dell’agenzia giornalistica.
Si
può scendere di livello, e allora avere insieme alla notizia il commento,
l’opinione dell’esperto, i fatti di contesto e via via a scendere fino ai
documenti ‘originali’.
Dato
che a differenza degli altri mezzi non c’è limiti, o quasi, di lunghezza, il
problema è soltanto quello del montaggio.
In
un pezzo radiofonico quando è lungo tre minuti è già una noia mortale se parla
sempre la stessa persona come sto facendo io adesso. Allo stesso modo un pezzo
di racconto giornalistico può essere di settanta righe, centoventi righe,
centocinquanta righe e poi siamo già ai limiti fisici costitutivi sia
dell’attenzione del lettore, sia della disponibilità dello spazio sul mezzo.
In
questo caso invece i computer hanno memorie praticamente illimitate rispetto ai
bisogni e allora è chiaro che si può strutturare informazione in modo che sia
disponibile fino ai livelli di approfondimento massimo. Non solo
l’informazione, ma la cultura che ci sta dietro e persino i documenti originali
(siano essi testuali, verbali o visivi).
In
questo caso è evidente che il nuovo mezzo comporta una progettazione e un’idea
da parte di chi lo scrive.
Dobbiamo
usare la metafora dello scrivere anche se non di scrivere si tratta, non di
girare si tratta, non di una pura registrazione si tratta, ma di una cosa nuova
per la quale ci mancano le parole.
Infatti
come nel caso dei cavalli a vapore che dicevo all’inizio, anche in questo caso
l’assenza di parole ci segnala che siamo di fronte a un fenomeno nuovo che
ancora non siamo in grado di capire e ricorriamo a penosi espedienti del tipo
mettere una “e-” davanti a una parola esistente per designare la cosa nuova:
“e-mail” come posta elettronica, “e-cash” come denaro elettronico e via di
seguito.
Non
solo, ma in questa fase avviene anche un altro fenomeno, anzi altri due
fenomeni contemporaneamente.
Il
primo al lettore dei quotidiani normale non appare.
E’
il come la presenza e la disponibilità delle reti telematiche (in questo caso
non più come mezzo di diffusione, ma come fonte delle notizie) cambi il lavoro
stesso.
Nei
giornali succede che viene molto valorizzato l’inviato su campo, il leggendario
inviato di guerra, piuttosto che il commentatore.
Normalmente
viene considerato un lavoro un po’ abbruttente e avvilente quello del
giornalista di scrivania, di “desk” come si dice, quello che raccoglie le
agenzie al computer, le monta, le reimpagina ed è finita li.
Egli
non ha diritto a firma, non compare, non esiste.
Ora
è possibile che il famigerato giornalista di desk di colpo ritrovi una sua
funzione. Da bistrattato a essere invece di nuovo il cuore: colui che monta,
sceglie, e soprattutto ha presente, come un grande archivista, tutte le
diramazioni possibili di una notizia.
Allora,
rimanendo sempre nella metafora ‘scrittoria’, cosa cambia invece dal punto di
vista del lettore?
Cambia
(e i giornali stessi sono per questo costretti a ridefinire il proprio ruolo)
nel senso che l’informazione comincia a non essere più una cosa transiente,
transitoria, una cosa che si consuma e domani non esiste più.
Oggi
quello che caratterizza quasi tutti i media è il fatto che una notizia data, è
una notizia consumata, e, salvo qualche cosa nei due giorni successivi, non
esiste più.
L’effetto
‘perdita di memoria’ è uno degli effetti negativi in realtà di quasi tutti i
mezzi di comunicazione, perché poi la memoria viene depositata altrove, nella
saggistica, viene depositata nei libri, e non è mai presente, non è mai
immediatamente accessibile.
Questo
cambia molto la situazione.
In
sostanza cosa succede?
Che
l’emergere di nuovi mezzi di comunicazione costringe i vecchi a ridefinire se
stessi e a ritrovare il proprio valore aggiunto, il prorpio
‘corp(?????)business’ se si dovesse usare un termine aziendale.
Come
la radio non è stata spiazzata dalla televisione, ma vive perfino un nuovo
momento felice, così anche i giornali, una volta che ripensano se stessi e non
pensano semplicemente di adeguarsi agli stili comunicativi (ad esempio a quello
della televisione), ma invece riscoprono qual’è un motivo vero, un motivo più
profondo, quello più utile per cui il lettore li va cercando, anche i giornali
di carta possono, anzi dovranno, senza dubbio ritrovare la loro funzione.
Funzione
che, in un universo in cui le notizie sono tutte immediatamente disponibili
(già adesso con la televisione, ma ancor di più con Internet), sarà
probabilmente quella di essere i ‘fornitori di punti di vista’.
I
fornitori di punti di vista interessanti, raziocinanti, suggestivi, anche di
emozioni, ma comunque di un valore aggiunto che la notizia pura da sola non da.
Nello
stesso tempo potranno probabilmente avere in sinergia o in parallelo, o in
maniera intrecciata (le forme aziendali e organizzative non sono davvero
facilmente definibili, sono soltanto sperimentabili nella pratica e nel
concreto fare) anche la loro veste elettronica e insieme però troveranno questa
volta dei nuovi concorrenti.
Nel
senso che alla fin fine una delle cose che è già successa (non è una previsione
quella che io faccio) è che praticamente ogni luogo di Internet, ogni sito, è
comunque una sede di informazioni.
Persino
quelli che si presentano più di altri come siti di puro servizio (le famose
macchine di ricerca, mettendo dentro le quali una parola chiave si trovano
tutti i riferimenti che esistono sulla rete che contengono quella parola), sia
per motivi commerciali, sia per attrarre più visitatori, forniscono ormai un
servizio di super-agenzia.
Abbiamo
dunque un agglutinarsi e uno sparpagliarsi assieme di informazioni, per cui chi
usa un servizio che è un puro servizio archivistico, nello stesso tempo trova
le ultime notizie di quel giorno, magari riprese, rilanciate, ricostruite
assieme, rimontate.
E’
un bel ‘turbinio’. Un turbinio non immediatamente definibile oggi nel suo
itinerario di sviluppo, ma che segnala che entrano in campo insieme al nuovo
mezzo nuove competenze, nuove professionalità le quali, di nuovo, non sono oggi
date.
Non
esiste la scuola di giornalista Internet, non esiste ancora, e non sarebbe
possibile farla. E’ possibile probabilmente soltanto cercare di sperimentare
con una qualche intelligenza e lungimiranza quello che andrà a succedere.