Berardi
Franco
"Spunti
di riflessione"
(intervista
di Mediamente, 1996)
Quella
degli hackers è una realtà complessa: le loro azioni vanno
dall'innocuo vagabondaggio telematico al sabotaggio. C'è chi rifiuta
di applicare la nobile etichetta di hackers ai responsabili delle azioni
più discutibili e c'è chi, invece, vede anche nei creatori
di virus informatici dei combattenti un po' anarchici impegnati contro
il monopolio dell'informazione. Dando per scontato l'aspetto nobile di
alcune attività degli hackers, cosa pensa, invece, delle motivazioni
dei guastatori telematici, i cosiddetti crackers, creatori di virus?
A volte è difficile, probabilmente impossibile, dare una valutazione
morale assoluta su un comportamento di sabotaggio. A me interessa maggiormente
vedere quali sono le pieghe, le forme diverse del comportamento eterodosso
in rete, per le quali dobbiamo distinguere tre comportamenti. Il primo
è quello dello hacker classico: il comportamento di chi cerca,
di chi sperimenta, di chi va ad infilarsi nei luoghi più nascosti
per scoprire prospettive nuove. Il secondo è quello del cracker:
colui che distrugge a buon fine, a cattivo fine, o, comunque, che intende
manifestare la sua presenza in forma essenzialmente distruttiva. Il terzo
aspetto comportamentale che non si deve dimenticare è quello del
neoluddismo: il neoluddista è colui che ritiene che il comportamento
di rete, nel complesso, abbia prodotto o stia producendo degli effetti
di raffreddamento della comunicazione, di alienazione della comunicazione
tali per cui è bene comportarsi in maniera definitivamente sottrattiva
nei confronti della rete. Io non credo che si possa moraleggiare e dire:
va bene o non va bene; i comportamenti potranno essere valutati in un
senso o nell'altro a seconda dei casi, delle situazioni e, soprattutto,
del panorama che la rete ci presenta.
Le chiedo di immedesimarsi per un momento in un hacker o in un cracker.
Cosa saboterebbe in rete, stasera, tornando a casa?
Si parla della possibilità di vendere materiale militare in rete;
è evidente che si tratta di un comportamento che configge in maniera
radicale con l'etica della rete, eppure si trova là dentro. E'
possibile sabotare la vendita di morte in rete, io non so perché,
non l'ho mai fatto e non ho la competenza tecnica per farlo, ma, probabilmente,
se ne fossi capace lo farei. L'invadenza della pubblicità, per
esempio, andrebbe probabilmente già ora contrastata con della azioni
che, senza diventare distruttive, potrebbero cancellare o diminuire la
presenza della pubblicità nella comunicazione di rete. Noi passiamo
il tempo nell'attesa dell'informazione a ricevere non informazione, bensì
pubblicità; questo tempo potrebbe essere utilizzato in un'altra
maniera. Si tratta di ragionare in maniera inventiva piuttosto che in
maniera distruttiva: com'è possibile riempire gli spazi di tempo
vuoto di fronte allo schermo in attesa dell'informazione di rete con qualcosa
che non sia pubblicità? Un comportamento creativo e non distruttivo
di hackeraggio potrebbe, per esempio, lavorare su questo aspetto.
Si parla tanto di presenza in rete di pagine che eticamente non sono all'altezza
di una comunicazione così diffusa, come quelle dedicate alla pornografia.
Qual è il suo parere a proposito di questo problema?
Per qualche tempo tutti abbiamo favoleggiato su Internet come una sorta
di paradiso della comunicazione in cui le regole etiche o la contravvenzione
delle regole etiche fondamentali viene messa tra parentesi, in cui la
democrazia ed il bene reciproco sono garantiti dallo strumento stesso
che stiamo usando. In realtà non è così: Internet
è come il mondo, c'è altrettanto male quanto bene e qui
ne abbiamo la prova. E' stupefacente come l'opinione pubblica o una parte
del mondo politico, soprattutto negli Stati Uniti, si sia ribellata contro
la pornografia in rete fino ad elaborare un sistema di leggi contro di
essa, e come, invece, sulla vendita di armi, fino a questo momento non
si sia sentito nessuno ribellarsi o proporre leggi.
Curiosamente, per altro, entrambe le cose sono legali negli Stati Uniti.
Naturalmente. Certo, non bisogna dimenticare che la vendita di armi, rete
o non rete, è sempre stata ben vista, oltre che ad essere legale,
da una parte considerevole del mondo dell'opinione pubblica americana.
Poco fa parlavamo della questione dell'hackeraggio: ecco qui siamo di
fronte ad un argomento che ci riporta a quel tema. Probabilmente, il compito
di intervenire, di bloccare e di sabotare la vendita di armi è
fra quei compiti che conferiscono un carattere etico accettabile anche
all'attività degli hackers più cattivi e più radicali
ai sabotatori.
Il fatto che Internet si sia già svelato una replica, anche se
smaterializzata, del nostro mondo, può dare la sensazione di un
paradiso perduto, di qualcosa che poteva essere ma non è stata?
Io non vedo la questione in questi termini. In primo luogo perché
continuo a credere nel fatto che la rete sia, nella grande maggioranza
dei suoi utenti e nella grande maggioranza dei suoi usi, un luogo nel
quale sono rese possibili attività e forme di vita e di cultura
più ricche e più tendenzialmente gratuite, dunque più
buone, di quelle che incontriamo nel mondo di tutti i giorni. Che poi
la rete possa essere piegata a degli usi di tipo commerciale o di tipo
militare o di tipo pubblicitario, nei quali l'etica per lo più
viene dimenticata, questo mi pare un aspetto che resta possibile, ma che
non è per il momento consustanziale, che non è nella natura
e nella cultura di questo mezzo. Noi siamo portati a scandalizzarci di
più per la presenza della commercializzazione, della pubblicità
o della militarizzazione quando li incontriamo nel mondo del puro scambio
di segni che è la rete, di quanto ci capiti camminando per le strade
di questo mondo.
Internet sta morendo?
Non mi sembra sensato dire cose di questo genere. Da un po' di tempo è
vero che ci rendiamo conto di una situazione di sovraffollamento idiota
all'interno della rete, e da qualche tempo alcuni esperti hanno cominciato
anche a prevedere una specie di crisi economica della rete. Ricordo che
Bob Metcalfe, un osservatore di rete, circa un anno fa, all'inizio del
'96, aveva previsto una crisi economica di Internet. In realtà
questa crisi economica comincia un po' a verificarsi; il valore degli
investimenti in Internet diminuisce, le aziende cominciano a capire che
investire su Internet, così a caso, non ha senso. Tuttavia, questa
riduzione dell'interesse economico verso la rete non è un fatto
soltanto negativo, ma nel medio periodo potrebbe rivelarsi un toccasana
perché finalmente l'affollamento potrà ridursi e coloro
che intervengono in essa cominceranno a farlo perché hanno qualcosa
da dire o da ricevere di reale, di effettivo. Quindi io non prevedo affatto
che Internet stia morendo, credo, al contrario, che stia attraversando
una positiva cura dimagrante.
E a proposito delle riviste teoriche di rete?
Alcune delle riviste che mi piace frequentare in rete hanno come oggetto
principale proprio la rete, proprio il mondo virtuale, il suo divenire,
le sue possibilità. In particolare io vi propongo, tra le riviste
particolarmente interessanti, una che si chiama "C-Theory",
che ha sede a Montreal, nel senso che la gente che la anima vive a Montreal
ed il suo argomento è il divenire della sensibilità contemporanea
nel rapporto con il virtuale. Si tratta di un sito piuttosto tormentato
dal punto di vista filosofico, con autori come Jean Baudrillard, oppure
Arthur Krocker, che sono qualche volta dei profeti di sventura per l'umanità
ed anche per la rete. Poi c'è, invece, un sito inglese che si trova
all'università di "Westminster" a Londra, che si chiama
"Hypermedia Research Center": si tratta di un sito di ricerca
teorica che ha la configurazione di una rivista ed anche di una chat-line,
di uno spazio interattivo, in cui si analizza il lavoro di coloro che
hanno un rapporto con il mondo virtuale, con la rete, con la produzione
ipermediatica e così via. Un terzo sito di ottima qualità
si chiama "Alula Dimension": è una rivista teorica ed
al tempo stesso una rivista d'arte; il tema centrale di questa rivista
è quello dei codici bionici che permetteranno un accesso tranquillo,
felice e non più aggressivo e non più depresso all'interno
del mondo che comincia a delinearsi. "Codici bionici", o meglio
"bionic codes", è una rivista tutta nera con dei disegni
ruotanti che permettono l'accesso ad un mondo luminoso. Un quarto sito
che vi consiglio senz'altro è quello della rivista "Adbusters":
è una rivista su carta che ha anche un suo corrispettivo di rete
ed è essenzialmente dedicata ad una critica della pubblicità:
della pubblicità televisiva, della pubblicità nelle strade
ed anche, naturalmente, ad una critica della pubblicità in rete.
Altri siti che mi piacciono moltissimo sono siti dedicati alla psichedelia;
ce n'è uno, ad esempio, curato da Terence Mc Kenna e Anton Wilson
che si chiama "Hyperdimension"; questo sito rivolge una particolare
attenzione alla cultura psichedelica, alle droghe psichedeliche, all'arte
psichedelica, alle esperienze sciamaniche e a tutto ciò che costituisce
il mondo di trapasso dal digitale, dal virtuale, verso l'alterazione,
verso la nuova tropia, verso la psichedelia, appunto. Per finire vi consiglio
un sito italiano che si chiama "www.Dada.It", probabilmente
molti lo conoscono, ed è un sito di informazione sulla vita culturale
italiana, soprattutto fiorentina perché il sito è concepito
a Firenze, ma è anche un sito che dà accesso a possibilità
di ricerca letteraria od artistica. Per esempio, all'interno di "Dada"
potete accedere ad una sezione dedicata a Thomas Pynchon, questo mito
letterario della rete, questo personaggio che scrive libri bellissimi,
ma che nessuno sa chi è perché si è sempre nascosto
e, in qualche maniera, ha anticipato l'anonimato, la disidentificazione
che nella rete ha così largo spazio.
Come si prospetta, nel futuro, la pubblicità in rete?
Quello della pubblicità è, in fondo, uno degli argomenti
che hanno accompagnato la critica della cultura di massa fino dagli anni
'60. Essa ha avuto un ruolo particolarmente invasivo nell'epoca della
televisione, ma conosce una metamorfosi straordinaria nel passaggio dal
predominio della televisione al dominio della rete. Perché la pubblicità
cambia? Perché la pubblicità tende a diventare interattiva:
quando noi troviamo pubblicità in rete, non soltanto troviamo qualcuno
che ci dice "compra questo o compra quello domani mattina",
ma troviamo qualcuno che dice "spingi questo bottone e compra questo
prodotto, compralo subito, stasera stessa". Ecco, dunque, che la
pubblicità può diventare un servizio immediatamente utile,
ma può diventare anche più sottilmente invasiva, più
sottilmente pericolosa rispetto ai nostri bisogni reali. Nella rete, fare
pubblicità significa non solo comunicare che si può comprare
qualcosa, bensì aprire le porte di un consumo immediato ad un utente
che è invitato ad entrare nel tuo grande magazzino, non in un tempo
futuro, ma adesso.
Affrontiamo ora la questione della pratica della lettura.
Quando leggiamo un testo scritto, io ho come l'impressione che prendiamo
un macete e ci facciamo largo fra il bosco in maniera diretta, è
quasi come un corpo a corpo che noi stiamo vivendo con il testo, con i
personaggi, le emozioni, i concetti, i sentimenti, l'intrigo. Leggere
un testo scritto sulla pagina di carta è proprio come muoversi
all'interno di un intrigo materiale. Quando leggiamo sullo schermo è
come sorvolare un vasto territorio correndo in elicottero: io immagino
di essere su di un elicottero e là, sotto di me, vedo ampie sezioni
di territorio, posso passare da un territorio all'altro, posso avvicinarmi,
posso guardare meglio, ma il corpo a corpo manca, se voglio il corpo a
corpo devo tornare alla carta. Qualche anno fa si diceva che quando si
sarebbe diffusa la rete avremmo finito di sprecare carta perché
avremmo letto sullo schermo. A mio avviso questo non è successo
affatto, ma succede il contrario, perché quando voglio leggere
qualcosa davvero, vado a stampare e a quel punto ritorno al corpo a corpo;
probabilmente la produzione e lo spreco di carta non è affatto
diminuito, anzi, tende ad aumentare.
Informazione o deformazione? Questo è un argomento sull'informazione
in rete, le nuove forme del giornalismo attraverso Internet.
Clinton prende la cocaina, il volo 800 della TWA, quello che è
caduto sul lago Michigan o a Long Island è stato battuto dalla
marina americana, l'FBI sa benissimo chi ha messo le bombe alla banca
dell'Oklahoma, ma lo nasconde per motivi abietti. Ecco, queste sono le
notizie che noi possiamo trovare in rete molto di più di quanto
le abbiamo mai trovate sulla stampa quotidiana. Perché? Perché
Internet è un luogo fantastico per tutti i paranoici; per tutti
noi paranoici Internet è un luogo nel quale è possibile
moltiplicare all'infinito le insinuazioni, le supposizioni fantasiose
e paranoiche, per l'appunto. Dobbiamo, allora, per questo spaventarci?
Io direi assolutamente no; a chi importa dell'informazione fantastica,
paranoica e falsa? Quello che è interessante è che il lettore
di Internet comincia a sviluppare una consapevolezza ironica che lo spettatore
televisivo o il lettore di giornali non ha avuto mai. Io vi consiglio,
ad esempio, di andare a visitare un sito che si chiama " www.ParanoiaNet.com
", è un sito nel quale tutti i paranoici del mondo sono invitati
a scatenare le loro fantasie, un sito nel quale, per esempio, potete trovare
qualcuno che invita al suicidio tutti coloro che entrano nella rete; si
tratta di un sito che sviluppa non tanto le nostre propensioni paranoiche,
quanto la nostra capacità di ironizzare sui messaggi che circolano
sempre più fitti e, se Dio vuole, meno attendibili sugli schermi
di fronte ai quali stiamo sempre meno attenti.
In che modo le tecnologie della comunicazione cambieranno la nostra società?
Io faccio un sogno ed il mio sogno è che di qui a non so quando
sia finita questa idea ossessiva secondo cui bisogna lavorare; il mio
sogno consiste, essenzialmente, nell'attesa di un mondo nel quale il valore
principe sia quello dell'ozio, sia quello della pigrizia, un mondo nel
quale andare in pensione a trentacinque anni sia diventata una regola,
un mondo nel quale lavorare due ore al giorno sia assolutamente legittimo
e normale. Ecco: il mondo che io mi aspetto dalle tecnologie, dalle tecnologie
di comunicazione, dalle tecnologie della virtualità e dell'automazione
è un mondo nel quale i preti, i governanti, i sindacalisti si rendano
conto del fatto che quando chiedono lavoro ci fanno soltanto del male.
Per quanto riguarda il viaggio in rete, perdersi è positivo?
Perdersi è positivo sempre, non solamente in rete; c'è un
aspetto positivo e ricco del perdersi perché quando ci si perde
si scopre spesso qualcosa a cui non avevamo pensato. Perdersi in rete
significa essenzialmente scoprire possibilità che non si sarebbero
trovate attraverso la successione normale, prevista e programmata. Al
tempo stesso bisogna anche dire che il funzionamento della rete è
talvolta così lento e così ostacolato e difficoltoso che
perdersi può anche ridurre la nostra capacità produttiva,
la nostra capacità di raggiungere ciò che in quel momento
dovremmo proprio raggiungere. Io direi che bisognerebbe fare delle sedute
di auto-smarrimento, bisognerebbe fare delle sedute di rete nelle quali
non ci si proponesse esattamente di arrivare da qualche parte, ma di andare
in qua ed in là alla ricerca non si sa bene di cosa.
Per quanto riguarda il modo di viaggiare virtuale attraverso siti che
ricostruiscono i luoghi di villeggiatura, quali saranno le conseguenze
di questo nuovo modo di viaggiare sul turismo reale?
Quando io vado a vedere la fotografia o l'immagine del luogo nel quale
dovrei andare, mi passa la voglia di andarci, mentre quello che considero
molto interessante per il turismo di rete, diciamo così, o per
la rete funzionale al turismo, è il proliferare di siti dedicati
allo scambio di case, allo scambio di informazioni, allo scambio di elementi
narrativi, utili al viaggio. A questo proposito io credo che la rete potrà
largamente e profittevolmente sostituire l'agenzia di viaggi quando avremo
imparato a viaggiarci attraverso.
In che modo l'autodidatta può trarre vantaggio nell'apprendere
attraverso Internet?
Da un certo punto di vista Internet è un luogo infestato, nel senso
buono e nel senso cattivo del termine, dagli autodidatti; c'è questo
proliferare di Home Page di esperti che non sono esperti di niente, tuttavia
in rete possono fare gli esperti di qualsiasi cosa. Dall'altra parte bisogna
riconoscere il lato interessante e positivo dell'auto-didattismo in rete
perché essa è un luogo attraverso il quale si può
imparare tantissimo, un luogo attraverso il quale si possono scoprire
mondi che in altra maniera, al di fuori di lì, non avremmo, forse,
scoperto mai. Per quanto mi riguarda, lo sforzo che io sto facendo anche
in modo professionale, nel mio lavoro, che è quello di insegnare
qualcosa alla gente, consiste nell'addestrare, formare delle persone alla
invenzione, alla creazione di percorsi navigatori dentro la rete, alla
creazione di modalità di relazione in rete. Da questo punto di
vista io credo che l'auto-didattismo può essere un bel punto di
partenza, ma sarebbe bene non fermarsi lì.
In che modo Internet può aiutare ad elaborare le informazioni contenute
in rete o a facilitare i processi di apprendimento e di formazione culturale
dell'utente?
Esiste un campo della attività di rete che è quello dell'apprendimento
a distanza, il quale comincia a sviluppare l'integrazione fra apprendimento
tradizionale ed apprendimento ipermediatico, multimediatico. In qualche
misura la rete può già supportare degli ipertesti abbastanza
complessi per l'apprendimento e dunque, invece che andare a comprare un
CD ROM di apprendimento della lingua, già oggi, e nel futuro ancora
di più, avremo la possibilità di trovare direttamente in
rete ipertesti di questo genere. C'è, invece, un'altra questione
che deve ancora essere approfondita, ed è quella relativa alle
possibilità di scambio informativo fra discenti, fra studenti,
fra gente che frequenta la rete per imparare qualcosa. Si tratta della
creazione di vere e proprie scolaresche in rete, se posso esprimermi così:
come incrociare l'aspetto chat, l'aspetto colloquiale, interattivo con
quello del reperimento di ipertesti, del reperimento di materiali già
esistenti che possono rendere possibile l'apprendimento. La rete è
un luogo nel quale tutti quanti insegnano qualcosa e tutti quanti imparano
qualcosa, ma, per il momento, mi pare che manchi una fascia intermedia
che è proprio la fascia dei formatori: i formatori debbono essere
formati.
Abbiamo parlato di transazioni finanziarie in rete, di una situazione
in cui l'investimento in borsa sembra alla portata di chiunque e caratterizzato
da tempi rapidissimi. Si usa spesso l'espressione: "giocare in borsa".
Attraverso questa contrazione del tempo e questa dilatazione degli accessi
che sono permessi dalla rete, questo gioco non rischia di trasformarsi
in un gioco d'azzardo?
Bah! Proviamo a delineare la storia di questo problema. Immaginiamoci
un secolo fa: chi è che finanzia l'economia? E' un signore, un
capitalista molto oculato nell'uso del suo denaro e molto al corrente
della fine, del destino che il suo investimento avrà. E' uno che
conosce per nome gli operai, che sa dove sta la fabbrica nella quale sta
investendo: il finanziere e il capitalista sono, in qualche modo, la stessa
persona. Poi inizia tutto un processo che si svolge nel corso del nostro
secolo, un processo di allontanamento del luogo della decisione finanziaria
dal luogo dell'economia reale: il grande finanziere del nostro tempo è
uno che non conosce le fabbriche o gli operai, i dipendenti, gli uomini
che sono messi in moto dal suo investimento; questi ultimi si trovano
in Birmania, in Tailandia, in Sud Africa, mentre l'investitore sta a Wall
Street o a 'piazza affari'. Ancora oggi esiste, comunque, una conoscenza,
da parte del finanziere, dei meccanismi economici che stanno dietro alle
sue decisioni. Proviamo ad immaginarci un domani nel quale l'investitore
sono io, cioè uno che non ha assolutamente nessuna conoscenza dei
processi economici, che non ha neanche tanti soldi e che in fondo non
glie ne importa granché del rapporto tra il suo investimento e
il destino economico: semplicemente, questo signore è uno che gioca,
nel senso proprio del termine: ha 50 dollari in tasca, va in rete e lì
trova qualcuno che gli consiglia di comprare le azioni della Mitsubishi,
e compra 50 dollari di azioni Mitsubishi. Proviamo ad immaginarci un sistema
nel quale gli investitori hanno pochi soldi ma sono veramente tanti e
decidono di comprare sulla base di valutazioni che solo parzialmente sono
razionalmente economiche. Per gran parte sono valutazioni di gioco. Quali
effetti avrà questo sull'economia? Da una parte possiamo immaginare
che probabilmente aumenterà a dismisura il caos e l'imprevedibilità
del sistema finanziario e del sistema economico. Dall'altra parte possiamo
immaginare che si determineranno, ad un certo punto, dei meccanismi di
riequilibrio in questa specie di grande casinò che si può
mettere in moto connettendo la rete con la finanza e con l'economia.
Ci può disegnare un quadro del rapporto fra politica e mezzi di
comunicazione?
In un numero recente di Wired ho letto una considerazione di John Perry
Barlow il quale sostiene che la media dei politici americani - ma potremmo
dire dei politici di tutto il mondo -, dispone di un tempo di attenzione
che non supera il tempo di un viaggio in ascensore. Che vuole dire questo:
che quanto più aumenta la massa di informazione disponibile nell'
infosfera, tanto più diminuisce la capacità di chi deve
decidere di fare attenzione a ciò su cui deve decidere, e, quindi,
tanto più diminuisce la capacità di decisione medesima.
La decisione tende a diventare sempre di più o qualche cosa di
puramente preconcetto, qualcosa che dipende dall'appartenenza sociale,
etnica o ideologica, o qualcosa di sempre più aleatorio e di indefinito
dal punto di vista razionale.
Abbiamo sentito Martinotti dire: "Le scelte vengono fatte da chi
è capace di decidere in modo assai casuale, su una struttura di
capitale umano avanzato ma assai casuale". E' possibile questo ?
Proviamo a pensare ai grandi politici degli ultimi decenni. Pensiamo a
Mitterrand, il quale nel 1981 va al governo con un progetto di nazionalizzazione
e nel giro di sei mesi ritira completamente il suo progetto. Pensiamo
a Clinton, il quale nel '92 vinse le elezioni con un grande programma
tutto centrato sulla difesa della sanità pubblica e, come sappiamo,
ha dovuto completamente rinunciare a questo programma. Che cosa vuole
dire? Forse che i politici sono diventati incapaci di fare quello che
dicono? In realtà, mi sembra che la decisione, la volontà,
la ragione contino sempre di meno, tendenzialmente conta nulla nella politica.
Conta, viceversa, la forza inaffrontabile di automatismi che dipendono
dalla complessità stessa dei sistemi e dalla complessità
del rapporto tra sistemi reali e sistemi dell'informazione. Il rapporto
fra mente e realtà è un rapporto che sta sempre più
trasformandosi in automatismo, perché viene meno il tempo e la
possibilità di valutare razionalmente e di decidere in maniera
volontaria su processi dei quali, al limite, tende a sfuggirci perfino
la conoscenza.
Sempre a proposito di politica e tecnologia di comunicazioni, qual è
la situazione italiana relativamente a questo argomento?
Mi pare che, in generale, in questi ultimi anni si è cominciato,
negli Stati Uniti o in Francia, a considerare l'importanza e l'effetto
che nel breve periodo e soprattutto nel lungo periodo potranno avere le
tecnologie, le cosiddette tecnologie avanzate di comunicazione: essenzialmente,
i modelli di rete. In Italia, quando parliamo di rete continuiamo a parlare
delle reti televisive, per cui gran parte della discussione politica,
della discussione sugli effetti politici della comunicazione è,
in questo paese, ancora dominata dal riferimento alla televisione. Mi
pare che ciò, alla lunga, rischi di produrre un effetto di incomprensione
dei processi che comunque stanno andando avanti, che noi li riconosciamo
o no, perché, per esempio, anche se è vero che lo sviluppo
delle tecnologie informatiche in Italia è più arretrato
che altrove, è anche vero che il processo di globalizzazione nella
decisione economica, nella decisione politica e così via, tenderà
sempre di più a portare al centro il tipo di integrazione nei meccanismi
decisionali che è reso possibile dalle nuove tecnologie. Continuare
a ragionare sulla funzione, sugli effetti che la televisione può
avere nei processi politici rischia di portarci ad una incomprensione
del fatto che la globalizzazione si gioca essenzialmente sui meccanismi,
sulle dinamiche di rete determinate dalle nuove tecnologie.
Parliamo delle milizie in rete.
Una cosa che mi ha sorpreso recentemente è scoprire l'importanza,
la diffusione che ha in rete la pubblicità, la discussione, la
presenza di queste che si chiamano "milizie". Avrete sentito
parlare delle milizie americane. Cosa sono le milizie? Sono delle organizzazioni
territoriali legate spesso ad un villaggio, ad un paese, ad una regione
degli Stati Uniti d'America schierate su posizioni di integralismo religioso,
di integralismo politico di destra, legate ad un senso fortissimo dell'appartenenza
alla razza bianca, di appartenenza ad un territorio, di appartenenza alla
patria americana e di appartenenza ad una quantità di valori. Come
mai? La rete funziona molto bene come luogo di manifestazione e collegamento
per realtà associative, per realtà culturali che rappresentano
-credo- il massimo dell'arretratezza, che rappresentano delle realtà
diciamo pure di tipo tribale, anche se "tribale postmoderno".
La risposta credo dobbiamo trovarla cercando di approfondire la qualità
culturale del fenomeno delle milizie, dell'integralismo americano in generale.
Questa qualità culturale è strettamente collegata con l'individualismo,
con la difesa gelosa del proprio territorio esistenziale, economico, e
così via. Non è un caso che gli appartenenti alle milizie
siano anche quelli che si battono strenuamente per il diritto a portare
un'arma, per il diritto ad andare dall'armaiolo e comprarsi la carabina.
Un diritto nel quale, in maniera paradossale - difficile da comprendere
per noi europei -, si sposa una sorta di individualismo anarchico libertario,
spontaneista, ed una sorta di culto del potere, di culto della violenza,
di culto del territorio ancora una volta. Ecco: individualismo libertario.
Le nuove tecnologie di rete possono - e questa è l'esperienza della
destra radicale americana - collegarsi molto bene con una riemergenza
di questo tipo di ideologia e di pratiche che sono legate alla violenza,
che sono legate ad una forma di fascismo postmoderno.
Esistono dei fenomeni politici non legati alla rete, ma che posseggono
la stessa virtualità delle milizie in rete?
In Italia noi abbiamo avuto un esempio lampante di questa manifestazione,
durante il mese che ha preceduto il 15 settembre: c'è stato un
partito, la Lega (quelli che stanno a nord, che sono, in fondo, coloro
che rappresentano più gelosamente, più caldamente il rapporto
con il territorio, con la comunità, con il sangue), che ha "inventato"
il più straordinario spettacolo di mobilitazione virtuale che la
storia italiana abbia mai conosciuto. Hanno dichiarato una manifestazione
di un milione o due milioni di persone, non ricordo di preciso, e per
un mese quel milione di persone ha modificato gli equilibri del discorso
politico nazionale come se tutta quella cosa esistesse davvero. Dopo di
ciò abbiamo scoperto che non c'erano un milione di persone, ma
forse erano 10.000, o 15.000 (non mi interessa fare dei numeri. Io sono
andato a vedere ed erano quasi nessuno). Ma l'aspetto straordinario di
tutta la faccenda è che, comunque, a prescindere dalla realtà
carnale, dalla presenza carnale di militanti e di esseri umani, l'effetto
politico si era determinato. Ecco, dunque, come noi andiamo verso una
situazione in cui proprio coloro che più gelosamente e carnalmente
rivendicano l'appartenenza alla radice, al territorio, proprio questi
sono coloro che più agilmente riescono a circolare nel non territorio
della virtualità.
Parliamo di psicoanalisi in rete.
Mi sono molto interrogato su questo aspetto della rete, e non ho proprio
trovato una risposta. La domanda è: è possibile fare la
psicoanalisi in rete, è possibile mettersi di fronte allo schermo
e porre domande che riguardano la profondità del nostro inconscio,
della nostra sofferenza, della nostra depressione, della nostra angoscia?
Io non so se è possibile ma questa cosa accade. Da alcuni mesi
si vanno moltiplicando in rete i siti dedicati alla psicoterapia: si tratta
di psicoanalisti, di psicoterapeuti che mettono a disposizione la propria
consulenza, la propria competenza psichiatrica attraverso degli scambi,
dei dialoghi con i loro pazienti virtuali. Ma non è solo questo
la psicoterapia in rete. C'è un'altra cosa molto interessante che
è rappresentata dai gruppi di discussione, dalle mailing list,
dai luoghi di scambio di esperienze e sensazioni, nei quali, come in una
sorta di grande ospedale psichiatrico virtuale, si incontrano delle persone
sofferenti per raccontarsi le proprie angosce e per mettere in moto un
processo nel quale la virtualità assorbe il tempo dell'angoscia.
Ci sono luoghi chiamati Walkers in Darkness, Madness, Depression and Ansiety
e così via, che sono caratterizzati da nomi fortemente connotati
nel senso della sofferenza. Luoghi nei quali si incontrano persone che
devono comunicare esperienze e che devono, vogliono ricevere aiuto, suggerimenti
o anche semplicemente comprensione, scambio. Ecco la sofferenza e la rete.
Probabilmente si tratta di un capitolo nuovo che andrà sempre di
più acquistando importanza.
Il microprocessore compie 25 anni. Ce ne puo' parlare?
E' straordinaria questa faccenda dell'irrompere nell'infinitamente piccolo
della vita quotidiana, della vita politica, naturalmente della comunicazione.
L'infinitamente piccolo è ciò che noi non possiamo vedere,
ciò che non possiamo nemmeno immaginare. Io da anni cerco di immaginare
che cosa succede in un circuito stampato, che cosa succede in un circuito
integrato, che cosa succede la dentro. Non essendo fisico per formazione
non potrò mai visualizzarlo, non potrò mai immaginarlo.
Ma è l'intero mondo contemporaneo che non può immaginare
ciò che accade proprio nel luogo in cui gran parte dei processi
più importanti si determinano. E' la magia che ritorna sulla scena
del mondo contemporaneo. Che cosa è la magia? E' il determinarsi
di effetti dei quali noi non possiamo analizzare lo svolgersi, dei quali
non possiamo comprendere la causa. Questa è la riflessione che
mi suscita una cosa come il microprocessore.
E a proposito della Tele-educazione?
E' da molto tempo che enti pubblici ed istituti privati mettono a disposizione
del pubblico la formazione alle nuove tecnologie, le formazioni all'informatica,
la formazione a navigazioni in Internet. Sempre di più si stanno
moltiplicando gli istituti che insegnano come navigare, come entrare in
rete ed eventualmente anche come scrivere con i linguaggi ipermediali.
Ma forse questo non basta. Il Comune di Bologna ha cominciato a ragionare
su un aspetto nuovo: ha cominciato a ragionare sul fatto che non basta
dire alla gente come si può navigare in Internet, ma occorrerebbe
cercare anche metodi, le possibilità di mettere a frutto queste
conoscenze. E' possibile navigare in rete. Sì, ma per farci cosa?
E' possibile scambiarsi messaggi e navigare nello spazio virtuale. Sì,
ma per costruire quali servizi, per creare quale impresa? Dall'inizio
del '97 il Comune di Bologna attiva un corso di comunicazione creativa
per gli studenti delle scuole superiori comunali. La finalità di
questo corso non è soltanto insegnare come si entra e si naviga
in Internet, non è soltanto insegnare come si fa una pagina in
HTML. Ma è soprattutto ragionare sulle connessioni sociali, produttive,
economiche, terapeutiche, politiche che tramite queste tecnologie è
possibile attivare nel tessuto di una scuola, nel tessuto di tutte le
scuole di una città, nel tessuto di una società cittadina
o nel grande mare della rete globale.
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