Berardi
Franco
"Il
reale e il virtuale"
(intervista
di Mediamente, 1995)
Franco
Berardi, quali sono, secondo te, le regole che governano il mondo reale
e quello digitale?
Io credo che man mano che entriamo nell'universo virtuale il problema
delle regole diventi sempre di più un falso problema. Noi siamo
abituati ad una realtà che è territoriale: è proprio
un mondo sul quale noi poggiamo i nostri piedi materiali, ed è
il medesimo mondo per tutta quanta l'umanità. Invece, grazie alle
tecnologie digitali, diventa possibile comporre, costruire un mondo artificiale,
che ha carattere di singolarità: un mondo che è fatto soltanto
per me, o per me e te, un mondo condiviso da un piccolo numero di persone.
Ecco: le regole sono necessarie quando vige il principio newtoniano della
"impenetrabilità dei corpi", cioè nel mondo territoriale.
Ma nel mondo della virtualità i corpi non sono più impenetrabili,
per la semplice ragione che io porterò il mio sensorio, la mia
intelligenza, la mia corporeità nel mondo che preferisco. Le regole
saranno regole singolari, stabiliremo regole diverse per ogni mondo nel
quale vorremo migrare.
Nei confronti delle regole del nostro mondo materiale, esiste la trasgressività.
E' possibile ipotizzare cosa sarà la trasgressività in un
mondo di regole diverse?
Probabilmente noi cominciamo a liberarci anche di questa eredità
del moderno che è la trasgressione. Per avere trasgressione dobbiamo
avere una regola. Quando il mondo diventa emanazione di una intenzionalità,
di un desiderio, a quel punto, forse, la smetteremo con questa specie
di viziosità che ci portiamo dietro del desiderio di trasgredire.
Più che un mondo di regole e trasgressioni, stiamo, forse, costruendo
un mondo di scelte libere e di indipendenza dallo stesso principio di
realtà.
Virtuale, nelle tue parole, quindi, vorrebbe dire libertà?
Virtuale nelle mie parole significa possibilità di una libertà
che non abbiamo mai conosciuto nel mondo territoriale.
Parliamo di Internet. Ognuno di noi può mettere in rete la propria
informazione, ovvero la propria visione dei fatti, quale garanzia c'è
della oggettività, della attendibilità dell'informazione?
Questo è un problema che non si pone mica soltanto in Internet.
L'attendibilità dell'informazione è aleatoria, è
indefinibile, in ogni situazione comunicativa. La rete crea però
una situazione comunicativa nuova, perché il comunicatore è
distaccato dall'oggetto della sua comunicazione. Cioè, tu vedi
comparire una frase e questa frase contiene dei segnalatori di identità
che possono essere falsi, che possono non corrispondere alla realtà
del comunicatore. Per cui io in rete posso presentarmi come una donna
o posso presentarmi come un afro-americano, posso presentarmi come un
cinese. Ora, quando l'agente della comunicazione può mascherarsi,
è chiaro che l'informazione, può diventare più indefinibile,
imprecisa. Ma è anche vero il contrario: e cioè che il contesto,
nel quale la comunicazione si svolge, può divenire un contesto
più ricco, più ambiguo e dunque capace di aprire prospettive
più ricche di quelle che si determinano nella comunicazione comune,
faccia a faccia.
Quale potrebbe essere uno scenario possibile del domani?
Uno scenario possibile ce lo abbiamo già nell'esperienza della
comunicazione di rete, nel senso che sempre più spesso coloro che
comunicano attraverso la rete, giocano con la loro identità. Ora,
la comunicazione di rete è una comunicazione che istituisce un
mondo che in qualche modo è parallelo rispetto al mondo reale,
e vorrei quasi dire che si tratta di un extra-mondo, di un mondo che interagisce
solo parzialmente, occasionalmente con il mondo reale, perciò la
verità o la falsità degli enunciati è qualcosa di
indefinibile e probabilmente di accessorio, inutile, quando ci muoviamo
nel "cyber-mondo". Che importanza può avere la corrispondenza
fra l'enunciato e la realtà quando stiamo costruendo la realtà
con il flusso continuo del nostro discorso?
Vorresti dire che, in qualche maniera, quando uno apre la finestra su
Internet, dovrebbe apparire la scritta, che appare in genere alla fine
dei film, che tutto quello che si vede può essere fittizio?
Ecco, nella comunicazione che noi abbiamo conosciuto fino ad oggi, questo
bisogna scriverlo alla fine, come accade in alcuni film. In rete, chiunque
entri nel flusso comunicativo sa benissimo che il gioco linguistico che
stiamo giocando non è nient'altro che un gioco. Questa è,
a mio avviso, la lezione più importante, più ricca, più
interessante, che provenga dalla rete. Finalmente la smettiamo di prenderci
sul serio, finalmente la smettiamo di credere che le nostre parole sono
pietre, che la storia è fatta di parole, che le parole son fatte
di storia. No, da una parte c'è il mondo con le sue necessità
dolorose e spiacevoli, dall'altra c'è il mondo della comunicazione,
che può interagire, ma può anche, quando vuole, interrompere
il collegamento e giocare il gioco del linguaggio come gioco di pura ironia.
La velocità della comunicazione di questi ultimi tempi, cioè
dell'era del digitale, non rischia di uccidere la riflessione? Non credi
che la comunicazione in tempo reale, e non più in tempo differito,
come succedeva molto spesso una volta, possa eliminare quelle pause di
riflessione, che erano la base dell'elaborazione del pensiero?
La questione, a mio avviso, è di un altro genere. Cioè,
il vero problema è che il "cyber-spazio" si estende continuamente,
diventa sempre più pervasivo e sempre più veloce, mentre
il "cyber-tempo", cioè la nostra capacità di elaborazione
dell'informazione che ci proviene dal mondo, dal "cyber-spazio",
ha dei limiti invalicabili. Ora, il rapporto tra "cyber-spazio"
e "cyber-tempo" è il vero problema dell'epoca in cui
noi stiamo entrando. Sempre meno l'organismo cosciente, l'uomo, è
in grado di elaborare in maniera consapevole, in maniera riflessiva ciò
che proviene dall'ambiente nel quale si trova. In fondo è il problema
che pone anche "Johnny Mnemonic".
In pratica noi abbiamo troppa informazione per troppo poco tempo per riuscire
ad elaborarla o anche solo a sentirla?
Io direi che questo è un problema che si pone sul piano individuale
e ancora di più si pone sul piano collettivo, sociale. Pensa, ad
esempio, a che cosa è la politica. La politica, tradizionalmente,
nelle epoche passate, durante la modernità, era un esercizio di
decisione, di scelta, su alternative che si presentavano con chiarezza.
Oggi noi ci troviamo nella situazione di non potere più decidere,
perché non siamo più in grado di valutare in successione,
criticamente, l'informazione che raggiunge il nostro organismo individuale
e collettivo. Dunque: fine della riflessione, fine della decidibilità,
fine della politica. Questa è probabilmente la direzione nella
quale andiamo.
Qual è il rischio di tutto questo?
Il rischio di tutto questo è che ci troviamo, probabilmente, nella
incapacità di valutare le conseguenze delle scelte che facciamo.
Ma d'altra parte c'è una grande possibilità, e cioè
quella di liberarci dalla necessità di decidere e quindi di elaborare
forme di scelta, che dipendono molto di più dall'intuizione che
dalla capacità critica, di discernimento. Ma questo è un
passaggio che potrà determinarsi solo nel corso di molte generazioni,
solo quando la transizione, che noi oggi abbiamo soltanto iniziato, si
sarà compiuta ed avrà prodotto i suoi risultati maturi.
Come dire: una selezione della specie, riguardante delle facoltà
che noi, per adesso, non abbiamo ancora sviluppato?
Certo. Il problema è che noi siamo abituati a pensare all'evoluzione,
all'evoluzione sociale diciamo, in termini di scelte consapevoli. Questo
è ciò che abbiamo imparato nel corso della modernità.
Probabilmente dobbiamo liberarci di questa idea, di questo pregiudizio,
di questa illusione. Dobbiamo abituarci all'idea che le scelte che noi
stiamo compiendo e compiremo, non dipendono più né dalla
critica, né dalla decisione, né dalla politica. Da cosa
dipendano ancora non lo sappiamo.
La connessione costante realizzabile in ogni momento e da ogni luogo si
trasforma a volte nell’incubo di una informazione che ci perseguita
e che ci priva di uno spazio personale?
Uno o due anni fa, ho visto una pubblicità raccapricciante: c'era
un giovanotto con la cravatta al vento, che stava facendo sci nautico,
sul mare, e portava un computer portatile fra le mani: e la scritta che
compariva sotto di lui era : "Al lavoro da per tutto". Ecco,
il problema è questo. Credo che strumenti come il telefono cellulare
o come il computer portatile o come la rete possano funzionare certamente
come occasione di liberazione, di arricchimento comunicativo, ma che per
il momento funzionino soprattutto per succhiare in maniera capillare,
costante, pervasiva, la capacità produttiva del lavoro intellettuale,
del lavoro mentale, del lavoro cognitivo. Quando avevamo a che fare con
il lavoro meccanico dell'operaio industriale, per sfruttarlo di più,
bastava tagliargli i tempi, farlo andar più veloce, ma questo non
è possibile con il lavoratore mentale, con il lavoro cognitivo.
L'unico modo per aumentare la produttività del lavoro cognitivo
è quello di mettere in collegamento costante frammenti di lavoro
che sono lontani nel tempo e nello spazio, e dunque sottoporre il cervello
dell'operatore individuale ad una sorta di connessione permanente, di
elettrocuzione permanente. Una roba che, per l'appunto, si avvicina molto
all'incubo.
Una sorta di sanguisuga cerebrale?
Fantastico, è proprio quello che intendevo. Si chiama anche capitalismo.
In passato si sosteneva che l'ozio era fondamentale per i creativi, perché
nell'ozio la mente si rilassava e potevano finalmente arrivare in superficie
quelle, che si chiamavano, le" intuizioni dell'anima". Allora,
che cosa succede se non c'è più spazio per oziare e se non
c'è più spazio per potersi rilassare?
Probabilmente, succede che lo stesso prodotto del nostro cervello, della
nostra attività cosciente, in realtà non è più
realmente qualcosa che proviene dalla nostra autonomia, dalla nostra creatività,
ma è qualcosa che corrisponde piuttosto alla sollecitazione costante
della macchina produttiva generale. Ecco, il problema è che l'ozio
non è soltanto una necessità per il lavoro intellettuale,
per la conoscenza, ma è probabilmente la forza produttiva principale,
la forza creativa principale per la conoscenza. Ora, quando la conoscenza
viene sottoposta alle leggi, ai ritmi, alle necessità della macchina
capitalistica, la conoscenza finisce di essere quello che abbiamo sempre
saputo, quello che essa è per la sua stessa natura, e comincia
ad essere reazione ad uno stimolo che proviene dall'esterno, comincia
ad essere ripetizione, una sorta di attività eterodeterminata.
Quale può essere la nostra via d'uscita personale e collettiva?
Il profeta non lo so ancora fare! Tutto quello che posso dire è
che, per quel che mi riguarda, preferisco staccare la connessione quanto
più spesso mi è possibile. E che proprio coloro che sono
stati all'avanguardia nella ricerca informatica, telematica, nella ricerca
di rete, oggi mettono in guardia contro il pericolo di identificare creatività
e coscienza con la elettrocuzione permanente, con questa sorta di collegamento
costante, di messa in rete dei cervelli continuativa. Ecco, interrompiamo
la connessione, se è possibile. Avremo tutto da guadagnarci.
Nella nuova infrastruttura delle autostrade informatiche la tecnologia
in fibra ottica sarà la più diffusa. Avete scelto ATM per
questo o c'è ancora il rischio che si possano sviluppare nuove
tecnologie, che sono ancora nei laboratori, che non si conoscono, e che
potrebbero creare un problema di concorrenza?
E' verosimile che le tecnologie, il flusso di tecnologie, non si fermerà
all'ATM. Oggi l'ATM è la prossima grande tappa per elevare il livello
di competitività nell'infrastruttura. Non è l'ultima tappa.
E' verosimile che nel ventunesimo secolo arriveranno sul mercato delle
nuove tecnologie più efficaci. Bisogna riconoscere che è
un mercato che si muove in fretta e che si adatta alle differenze. Il
fatto che si scelga l'ATM non vuol dire che le tecnologie che hanno preceduto
l'ATM siano superate. L'ATM si aggiunge alle tecnologie esistenti. Il
criterio è quello di appoggiarsi su più generazioni di tecnologie
che possono coesistere. Non si può seguire l'evoluzione tecnologica
e applicarla subito all'infrastruttura. In questo panorama l'ultima tecnologia
coesiste sempre con le varie generazioni di tecnologie precedenti. Ciò
fa parte del sistema e delle sue differenze.
Ci sarà uno sviluppo della televisione interattiva o un'integrazione
tra televisione interattiva, Internet e gli altri servizi di comunicazione?
E' verosimile che le tecnologie video interattive saranno uno dei servizi
disponibili su Internet. Già adesso si può assistere ad
una video conferenza, che si tiene a migliaia di chilometri di distanza
da dove ci si trova. Spesso mi è capitato, mentre tenevo una conferenza,
di essere ripreso e visto in tempo reale da migliaia di persone che mi
guardavano su un angolo dello schermo del loro computer. La televisione
interattiva è una delle forme specializzate di questo servizio.
Vuol dire che ci sarà una convergenza tra telefono, computer e
televisione, che saranno in avvenire la stessa cosa?
Questo è quello che la parola convergenza suggerisce. In fin dei
conti, per la rete tutti questi servizi non sono altro che un trasferimento
di bit di informazione. Tutto quello che è digitale può
essere manipolato nello stesso modo dalla rete. L'informazione video,
audio o i dati sono informazioni digitali e possono condividere lo stesso
sistema di reti.
Fra quanti anni?
Credo che si cominci già adesso a fare, sulle reti, del materiale
video di qualità accettabile. Verso la fine del secolo, quasi sicuramente,
una buona parte di chi utilizza Internet avrà accesso anche al
servizio audiovisivo. Non direi il cinquanta per cento, ma fra il dieci
e il venti per cento almeno di questa popolazione utilizzerà correntemente
i servizi multimediali.
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