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Ma è molto dubbio che la risposta possa essere affermativa: è la stessa new economy che appare strutturalmente incapace di affrontare il nodo di una radicale ridistribuzione della ricchezza creata dall'intelligenza sociale, una ridistribuzione che appare tanto più urgente quanto più il tradizionale metro di distribuzione del reddito, cioè il lavoro, viene irreversibilmente rarefatto (e al limite abolito) proprio dalle nuove caratteristiche della produzione e della distribuzione nell'era di Internet. E una conferma di ciò sembra la comparsa, per la prima volta dopo le sconfitte degli anni Settanta, di un movimento contro la globalizzazione, manifestatosi l'anno scorso alla riunione del Wto a Seattle e quest'anno al Tebio di Genova.
Proprio l'analisi di questo composito movimento porta dritto alla seconda domanda: esiste oggi un nuovo soggetto antagonista capace di svolgere un ruolo d'avanguardia, oppure il compito di indicare e costruire una mondializzazione diversa deve essere lasciato al coacervo delle differenze che si sono manifestate a Seattle e a Genova (sindacati, contadini, ecologisti?).L'anticapitalismo della nuova fase mondiale sarà la lotta del proletariato high tech, del "cognitariato" (per usare il neologismo di Bifo), o sarà la rivolta dei corpi? Sulla scorta dell'ultimo Hakim Bey, la preferenza di Formenti sembra andare alla seconda ipotesi. Si potrebbe forse sostenere che esse non sono poi così contraddittorie. Comunque: hic Rhodus, hic salta. Che lo vogliano o no, queste sono le questioni che decideranno del nostro futuro nei prossimi anni.