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Ogni molteplicità implica elementi attuali ed elementi virtuali Non c’è oggetto puramente attuale. Ogni attuale si circonda di una nebbia di immagini virtuali. Questa nebbia si solleva dai circuiti, più o meno estesi, sui quali le immagini virtuali si distribuiscono e corrono. (&ldots;) Una percezione attuale si circonda di una nebulosità di immagini virtuali che si distribuiscono su circuiti mobili sempre più lontani, sempre più larghi, che si fanno e si disfano.”

Un’immagine virtuale (in ottica), una particella virtuale (in fisica delle particelle) sono enti sulla cui esistenza non ci si può pronunciare, ma che producono effetti “come se” esistessero. Ma in che senso si può dire che la nostra sia l’era della virtualità? Intanto perché, da quando esistono macchine in grado di trattare e trasformare in modo automatico l’informazione invece della materia (i computer), nella nostra esperienza gli enti virtuali e i loro effetti di realtà si sono moltiplicati. La virtualità è sempre esistita (il linguaggio, la tecnica, il contratto sono altrettanti strumenti virtuali di rapporto col mondo, come spiega Pierre Lévy in Il virtuale). La novità è che, mentre in passato il movimento principale era l’attualizzazione (il virtuale che a poco a poco - o tutto d’un tratto - si fa attuale, la soluzione di un problema che si manifesta senza essere implicita nella formulazione di quel problema), oggi il movimento principale è diventato la virtualizzazione (l’attuale che si fa virtuale, ovvero più complesso, non univoco, il reale come campo di possibilità). Quando si dice che questa è l’era dell’immateriale, non si deve intendere banalmente che la materia abbia perso importanza nella vita dell’uomo, ma che essa è molto più manipolabile, influenzabile, gestibile dall’immateriale (in forma di virtuale).
Da un certo punto di vista, questo cambiamento di prospettiva era già implicito nell’atteggiamento progettuale dell’uomo, inteso come animale carente sul piano della dotazione organica e quindi “aperto al mondo”, capace di risolvere il problema della sua sopravvivenza con strumenti creati da sé, e non consegnatigli dall’evoluzione naturale (Arnold Gehlen). Ma da un altro punto di vista, il modo in cui la virtualizzazione si sta storicamente realizzando è del tutto contingente, e in un certo senso imprevedibile. Come spesso accade, una nuova tecnica rende esplicite d’un colpo esigenze che prima di essa non erano emerse. La nuova tecnologia è in questo caso la telematica. Quando i computer vengono connessi in rete, e la loro potenza di calcolo aumenta esponenzialmente, essi cessano di essere grandi macchine macina-numeri (crunch numbers), e divengono strumenti di collegamento: collegamento fra macchina e macchina, fra macchina e uomo, fra uomo e uomo. La potenza del collettivo (l’asso nella manica di Homo sapiens sapiens nel suo viaggio di espansione su questo pianeta) è oggi la potenza del virtuale. “Saperi e conoscenze immagazzinati nelle reti telematiche, non meno che la più comune cooperazione linguistica di uomini e donne, nel loro concreto agire, sono il tessuto connettivo grazie a cui si costituisce il ‘capitale sociale’ delle società postfordiste.” (Lessico postfordista). Resta da vedere, naturalmente, se l’appropriazione privata di un sovrapprodotto sociale enormemente aumentato dalla nuova connessione di sapere e produzione resa possibile dalla virtualità, sia un fattore di sviluppo o di freno della promozione umana e sociale: ma a questa questione l’archeologia del virtuale può offrire solo un contributo preliminare e introduttivo.