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Naturalmente penso che i sostenitori della partecipazione e della cooperazione (accolgo il suggerimento di Tozzi a limitare l'uso del termine "interattivita'", ormai ambiguo e market oriented) continueranno ad avere il loro spazio: ma per far sì che questo spazio non si trasformi in una riserva indiana, e noi in tanti (o pochi) panda dentro uno zoo, credo che sia necessario moltiplicare le iniziative, e soprattutto i link fra il mondo della rete e la cosiddetta real life, cioè il mondo di tutti i giorni, abitato da giovani disoccupati, studenti frustrati, casalinghe di Voghera e di Avola globalizzate. O l'arte in rete si attrezza per dire qualcosa (e far fare qualcosa) a queste persone, o si muterà ben presto nell'ennesimo giochino per collezionisti e salottieri.

Naturalmente si', se no non sarei qui a rispondere a queste vostre domande. In realtà non è stata la rete telematica a modificare quel concetto. La rete ha solo reso più evidente la crisi della pratica artistica, del concetto di arte e del suo rapporto con la società, ereditate dalla modernità, crisi che si è consumata lungo tutto l'ultimo secolo; al tempo stesso la rete consente oggi la verifica di certe ipotesi delle correnti laterali ed eretiche dell'arte del Novecento (ben descritte da Pierre Restany nel suo saggio sul catalogo della mostra "Hors Limites" al Pompidou nel 1994), correnti che tentavano di chiudere la forbice fra arte e vita. Cercando di sintetizzare (e quindi forzatamente limitando le argomentazioni) quelle correnti dell'arte novecentesca (dal Duchamp dei ready-made e di Rose Sélavy a Klein a Fluxus alla nuova body art degli anni Novanta) hanno tentato di battere una via diversa da quella dell'astrattismo per superare il vicolo cieco in cui le arti si erano cacciate dopo la fine delle committenze sociali dell'antichità, del medioevo e della prima modernità, e con la nascita del "mercato dell'arte". Ora la rete può essere, è lo strumento principale che abbiamo per riannodare i fili della produzione sociale di senso, di cui i soggetti "sociali" sono stati espropriati a vantaggio dei soggetti "economici", e riprendere in mano, individualmente e collettivamente, il nostro destino. Che è poi quello che l'arte ha fatto per secoli e secoli, quando è stata l'espressione delle collettività, e quando gli artisti non erano che i più dotati e quindi i più adatti a costruire i luoghi in cui si cristallizzava il senso sociale, la sostanza della vita comunitaria.