VUK COSIC
 
Interviste  

La net.art come arte di fare network di Marco Deseriis

Le origini

Quando si ricostruisce la genesi della net.art non si sa mai se collocarla nel tempo storico-lineare o in una sorta di "altro quando", irriducibile al normale ciclo di vita di una forma artistica. Come in un film di Cronemberg, il termine "net.art" nasce infatti per una sorta di accidente, all'incrocio tra gioco e realtà, fortuna e necessità.

La leggenda vuole che in un mattino di dicembre del 1995, l'artista sloveno Vuk Cosic scaricasse nella sua mailbox, un'e-mail speditagli via anonymous re-mailer. Mittente ignoto dunque, e corpo del messaggio ancora piu' oscuro, o quasi mostruoso: una lunga sbrodolata di caratteri ASCII completamente indecifrabile, se non fosse stato per quelle sei lettere divise da un punto.
Cosi riceveva dunque da una macchina, o da un pezzo di software non compatibile, una definizione per la pratica che stava sperimentando da tempo. Da sempre interessato al testo e al codice come elementi di costruzione visiva, l'artista sloveno condivideva, da almeno un paio d'anni, scherzi concettuali e manipolazioni di rete, con un network di persone che andava dalla dagli Stati Uniti all'Europa dell'Est e dell'Ovest, dall'Australia al Giappone.
Come spesso accade per le primogeniture, nessuno si era preoccupato di trovare una definizione per la propria attività. Il minimo comun denominatore risiedeva in un approccio decisamente low-tech (di qui l'uso dei caratteri Ascii come elementi visivi), in uno spirito di condivisione non lontano dall'etica hacker delle origini e in una certa propensione al prank, allo scherzo e al detournament, tipica delle avanguardie radicali del Novecento.
Tuttavia il tempo di coniare una definizione era giunto. Musei e gallerie iniziavano a servirsi del web come grande indirizzario per promuovere artisti, allacciare contatti, o raggiungere direttamente i clienti attraverso l'e-commerce e le aste. Istituzioni artistiche che non esitavano a impiegare il nuovo termine, per veicolare concetti e oggetti del tutto estranei alla cultura della rete.

Il dibattito critico

E così all'inizio del 1997, sulla mailing list di nettime (www.nettime.org) si accese un intenso dibattito tra artisti, critici e appassionati che rappresentava una cartina di tornasole dello "stato dell'arte" agli arbori. La discussione ruotava intorno ai due termini net.art e art on the net: una diatriba apparentemente terminologica, ma che celava concezioni della rete diametralmente opposte. Da un lato la rete come nuovo mezzo di distribuzione delle informazioni, dall'altro come nuovo modello di relazione sociale.
Alla fine del dibattito la maggior parte degli intervenuti si espresse a favore del termine net.art. Per la sua sinteticità ed eleganza, indubbiamente. Ma anche perché, anteponendo il suffisso "net", esaltava il carattere processuale e collaborativo di una pratica che sostituiva le opere con le operazioni, le rappresentazioni con la produzione di nuovi circuiti comunicativi e di senso.
La net.art come "arte di fare network" dunque e non solo come arte che veniva veicolata e diffusa attraverso Internet. Art on the net avrebbe definito invece la rete come strumento accessorio, mezzo di illustrazione e distribuzione di opere preesistenti e "prodotte altrove". Scansioni di quadri, fotografie, sculture e di tutti gli oggetti artistici tradizionali venivano così decisamente escluse.

L'estetica

La net.art dunque, funziona solo in rete e prende la rete o il "mito della rete" come tema. Ha spesso a che vedere con concetti strutturali: un gruppo o un individuo progetta un sistema che puo' essere espanso da altre persone. Non deve quindi stupire se un sistema operativo come Linux, aperto e modificabile da chiunque, abbia vinto il premio della categoria net.art ad Ars Electronica nel 1999. Linux non è certo nato con uno scopo estetico, tuttavia il fatto che sia stato premiato proietta la net.art oltre i limiti dell'arte tradizionale, in un dominio molto piu' accessibile a tutti coloro che mettono le mani sulla tecnologia. Non solo artisti quindi, ma anche hackers, smanettoni e attivisti.

Tra le operazioni di net.art possono infatti essere annoverate le sperimentazioni più diverse. Mailing list come 7-11, web ring di siti collegati tramite Refresh, browser alternativi a quelli standard, alcuni netstrike, il plagio di siti, l'uso imprevisto dei Moo, del CuSeeMe, dei motori di ricerca, dell'e-mail e dei mille protocolli e canali di comunicazione di cui è fatta la rete.
Anche il Web, ovviamente, gioca la sua parte. Tuttavia, quando il sito si riduce a un ipertesto a basso tasso d'interazione, sarà più opportuno parlare di Web Art. Una pratica sicuramente più tradizionale, che si distingue dalla net.art perché può essere veicolata tramite altri supporti fisici (come il floppy, il cd-rom e il Dvd), e perché non comporta l'innesco di alcun contesto di scambio.

Il primo e più importante "tema" della net.art è dunque Internet stessa. Questa riflessività della net.art l'ha spesso esposta, paradossalmente, ad accuse di formalismo e di separazione. Tuttavia, se l'auto-referenzialità la inserisce a pieno titolo nella tradizione artistica moderna, il suo carattere stratificato, la sua capacità di fondere i mille piani del lavoro e della conoscenza immateriale -- dal design alla programmazione, dal concettualismo artistico al giornalismo, dall'attivismo politico al marketing e la pubblicità - la collocano nella sfera di "un'arte che non ha più bisogno di essere chiamata arte". In altri termini, è proprio il medium in cui la net.art opera a liberarla dall'impasse in cui sembrava essersi cacciata l'arte tradizionale.

Produzione e distribuzione

Se le finalità della net.art rimangono completamente libere (net.art per sè), il suo locus migra dal museo a reti che influenzano direttamente la vita sociale, politica ed economica. Certo, la mail art aveva già abbandonato il museo, rivolgendosi a un mezzo di distribuzione integrato nella vita sociale come il sistema postale. Ma gli alti costi di trasporto, impedivano un uso effettivamente paritetico (molti-a-molti) di quel sistema. Con l'avvento di Internet invece, un network di persone dotate di una semplice connessione diviene perfettamente in grado di tenere testa a complessi che investono miliardi nei piani di comunicazione.
Può dunque succedere che una complessa operazione di net.art come la Toywar (www.toywar.com) costi 4,5 miliardi e mezzo di dollari a una corporation di giocattoli (etoys). O che una serie di interventi spaesanti in difesa della libertà di espressione mettano in seria difficoltà istituzioni la cui struttura verticale diventa un ingombrante limite rispetto a un'organizzazione rizomatica spontanea.

Per questa sua capacità di coniugare l'estetico e il politico, la net.art si ricollega inevitabilmente alla tradizione delle Avanguardie del Novecento. Le riflessioni fin qui sviluppate comportano però un paio di deduzioni immediate: da un lato la tradizionale polemica delle Avanguardie nei confronti del sistema dell'arte diventa sempre più marginale. Ad essa si sostituisce la consapevolezza di poter esercitare un'influenza culturale diffusa a prescindere da quel sistema, o entrandovi in relazione solo strumentalmente. Dall'altro il concetto stesso di Avanguardia decade inevitabilmente, se è vero che la rete come strumento di partecipazione diffusa, rende sempre più difficile tracciare una linea di demarcazione tra i fautori di un pensiero e di una prassi e i seguaci di quel credo. Al contrario, proprio perché effettivamente aperta alla dimensione partecipativa, la cultura delle rete sembra una sorgente inesauribile, in cui si plasmano ogni giorno nuove e complesse sculture sociali.

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