"PENSIERO
COLLETTIVO"
Intervista
a Pierre Levy su tematiche affrontate nella sua opera "L'intelligenza
collettiva. Per un'antropologia del cyberspazio."
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Che
cos'è il dispositivo dell'intelligenza collettiva?
Al fondo si tratta di una valorizzazione dell'intelligenza individuale,
messa in relazione al massimo grado in tempo reale. Una messa in comune
di tutte le capacità cognitive, delle competenze e della memoria
della gente che partecipa al flusso informativo. Un flusso che prevede
comunità di immaginazione, non solo di notizie. Oggi le reti telematiche
rappresentano simbolicamente l'intelligenza collettiva all'opera.
Ma l'intelligenza collettiva è un'invenzione dei costruttori
di reti, è dunque presente per la prima volta nella storia dell'umanità?
No, naturalmente no. Gli individui hanno sempre cooperato, all'interno
delle cornici antropologiche in cui erano iscritti. La stessa invenzione
della cultura è una manifestazione dell'intelligenza collettiva.
Il linguaggio lo è. L'idea di abitare la trasmissione del sapere
attraverso la creazione delle università rappresenta una forma
di intelligenza collettiva. La nuova chance del cyberspazio è che
il suo obiettivo dichiarato è la moltiplicazione degli approcci
cognitivi e non la loro compressione in forme rigide, gerarchizzate e
standardizzate. Pensiamo all'invenzione della burocrazia moderna: certamente
si è trattato di una manifestazione colettiva per il mondo delle
folle del principio del XIX secolo. Istituire forme fisse di riordino
del caos amministrativo ha comportato un salto organizzativo che però
si è incarnato nella separazione netta tra ambito delle decisioni
e ambito dei compiti. La conclusione è stata una perdita, un impoverimento
dell'intelligenza collettiva.
Lei ha scritto che gli spazi antropologici vivono contestualmente
nella nostra epoca: non si è rinunciato alle coordinate della Terra,
del Territorio e delle Merci. È possibile che questa compresenza
antropologica non produca conflitto?
Questa è la conflittualità più interessante, e spesso
tragica. Quando uno degli spazi cerca di prendere operativamente il sopravvento,
quando le urgenze non risolte dello spazio della Terra si abbattono sul
tempo presente, rinascono tribalità e affermazioni etniche, un
ritorno alla violenza primordiale si affianca all'impotenza. Quando è
il Territorio che chiede un tributo al caos della modernità si
impongono regimi dittatoriali e burocrazia impenetrabili, rinasce il capitalismo
selvaggio. Infine, quando lo spazio delle Merci tenta di bloccare le nuove
transizioni antropologiche e di fissarle nelle proprie coordinate si produce
il dominio che altri hanno definito come società dello spettacolo,
il cui funzionamento e i cui paradossi ci sono ben noti. L'intelligenza
collettiva non ha la possibilità di essere descritta mentre è
in essere. Perché non è uno spazio storicamente determinato.
È piuttosto un progetto di civilizzazione, un'aspirazione, una
forma utopica che non richiede la secessione dalle altre epoche, dagli
altri spazi. È destinata a conviverci.
Tuttavia esistono gruppi di individui che già stanno vivendo
questa dimensione collettiva: movimenti giovanili, ma anche gruppi indefinibili
di cittadini delle reti. Come è pensabile che queste minoranze
evitino contrasti e contraddizioni quotidiane con gli altri spazi antropologici,
proprio nel mentre lo spazio delle Merci ha iniziato ad assediare Internet
attraverso la progressiva commercializzazione dei servizi e delle informazioni?
È però la prima volta che il mondo del profitto segue, e
non inventa, un movimento metodologico di approccio al sapere collettivo.
Porzioni dello spazio del Sapere vincolano la redditività nel cyberspazio
alle regole comunicative stabilite da individui che avevano come scopo
il dispiegamento dell'immaginazione, dello scambio, della cooperazione
nomade. Lo spazio del Sapere non è chiuso in rete, anche se abita
le reti: nel mondo della cultura e dell'arte sono al lavoro procedure
cooperative simili, e così, almeno in parte, nel mondo della ricerca.
Persino in certe forme di management ultramoderno. Il capitalismo post-industriale
deve prendere atto della contaminazione cooperativa, deve prendere atto
dell'esistenza autoproduttiva di intellettuali collettivi che pensano
non già alla creazione di una intelligenza artificiale, cioè
alla creazione di macchine simulatrici, ma al dispiegamento dell'insieme
di possibilità interattive tra memorie e invenzioni, tra immaginazioni
e ospitalità etiche.
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