"L'INTELLIGENZA
COLLETTIVA "
Intervista
a Pierre Levy sul concetto di intelligenza collettiva proposto nella sua
opera "L'intelligenza
collettiva. Per un'antropologia del cyberspazio".
Pierre
Lévy, lei ha dedicato un libro all'intelligenza collettiva, a un'antropologia
del cyber-spazio. Che cos'è?
Credo che le nuove tecnologie di comunicazione e, in particolare, le tecniche
di comunicazione su supporto digitale aprano prospettive completamente
nuove. Quello che tento di fare con questo libro è di vedere quali
sono, fra tutte le possibilità, quelle più positive da un
punto di vista sociale, culturale e politico. E mi sembra che questo dell'intelligenza
collettiva sia un vero e proprio progetto di civilizzazione che parte
dalle nuove possibilità che si stanno aprendo. Che cos'è
l'intelligenza collettiva? In primo luogo bisogna riconoscere che l'intelligenza
è distribuita dovunque c'è umanità, e che questa
intelligenza, distribuita dappertutto, può essere valorizzata al
massimo mediante le nuove tecniche, soprattutto mettendola in sinergia.
Oggi, se due persone distanti sanno due cose complementari, per il tramite
delle nuove tecnologie, possono davvero entrare in comunicazione l'una
con l'altra, scambiare il loro sapere, cooperare. Detto in modo assai
generale, per grandi linee, è questa in fondo l'intelligenza collettiva.
E' il progetto dell'Illuminismo che si realizza?
Sì, in un certo senso io perseguo, tento di perseguire, credo che
si possa perseguire oggi il progetto di emancipazione dell'Illuminismo.
Perfetto, ma evidentemente senza l'ingenuità degli illuministi
di credere che il progresso sia garantito dall'evoluzione scientifica
e tecnica. Oggi si sa che la soluzione di questo problema non è
garantita e che dipende dalla volontà politica, dipende dagli operatori
culturali fare in modo che le possibilità aperte dalla tecnica
siano sfruttate in un senso socialmente positivo. Ma non è affatto
scontato.
Il progresso si trova oggi di fronte ai problemi dell'etica, per
esempio al problema dei valori. Ci può essere un'etica dell'intelligenza
collettiva?
Certo, c'è un'etica dell'intelligenza collettiva. Credo che oggi
si cerchi di sfruttare, di valorizzare al massimo, per esempio, le ricchezze
e i beni economici. Sul piano ecologico si cerca di evitare gli sprechi
e ci si rende conto che ciò che più va sprecato, che è
meno valorizzato, che è meno preso in considerazione, è
forse proprio ciò che è più importante e cioè
i valori e le qualità propriamente umane, le qualità degli
esseri umani viventi, ed in particolare le loro competenze, ma non soltanto
quelle, piuttosto l'insieme delle loro qualità umane. Credo che
abbiamo oggi i mezzi tecnici per valorizzare e non sprecare queste ricchezze
umane. Se si prende, per esempio, il fenomeno della disoccupazione, si
capisce che si tratta di un enorme spreco di competenze umane - lo si
potrebbe definire proprio così - ma anche nel lavoro classico,
nel lavoro taylorista, in cui si mette una persona a un certo posto per
eseguire un compito ben determinato, c'è un enorme spreco di ricchezze
umane. L'etica dell'intelligenza collettiva consiste appunto nel riconoscere
alle persone l'insieme delle loro qualità umane e fare in modo
che essi possano condividerle con altri per farne beneficiare la comunità.
Quindi mette l'individuo al servizio della comunità - ma per fare
questo bisogna permettere all'individuo di esprimersi completamente -
e al tempo stesso la comunità al servizio dell'individuo - poiché
ogni individuo può fare appello alle risorse intellettuali e all'insieme
delle qualità umane della comunità. A grandi linee è
questa la prospettiva dell'intelligenza collettiva, a cui, beninteso,
si oppongono tutti i giochi di potere, di oppressione e di dominio. Ritroviamo
qui la battaglia per l'emancipazione: se non è possibile rimuovere
questo aspetto negativo della vita sociale, bisogna almeno tentare di
contenerlo nella giusta misura.
Questa etica della comunicazione deve essere basata sul consenso,
sul principio maggioritario, sulla discussione?
No, proprio non può essere regolata dal principio maggioritario.
Per questo bisogna capire bene la natura delle nuove tecniche della comunicazione
a supporto digitale. Nella comunicazione mediatica tradizionale, per esempio
la stampa, la radio, la televisione, c'è un centro di emissione
e un gran numero di ricettori che sono insieme passivi, perché
non c'è reciprocità nella comunicazione, e, soprattutto,
isolati gli uni dagli altri. Allora, dal punto di vista dell'intelligenza
collettiva, questo fatto è interessante, perché tutti partecipano
alle stesse rappresentazioni, emesse dal centro, ma non c'è interattività,
non c'è costruzione collettiva. Un altro schema di comunicazione
possibile è quello del telefono: qui c'è reciprocità
nella comunicazione, ma non c'è costruzione collettiva. La comunicazione
passa semplicemente da individuo a individuo. Con il cyber-spazio, con
i forum di discussione elettronici, con Internet o anche su scala più
ridotta con le BBS su scala di impresa o di associazione o di quartiere
c'è la possibilità non solo che uno emetta verso tutti,
non solo che uno comunichi facilmente con un altro, come sulla rete telefonica,
ma che tutti possano comunicare con tutti. Si crea dunque un contesto
comune, ma questo contesto comune non risulta più dall'emissione
di un centro, risulta dall'apporto di ciascuno alla discussione collettiva.
Credo che il vero, autentico atto di comunicazione è quello che
consiste nel costruire in cooperazione un universo di significati comune,
nel quale ognuno si può situare. Nessuno è obbligato a condividere
le idee degli altri: semplicemente si partecipa allo stesso universo di
significati, allo stesso contesto. Secondo il mio modo di pensare, non
si tratta affatto di arrivare a un consenso, per fare in modo che la maggioranza
governi. Questa è in un certo modo la democrazia rappresentativa
classica. Credo invece che ognuno può, mediante questo sistema,
prendere posizione, sviluppando una argomentazione assolutamente singolare.
Si potranno formare anche delle maggioranze, tante maggioranze per quanti
sono i problemi. E questo farà sì che un individuo possa
avere su un dato problema una certa posizione e su un altro problema un'altra
posizione e non essere semplicemente incluso in una grande categoria massiccia
di persone che condividono tutte le stesse idee. Al contrario si può
arrivare a differenziazioni molto sottili.
Quali sono tuttavia i pericoli di questa tendenza?
Pericoli certo ve ne sono. Direi che questa prospettiva dell'intelligenza
collettiva, che permette alle persone di unire le loro forze intellettuali,
la loro immaginazione, le loro conoscenze, eccetera, era la prospettiva
di coloro che hanno costruito questo sistema e si potrebbe dire che, in
un certo senso, è il risultato di un vero movimento sociale. Non
c'è nessuna grande società, nessun governo che ha deciso
di costruire Internet: è un fenomeno del tutto spontaneo, è
il movimento sociale di una gioventù cosmopolita di diplomati,
che si interessano ai fenomeni dell'intelligenza collettiva. Ciò
che accade oggi è che il cyber-spazio, costruito da un movimento
sociale di gente che condivideva questa utopia, è recuperato dai
governi che ne vogliono fare una specie di apparato collettivo, di grande
televisione, e che spesso non capiscono che la televisione interattiva
è una contraddizione in termini: la televisione non può
essere interattiva, se no non è più televisione; o ha una
interattività estremamente limitata. Oppure è recuperato
dai commercianti, dalle grandi imprese, che vedono in esso l'occasione
di sviluppare un immenso mercato, un nuovo spazio di vendite, uno spazio
mobile, in definitiva. Non credo affatto che sia qualcosa di puramente
negativo il fatto che sia investito dal mercato capitalistico. Ma sarebbe
veramente un peccato che questo aspetto commerciale sopprimesse o si sostituisse
completamente all'altra dimensione. Sarebbe un po' come nei paesi dell'Est
quando dicono: ci siamo battuti per la democrazia e abbiamo ottenuto il
capitalismo. Io dico che ci vuole il formaggio e la frutta. Perché
non sviluppare nuovi mercati? Ma a condizione che il mercato non faccia
passare in secondo piano le altre dimensioni, che sono l'aumento di ricchezze
umane e di civiltà. Per me questo è il pericolo principale.
Altri, in un'ottica un po' paranoica, parlano di controllo eccetera. Non
sono molto sensibile a questo aspetto, in primo luogo perché tutti
i sistemi di comunicazione sono stati usati dalla polizia, a cominciare
dalle poste: si sa che le lettere sono state sempre aperte dalla polizia.
Oggi se un servizio di spionaggio o di contro-spionaggio vuole intercettare
le comunicazioni telefoniche lo fa. Si può fare anche nel cyber-spazio,
ma da questo punto di vista non c'è nessuna novità qualitativa
secondo me. Anzi forse è più difficile, a causa della pratica
del linguaggio cifrato.
Nelle reti si trovano miliardi di informazioni e una pletora di
dati. Ma l'educazione che i Greci chiamavano "paideia " e i
tedeschi "Bildung " era qualcosa di più dell'informazione,
era un coinvolgimento diretto.
Certo l'educazione è qualcosa di costruito, di organico, animato
da un certo spirito, eccetera. Ciò che succede qui è che
si ha un'enorme massa di informazioni, anzi non soltanto una massa, un
flusso di informazioni, ma un vero e proprio diluvio. Ho un mio amico
che dice: stiamo vivendo il secondo diluvio. Il primo diluvio è
stato di acqua, il secondo è il diluvio dell'informazione. Dunque
il problema è di sapere che cosa si deve salvare, che cosa si deve
mettere nell'arca, come dovremo navigare. Il problema della navigazione
nel cyber-spazio si presenta come navigazione dell'arca nel diluvio informazionale.
E' bene esserne coscienti. Non potremo usare validamente tutti questi
sistemi se non avremo degli strumenti per orientarci e filtrare l'informazione.
Ma ce ne sono sempre di più, e questo è molto importante.
In secondo luogo credo che il rapporto con il sapere sia completamente
cambiato: viviamo in un'epoca in cui una persona, un piccolo gruppo, non
può più controllare l'insieme delle conoscenze e farne un
tutto organico. E' divenuto impossibile anche per un gruppo umano importante.
Ciò vuol dire che la ricostituzione di un tutto organico, che abbia
senso, non può essere fatta da individui o da piccoli gruppi. Dobbiamo
imparare a costruire un rapporto con la conoscenza completamente nuovo.
In un certo senso non è un male: dà molta più libertà
all'individuo o al piccolo gruppo, ma certo è molto più
difficile. Bisogna soltanto saper prendere partito. Se si resta con la
nostalgia di una cultura ben costituita, organica, con la nostalgia di
una totalità culturale, non se ne esce. La conoscenza, la cultura,
è qualcosa che si sta definitivamente detotalizzando. Vi dicono:
potrete avere accesso a tutte le informazioni, alla totalità delle
informazioni, ma è proprio il contrario: adesso sapete che non
avrete mai accesso alla totalità. Questo è il messaggio
del cyber-spazio e voi dovete saper selezionare. Ritorno sull'intelligenza
collettiva. Voi e il piccolo gruppo a cui appartenete e con cui avete
uno scambio più stretto non potrete mai sapere tutto e quindi sarete,
necessariamente, obbligati a fare appello ad altri, alle conoscenze d'altri
e alle loro capacità di navigazione: i messaggi che hanno più
valore nel cyber-spazio sono quelli che vi aiutano a trovare dei riferimenti,
a orientarvi, quelli che hanno meno valore sono quelli che aumentano la
massa senza dare visibilità o trasparenza alle conoscenze disponibili.
Vediamo il Word Wide Web, che è un caso molto interessante. Se
mettete un documento sul Word Wide Web, fate due cose insieme: primo,
aumentate l'informazione disponibile, ma in secondo luogo, fate anche
un'altra cosa: con i nessi che stabilite tra il vostro documento e l'insieme
degli altri, voi offrite al navigatore che arriverà su quel documento
il vostro punto di vista. Quindi non soltanto aumentate l'informazione,
ma inoltre offrite un punto di vista sull'insieme dell'informazione. Il
Word Wide Web non è soltanto una enorme massa di informazione,
è l'articolazione di migliaia di punti di vista diversi. Bisogna
considerarlo anche sotto questo aspetto.
Forse siamo di fronte a un paradosso, perché, se abbiamo
paura che si possa realizzare il Grande Fratello di Orwell, può
darsi che oggi dobbiamo combattere, al contrario, l'appiattimento, il
fatto che ogni controversia sarà appianata e che non ci saranno
più padroni del pensiero.
Io trovo molto positivo che non ci siano più padroni del pensiero.
C'è un fenomeno di appiattimento, ma è soltanto mettendosi
dal punto di vista di Dio che c'è propriamente appiattimento, perché
non c'è più centro, non c'è più controllo,
non c'è più istanza di controllo. Viceversa, da ciascun
punto di vista individuale, bisogna ricostituire un paesaggio differenziato
con superfici concave e convesse, eccetera. E' una forma di dualismo.
Ma per ogni individuo o per ogni microgruppo è un paesaggio diverso.
Parlo al futuro, ma succede già oggi.
Ma gli uomini non troveranno difficoltà a orientarsi in
uno spazio in cui non c'è più il prima o il dopo, il fuori
o il dentro, l'interno o l'esterno?
Lo spazio in cui ci situeremo sarà uno spazio alla Moebius, in
cui l'interno passa all'esterno e l'esterno all'interno. Ma non soltanto
perché lo spazio virtuale sfrutta le onde dello spazio fisico.
E' molto più profondo. Si dice normalmente: l'informazione informa
su una realtà. Per questo deve essere possibile distinguere tra
la carta e il territorio. Ma oggi il territorio principale è l'insieme
delle carte e dunque il passaggio dall'interno all'esterno e dall'esterno
all'interno non avviene più soltanto nello spazio fisico, avviene
nello spazio ontologico, per così dire, della realtà della
rappresentazione. La realtà passa continuamente nella rappresentazione,
e la rappresentazione diventa continuamente la realtà stessa. In
ciò risiede la difficoltà con cui ci dobbiamo confrontare.
In un certo senso è stato sempre così, perché, beninteso,
non c'è realtà al di fuori del linguaggio, della cultura
che la pone. Ma oggi è diventato assolutamente evidente: non è
più il risultato di argomenti filosofici, è una cosa che
possiamo vivere, al limite, tecnicamente e socialmente, ogni giorno, e
un gran numero di persone ha cominciato a rendersene conto.
Ma non ci sarà un'atrofia della percezione sensibile, in
un mondo in cui non servono più i sensi?
Di questo non sarei talmente sicuro: in primo luogo perché penso
che ci sia un'enorme sviluppo della vista, con tutti questi sistemi di
comunicazione che permettono di vedere cose che gli occhi non vedevano.
Voi vedete con i satelliti, con gli infrarossi, con gli scanner, che hanno
permesso, in medicina, la produzione delle lastre eccetera, eccetera.
Anche il tatto, l'interazione sensorio-motrice con la telepresenza si
sta sviluppando enormemente, come l'udito con il telefono, le nuove musiche
e simili. Non so se si possa parlare veramente di un'atrofia dei sensi,
perché si ha piuttosto una virtualizzazione e uno sviluppo dei
sensi con tutti questi sistemi di telepresenza e di virtualità.
Non è l'atrofia, ma la virtualizzazione delle percezioni, la loro
estensione, la loro trasformazione e, in un certo senso, la loro messa
in comune. La loro messa in comune perché la televisione, come
dice la parola, è un modo di vedere lontano, ma la cosa più
interessante della televisione è che tutti vedono con lo stesso
occhio; e, del telefono, che tutti, per ascoltare, usano lo stesso sistema
uditivo. Invece l'intelligenza collettiva è fatta di tutte le dimensioni
dell'intelligenza, della memoria e della percezione.
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