"EVOLUZIONE
DEL CONCETTO DI SAPERE NELL'ERA TELEMATICAi"
Pierre
Levy ci parla di come le nuove tecnologie della comunicazione e dell'informazione
stanno trasformando
il nostro rapporto con la conoscenza
Come
sta cambiando il rapporto con il sapere in funzione dello sviluppo di
nuovi strumenti di conoscenza e di comunicazione?
Quello che sta cambiando è il nostro rapporto con la conoscenza.
Il primo elemento è la velocità: mai come oggi le conoscenze
si sono sviluppate così velocemente, né hanno subìto
una così rapida obsolescenza, rimpiazzate dalle nuove. Il patrimonio
di conoscenze di cui una persona dispone all'inizio della sua carriera
è destinato a diventare, al termine della sua vita professionale,
in tutto, o in parte obsoleto. Non si può più trasmettere
il proprio sapere ai giovani apprendisti o ai nuovi arrivati. Sotto questo
aspetto ci troviamo in una situazione del tutto nuova nella storia dell'umanità,
che si è verificata negli ultimi venti o trent'anni. E' una mutazione
di grande importanza di cui dobbiamo prendere assolutamente coscienza.
E' una situazione in cui è necessario, ormai, apprendere continuamente
e in cui il fenomeno della formazione permanente non è più
riservato ad una élite di ricercatori o di specialisti della conoscenza,
ma concerne tutti i campi del sapere. Questo è un primo aspetto
del nuovo rapporto con il sapere. Un altro elemento importante è
costituito dalle nuove tecniche, specialmente digitali, informatiche,
che forniscono i supporti delle tecnologie intellettuali, che trasformano
ed estendono le nostre capacità cognitive: la nostra memoria con
le banche-dati, gli ipertesti e gli iperdocumenti; la nostra immaginazione
con tutti i sistemi di simulazione, la nostra percezione con gli strumenti
per produrre immagini a partire dai dati, come si vede in medicina, e
così via. Adesso, abbiamo a nostra disposizione un gran numero
di tecnologie intellettuali che trasformano i nostri modi di pensare.
L'altro approccio, o meglio, l'altra dimensione del cambiamento è
che non abbiamo soltanto strumenti per estendere le nostre capacità
cognitive individuali, ma le tecnologie digitali, l'interconnessione mondiale
dei calcolatori, costituiscono anche un nuovo spazio di comunicazione
particolarmente propizio a ciò che io chiamo "intelligenza
collettiva". L'intelligenza collettiva è la messa in comune
delle capacità mentali, dell'immaginazione, delle competenze che
permettono alla gente di collaborare, di lavorare e di apprendere insieme.
Se guardiamo, al tempo stesso, alla velocità con cui le conoscenze
si evolvono, all'estensione delle capacità cognitive individuali
mediante le tecnologie, e alle nuove possibilità di apprendimento
cooperativo e di collaborazione tra la gente, al livello intellettuale,
io credo che ci troviamo davanti a un paesaggio completamente nuovo nel
rapporto con il sapere e siamo obbligati a constatare che molte nostre
concezioni pedagogiche circa l'apprendimento e l'insegnamento, molte delle
nostre istituzioni scolastiche e dei nostri metodi per riconoscere o convalidare
le competenze sono stati elaborati in un periodo in cui il rapporto con
la conoscenza era molto diverso da quello che è adesso. Dunque,
c'è molto lavoro da fare, perché i nostri concetti, le nostre
istituzioni, i nostri modi di organizzazione si adattino a questa nuova
fase.
Dunque, a Suo avviso, ci dovrebbe essere una rivoluzione nel sistema scolastico
e universitario? Lei pensa che ci dovranno essere veramente dei forti
cambiamenti?
Sì, lo credo; anzi, a parer mio è una rivoluzione che nasce
proprio nel sistema scolastico e universitario. Non bisogna dimenticare
che Internet si è sviluppato, all'inizio, tra ricercatori e universitari.
Dunque non è qualcosa che arriva nella scuola dall'esterno. C'è
una mutazione tecnologica e noi, nella scuola e nell'università,
siamo costretti a cambiare. E', in altri termini, un fenomeno endogeno,
di autotrasformazione. Ma resta il fatto che molte cose, a questo punto,
devono cambiare. Poiché non abbiamo molto tempo mi limiterò
al punto essenziale: deve cambiare in particolare il ruolo, la funzione
dell'insegnante. Tradizionalmente, l'insegnante è colui che diffonde,
che dispensa le conoscenze. Oggi, con il fenomeno della interconnessione
mondiale dei calcolatori, con la grande accessibilità dell'informazione
online, si può entrare in contatto con specialisti che si trovano
dalla parte opposta del pianeta, ci si può inserire in comunità
virtuali di persone che si interessano a tale o tal altro soggetto: comunità
di ricerca, comunità di apprendimento. Anche il ruolo del professore
che si trova sulla cattedra, in classe, dovrà necessariamente cambiare:
è il fenomeno della "disintermediazione", che riguarda,
del resto, anche giornalisti, i medici, gli avvocati. Vuol dire che non
c'è più bisogno di passare per l'intermediario che serve
le informazioni belle e pronte o che indica quello che è importante
sapere. Si può accedere direttamente ad uno spazio in cui non ci
sono più barriere disciplinari, in cui non ci sono più barriere
gerarchiche, né frontiere tra i diversi paesi. Allora, entro qualche
anno, è probabile che in tutte le scuole si avrà accesso
ad Internet e sarà offerta, ai giovani che non potranno averlo
a casa, la possibilità di connettersi anche fuori della scuola,
presso punti di accesso pubblici. In questo quadro credo che il ruolo
dell'insegnante sia destinato a cambiare in quello di animatore dell'intelligenza
collettiva nei suoi allievi. Dovrebbe incitarli ad apprendere, a sapersi
orientare nella navigazione dentro questo nuovo spazio di conoscenze,
incitarli a cooperare, stimolare il loro desiderio di apprendere, destare
la loro curiosità. Gli insegnanti del futuro saranno manager della
conoscenza e animatori, piuttosto che persone che detengono e impartiscono
un sapere. Dovranno insegnare ai loro studenti come andarselo a cercare,
perché quegli studenti, quegli allievi dovranno continuare a farlo
per tutto il resto della loro vita sociale e professionale, e non ci sarà
sempre un professore che li metterà davanti ad un'informazione
bell'e pronta. Dunque, bisogna prepararsi ad un apprendimento continuo,
e, per questo, bisogna usare strumenti idonei alla creazione di riflessi
intellettuali e relazionali nuovi, cioè imparare ad apprendere
dagli altri, a cooperare, a cedere le proprie conoscenze e a trasmetterle.
Ma questa è una rivoluzione intellettuale, perché
non ci sarà più una classe intellettuale detentrice del
sapere. Che cosa succederà?
Non c'è stata mai una classe intellettuale detentrice del sapere.
Ci sono state classi detentrici del potere, che dicevano: il nostro sapere
è "il" sapere, e squalificavano così il sapere
degli altri. Dunque, se Lei si esprime in questo modo, presta loro fede.
Io credo, invece, che non si debba credere a questo discorso. Secondo
il mio modo di vedere tutti sanno qualcosa e ognuno è potenzialmente,
per chiunque altro, una fonte di apprendimento. E' proprio quello che
succede in rete. Molta gente dice: su Internet ci sono siti completamente
stupidi dove si trovano solo delle sciocchezze. Sono sciocchezze per loro,
ma forse per quelli che le hanno inserite non lo erano, forse altri le
potranno trovare interessanti. La gente comincia a comunicare reciprocamente
e a scambiarsi le informazioni che ritiene interessanti. Si sta andando
verso una situazione in cui il mercato della conoscenza sarà un
mercato libero e aperto, mentre finora eravamo in una situazione di monopolio,
in una situazione estremamente chiusa, in cui non c'era libero scambio.
Dunque Lei è per la libertà totale, per l'anarchia
su Internet?
No, no. Bisogna stare attenti a parlare di anarchia: tutto dipende da
come ci si rappresenta il problema. Direi che il funzionamento di Internet
non sia anarchico nel senso del disordine, ma cooperativo, cosa molto
diversa e assai più civile di una situazione in cui esiste un'autorità
centrale che decide di tutto.
Internet e le nuove tecnologie possono offrire, ad un ragazzo
che studia, qualcosa di più dei libri e dei luoghi istituzionali
in cui il ragazzo ha sempre studiato?
Può essere. Ad ogni modo, in primo luogo, io penso che i libri
continueranno ad esistere, specialmente i romanzi, e soprattutto i libri
illustrati per ragazzi, esisteranno sempre su carta. E' importante il
contatto con l'oggetto-libro, è assolutamente insostituibile. Se
pensiamo alle enciclopedie vediamo che una enciclopedia può essere
usata, spostata, consultata assai meglio quando è si trova su un
supporto digitale. Su un CD ROM, per esempio, si trova immediatamente
tutto quello che si cerca, si può mettere da parte quello che interessa
per usarlo di nuovo; vi sono possibilità di ricerca full-text,
cioè, nell'insieme del testo, che non è possibile su carta.
Penso che i ragazzi prenderanno confidenza assai presto con questi strumenti
di ricerca documentaria molto più potenti di qualsiasi enciclopedia
chiusa, che funzionano come ipertesti in cui si passa da un documento
all'altro in funzione dei nessi di senso con cui gli autori li hanno collegati
Ed infine, soprattutto, non bisogna dimenticare che Internet è
uno strumento di comunicazione tra le persone. Non è solo un immenso
data base, un ipertesto mondiale, è anche un luogo in cui c'è
la possibilità di tenere una corrispondenza tra individui: mediante
la posta elettronica, c'è la possibilità di comunicare all'interno
di un gruppo, di costituire comunità di lavoro tra gente che si
occupa dello stesso soggetto. Ed infine è uno strumento di apprendimento,
di accesso alla conoscenza estremamente importante, perché non
c'è apprendimento senza una corrispondente socializzazione, senza
che si stabilisca, contemporaneamente, una relazione sociale. Dunque,
Internet è anche uno dei luoghi in cui oggi si tessono i rapporti
sociali intorno ad uno scambio di conoscenze, intorno all'interesse condiviso
per un certo campo della conoscenza, e questo è importante.
Lei ha parlato di quattro fasi del sapere: il libro, la biblioteca
e quella biblioteca senza territorialità che è Internet.
Un momento! Nell'enumerare le quattro fasi bisogna cominciare dall'oralità,
dall'epoca anteriore alla scrittura, in cui il supporto del sapere era
la comunità stessa. Una cultura poteva registrare solo il sapere
che i vivi, specialmente i più anziani, avevano conservato. C'è
un noto proverbio africano che dice: "Quando muore un vecchio, brucia
una biblioteca". In seguito, il supporto del sapere è costituito
dal Libro, il libro con la 'L' maiuscola, come la Bibbia o il Corano,
o Aristotele, o i classici cinesi; opere, intendo, in cui era racchiusa
la verità e dalle quali si poteva ricavare tutto il sapere mediante
il lavoro dell'interpretazione. Poi è arrivata la stampa e, con
la biblioteca, l'idea di ipertesto. Se prendiamo la Grande Encyclopédie
di Diderot e D'Alembert, per esempio, in cui i soggetti sono classificati
per ordine alfabetico e una serie di rinvii collegano un articolo all'altro,
concettualmente ci troviamo già in un ipertesto. Il concetto di
ipertesto non è affatto nuovo. Nuova è la sua materializzazione
tecnica. Direi che oggi non è scomparso nessuno dei precedenti
rapporti con la conoscenza o con i supporti della conoscenza, perché
c'è sempre un saper fare legato al corpo e ai nervi di una persona;
c'è sempre, specie nelle tradizioni religiose, il rapporto con
il "libro sacro", c'è sempre la grande biblioteca-ipertesto,
che è in enorme espansione. Ed infine, esiste un quarto spazio
di conoscenze, che si è aperto con il cyberspazio, appunto, nel
quale è avvenuta una specie di fusione della comunità e
della grande biblioteca ipertestuale. Con Internet non si accede solo
a tutti i libri e a tutti i documenti, ma anche alle persone. Tutte queste
persone vive, organizzate in comunità sono portatrici di sapere.
Perciò penso che si possa, che si debba considerare il cyberspazio
come il luogo dell'intelligenza collettiva. Questo è quanto di
meglio si possa fare nel cyberspazio in una prospettiva umanista, se si
persegue il programma dell'Illuminismo. Si possono fare anche molte altre
cose: si può fare del video on demand o qualsiasi altra operazione,
ma quando si formula un progetto complessivo per il cyberspazio, si incontra
l'intelligenza collettiva. Il cyberspazio è una grande fonte di
attrazione. La gente lo trova così esaltante perché sente
che qui è in giuoco l'intelligenza collettiva dell'umanità.
Lei crede che le tecnologie e il saper fare legato alle tecnologie, potrebbe
approfondire la separazione tra paesi ricchi e paesi poveri, paesi che
hanno il potere (informatico) ed altri paesi che non lo posseggono?
Sì. Ma la risposta è necessariamente ambigua, ambivalente:
da un lato, è chiaro che qui abbiamo degli strumenti di sviluppo,
perché come ho appena detto si possono imparare parecchie cose
su Internet, ci si può costituire e ci si può organizzare
localmente in collettivi intelligenti. Per esempio, gli Africani potrebbero
servirsene non solo per collegarsi con le banche-dati americane, ma per
mettere in sinergia le loro risorse, i loro progetti, le loro competenze,
su base locale. Dunque, sotto numerosi aspetti, si tratta di strumenti
di sviluppo. Ma, d'altro lato, se non useranno questi strumenti o li useranno
esclusivamente in una prospettiva di informazione commerciale, questo
aumenterà ulteriormente la dequalificazione del loro sapere tradizionale
in rapporto al sapere scientifico dell'Occidente. E da quel momento si
scaverà una distanza ancora più grande tra quei paesi e
noi. Come ogni innovazione veramente potente può portare a un progresso
o a un regresso.
Noi viviamo in un mondo in cui esiste un'enorme quantità
di informazione, e le persone che usano Internet hanno la possibilità
di aumentarla continuamente. Non si corre il rischio, in fin dei conti,
di non poter operare più una selezione dell'informazione, di fermarsi
ad una conoscenza superficiale?
Sul World Wide Web si passa il tempo a selezionare. L’utente pone
una domanda, va su un motore di ricerca e chiede quello che è di
suo interesse. Gli vengono, poi, indicati i siti su cui si trova. Allora,
l’individuo, comincia a passarli rapidamente in rassegna e a selezionarli.
Tutto il lavoro del navigatore consiste in un filtraggio, in una scelta,
in una selezione. E adesso sta per uscire una nuova generazione di strumenti:
i famosi "agenti intelligenti", che aiuteranno ancora di più
a fare questa operazione di filtraggio, di selezione, e poi, addirittura,
qualcosa di cui abbiamo solo una vaga idea oggi, una specie di cartografia
dinamica dell'informazione, che ci permetterà di dirigerci verso
le zone del Web in cui si trova l'informazione che ci interessa. Io penso
che tutti questi strumenti di filtraggio e di selezione si svilupperanno
rapidamente. Ma non ci sono soltanto i motori di ricerca, gli agenti intelligenti,
le cartografie dinamiche dell'informazione: ci sono anche gli altri internauti.
Se Lei partecipa ad un forum o a un newsgroup, troverà persone
specializzate in un certo campo che le indicheranno che cosa c'è
di interessante su un determinato soggetto. Poi, dal momento che comincia
a entrare nel vivo di un argomento, a partecipare ad un newsgroup, a conoscere
i siti migliori, man mano che si familiarizza con un certo argomento,
si orienta sempre meglio, perché sa quali sono i siti utili e,
partendo da quei siti può stabilire le connessioni giuste. Non
bisogna immaginarsi di poter avere tutto subito e facilmente. Come in
qualsiasi altro campo ci vuole tempo per entrare in contatto, per apprendere
e per familiarizzarsi con questi mezzi. Così si può operare
una buona selezione. Ciò che conta - e che gli utenti devono capire-
è che la selezione è operata dall'individuo: è lui
che ha in mano gli strumenti per farla. Con i media tradizionali - giornali,
radio, televisione, e anche scuola- la selezione la fa un centro, o un'autorità
gerarchica o persone specializzate che la operano per un vasto pubblico,
non per una persona o per un piccolo gruppo specializzato in questo o
quel campo. Dunque, poiché la selezione è operata dall'individuo,
è lecito pensare che sarà meno sommerso dall'informazione
se la riceverà già selezionata da altri. Quando si è
nella condizione di ricevere, di essere bersagliati da una massa enorme
di informazione, come succede con i media tradizionali, ci si sente perduti.
Dunque, io chiedo alla gente di diffidare anche delle cose che ho detto,
se non può controllarne la veridicità.
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