L'espressione
"software libero" ha un problema di ambiguità [NdT:
questo accade per la lingua inglese, dove il termine "free"
può assumere due significati tra loro molto differenti. Nella
lingua italiana questo non succede]: un significato non previsto,
"software che si può avere senza spendere niente"
corrisponde all'espressione altrettanto bene del significato previsto,
cioè software che dà all'utente certe libertà.
Abbiamo risolto questo problema pubblicando una definizione più
precisa di software libero, ma questa non è la soluzione
perfetta. Non può eliminare completamente il problema. Un
termine corretto e non ambiguo sarebbe la soluzione, presupponendo
che non ci siano altri problemi.
Sfortunatamente tutte le alternative presentano problemi. Abbiamo
considerato molte alternative che ci sono state suggerite, e mentre
alcune evitano questo problema, ne presentano altri; nessuna è
così completamente "corretta" che sia una buona
idea sceglierla. Tutte le soluzioni proposte per "software
libero" hanno un qualche tipo di problema semantico o peggio,
incluso "software open source".
Il significato ovvio di "software open source" è
«puoi guardare il codice sorgente». Questa è
una espressione meno vigorosa di "software libero"; include
il software libero, ma include anche software semi-libero come ad
esempio Xv e perfino qualche software proprietario, inclusa Qt nelle
sue precedenti licenze.
Questo significato ovvio di "open source" non è
quello inteso dai suoi sostenitori (la loro definizione "ufficiale"
è molto simile a quella di "software libero").
Il risultato è che le due cose spesso vengono confuse. Ovviamente,
questo problema può essere risolto pubblicando una definizione
precisa del termine. Coloro che utilizzano l'espressione "software
open source" l'hanno fatto, così come abbiamo fatto
noi per "software libero". Questo approccio purtroppo
è solo parzialmente efficace in entrambi i casi. Per quanto
riguarda il software libero, dobbiamo insegnare che intendiamo un
significato piuttosto che un altro ugualmente appropriato. Per l'open
source, dobbiamo insegnare ad utilizzare un significato che non
corrisponde assolutamente all'espressione.
Il principale
argomento a favore dell'espressione "software open source"
è che "software libero" può far sentire
a disagio. Ed è vero: parlare di libertà, di problemi
etici, di responsabilità così come di convenienza
è chiedere di pensare a cose che potrebbero essere ignorate.
Questo può causare imbarazzo ed alcune persone possono rifiutare
l'idea di farlo. Questo non vuol dire che la società starebbe
meglio se smettessimo di parlare di questi argomenti.
Anni fa, gli sviluppatori di software libero si accorsero di queste
reazioni di disagio e iniziarono a cercare una soluzione a questo
problema. Pensarono che mettendo in secondo piano l'etica e la libertà
e parlando piuttosto dei benefici pratici immediati di qualche software
libero, sarebbero stati in grado di "vendere" il software
più efficacemente ad una determinata utenza, in particolar
modo le aziende. Il termine "open source" viene offerto
come un modo per venderne di più, un modo per essere "più
accettabili alle aziende".
Questo approccio al problema ha dimostrato di funzionare, alle sue
condizioni. Oggi molte persone passano al software libero per ragioni
puramente pratiche. Questa è una buona cosa, di per sé,
ma non è tutto quello che dobbiamo fare! Attirare gli utenti
verso il software libero non esaurisce il lavoro, è solo
il primo passo.
Prima o poi questi utenti saranno invitati ad utilizzare nuovamente
software proprietario per alcuni vantaggi pratici. Un enorme numero
di aziende cerca di offrire questa tentazione, e perché gli
utenti dovrebbero rifiutare? Solo se hanno imparato a valorizzare
la libertà che viene offerta loro dal software libero di
per sé. Tocca a noi diffondere questa idea e per farlo, dobbiamo
parlare di libertà. Una parte dell'approccio «teniamole
tranquille» nei confronti delle aziende può essere
utile per la comunità, ma dobbiamo comunque parlare di libertà.
Attualmente, abbiamo molto «teniamole tranquille», ma
non si parla abbastanza della libertà. La maggior parte delle
persone coinvolte nel software libero parla molto poco della libertà,
di solito perché cerca di essere "più accettabile
per le aziende". I distributori di software sono quelli che
più seguono questa regola. Alcune distribuzioni del sistema
operativo GNU/Linux aggiungono pacchetti di software proprietario
al sistema libero di base e invitano gli utenti a considerarlo un
vantaggio, invece che un passo indietro rispetto alla libertà.
Non riusciamo a rimanere alla pari rispetto
all'afflusso di utenti di software libero, non riusciamo ad insegnare
alle persone cosa siano queste libertà e cosa sia la nostra
comunità man mano che vi entrano. Questo è il motivo
per cui software non libero come lo era Qt all'inizio e le distribuzioni
di sistemi operativi parzialmente non liberi, trovano un terreno
così fertile. Smettere di utilizzare la parola "libero"
adesso sarebbe un errore. Abbiamo bisogno che si parli di più,
e non meno, di libertà.
Mettiamo il caso che coloro che utilizzano il termine "open
source" riescano a portare ancora più utenti all'interno
della nostra comunità: se ci riescono, gli altri di noi dovranno
lavorare ancora più duramente per portare il problema della
libertà all'attenzione di quegli utenti. Dobbiamo dire «è
software libero e ti dà libertà!» sempre di
più e più forte che mai.
La definizione
di open source è chiara abbastanza ed è abbastanza
chiaro che il tipico programma non libero non rientra in questa
definizione. Quindi penserete che una "azienda Open Source"
produca software libero, giusto? Non sempre è vero, molte
aziende stanno anche cercando di dargli un differente significato.
All'incontro "Open Source Developers Day" svoltosi nell'agosto
1998, molti degli sviluppatori commerciali invitati dissero che
erano intenzionati a creare come software libero (o "open source")
solo una parte del loro lavoro. Il fulcro del loro business era
lo sviluppo di aggiunte proprietarie (software o documentazione)
da vendere agli utenti di questo software libero. Ci chiesero di
considerarlo come legittimo, come parte della nostra comunità,
poiché parte del denaro veniva donato per lo sviluppo di
software libero.
In effetti, queste aziende tentano di guadagnare una favorevole
immagine "open source" per i loro prodotti software proprietari,
anche se questi non sono software "open source", poiché
hanno una qualche relazione con il software libero o perché
la stessa azienda mantiene anche un qualche software libero. (Il
fondatore di una azienda ha esplicitamente detto che avrebbero messo,
nei pacchetti di software libero da loro supportati, un po' del
loro lavoro per poter far parte della comunità.)
Negli anni, molte aziende hanno contribuito allo sviluppo del software
libero. Alcune di queste aziende sviluppavano principalmente software
non libero, ma le due attività erano separate. Per questo
potevamo ignorare i loro prodotti non liberi e lavorare con loro
sui progetti di software libero. Quindi potevamo poi onestamente
ringraziarli per i loro contributi al software libero, senza parlare
degli altri prodotti che portavano avanti.
Non possiamo fare altrettanto con queste nuove aziende, poiché
loro non lo accetterebbero. Queste aziende cercano attivamente di
portare il pubblico a considerare senza distinzione tutte le loro
attività. Vogliono che noi consideriamo il loro software
non libero come se fosse un vero contributo, anche se non lo è.
Si presentano come "aziende open source" sperando che
la cosa ci interessi, che le renda attraenti ai nostri occhi e che
ci porti ad accettarle.
Questa pratica di manipolazione non sarebbe meno pericolosa se fatta
utilizzando il termine "software libero". Ma le aziende
non sembrano utilizzare il termine "software libero" in
questo modo. Probabilmente la sua associazione con l'idealismo lo
rende non adatto allo scopo. Il termine "open source"
ha così aperto tutte le porte.
In una fiera alla fine del 1998, dedicata al sistema operativo spesso
chiamato "Linux", il relatore di turno era un alto dirigente
di una importante azienda di software. Era stato probabilmente invitato
poiché la sua azienda aveva deciso di "supportare"
questo sistema.
Sfortunatamente,
la forma di "supporto" consisteva nel rilasciare software
non libero che funziona con il sistema -- in altre parole, utilizzava
la nostra comunità come un mercato e non vi contribuiva affatto.
Disse: «Non renderemo mai il nostro prodotto open source,
ma forse lo renderemo tale "internamente". Se permetteremo
al nostro staff di supporto ai clienti di avere accesso al codice
sorgente, potrà risolvere gli errori per i clienti e potremo
quindi fornire un prodotto e un servizio migliori.» (Questa
non è la trascrizione esatta del discorso, poiché
non me lo ero trascritto, ma rende comunque l'idea.)
Alcune persone tra il pubblico mi dissero successivamente «non
ha capito il senso del nostro lavoro». Era vero? Quale senso
non avevano colto?
In realtà avevano colto il significato abituale del termine
"open source". Quel significato che non parla mai della
libertà, ma che permettendo a più persone di poter
guardare il codice sorgente e di aiutare a migliorarlo, consentirà
uno sviluppo più veloce e migliore. Il dirigente ha colto
perfettamente quel significato. Per altre ragioni non ha utilizzato
questo approccio nella sua interezza, utenti inclusi, pensando di
utilizzarlo parzialmente all'interno della sua azienda.
Il significato che non hanno colto è quello che l'"open
source" ha progettato di non sollevare: cioè che l'utente
merita la libertà.
Diffondere l'idea della libertà è un lavoro difficile
-- ha bisogno del tuo aiuto. Il progetto GNU rimarrà legato
al significato di "software libero". Se sentite che libertà
e comunità sono importanti in quanto tali -- non soltanto
per la convenienza implicita in esse -- unitevi a noi utilizzando
il termine "software libero".
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