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"Perché il "Software Libero" è migliore di quello "Open Source" di Richard Stallman
 

 

L'espressione "software libero" ha un problema di ambiguità [NdT: questo accade per la lingua inglese, dove il termine "free" può assumere due significati tra loro molto differenti. Nella lingua italiana questo non succede]: un significato non previsto, "software che si può avere senza spendere niente" corrisponde all'espressione altrettanto bene del significato previsto, cioè software che dà all'utente certe libertà. Abbiamo risolto questo problema pubblicando una definizione più precisa di software libero, ma questa non è la soluzione perfetta. Non può eliminare completamente il problema. Un termine corretto e non ambiguo sarebbe la soluzione, presupponendo che non ci siano altri problemi.


Sfortunatamente tutte le alternative presentano problemi. Abbiamo considerato molte alternative che ci sono state suggerite, e mentre alcune evitano questo problema, ne presentano altri; nessuna è così completamente "corretta" che sia una buona idea sceglierla. Tutte le soluzioni proposte per "software libero" hanno un qualche tipo di problema semantico o peggio, incluso "software open source".
Il significato ovvio di "software open source" è «puoi guardare il codice sorgente». Questa è una espressione meno vigorosa di "software libero"; include il software libero, ma include anche software semi-libero come ad esempio Xv e perfino qualche software proprietario, inclusa Qt nelle sue precedenti licenze.


Questo significato ovvio di "open source" non è quello inteso dai suoi sostenitori (la loro definizione "ufficiale" è molto simile a quella di "software libero"). Il risultato è che le due cose spesso vengono confuse. Ovviamente, questo problema può essere risolto pubblicando una definizione precisa del termine. Coloro che utilizzano l'espressione "software open source" l'hanno fatto, così come abbiamo fatto noi per "software libero". Questo approccio purtroppo è solo parzialmente efficace in entrambi i casi. Per quanto riguarda il software libero, dobbiamo insegnare che intendiamo un significato piuttosto che un altro ugualmente appropriato. Per l'open source, dobbiamo insegnare ad utilizzare un significato che non corrisponde assolutamente all'espressione.

Il principale argomento a favore dell'espressione "software open source" è che "software libero" può far sentire a disagio. Ed è vero: parlare di libertà, di problemi etici, di responsabilità così come di convenienza è chiedere di pensare a cose che potrebbero essere ignorate. Questo può causare imbarazzo ed alcune persone possono rifiutare l'idea di farlo. Questo non vuol dire che la società starebbe meglio se smettessimo di parlare di questi argomenti.


Anni fa, gli sviluppatori di software libero si accorsero di queste reazioni di disagio e iniziarono a cercare una soluzione a questo problema. Pensarono che mettendo in secondo piano l'etica e la libertà e parlando piuttosto dei benefici pratici immediati di qualche software libero, sarebbero stati in grado di "vendere" il software più efficacemente ad una determinata utenza, in particolar modo le aziende. Il termine "open source" viene offerto come un modo per venderne di più, un modo per essere "più accettabili alle aziende".


Questo approccio al problema ha dimostrato di funzionare, alle sue condizioni. Oggi molte persone passano al software libero per ragioni puramente pratiche. Questa è una buona cosa, di per sé, ma non è tutto quello che dobbiamo fare! Attirare gli utenti verso il software libero non esaurisce il lavoro, è solo il primo passo.
Prima o poi questi utenti saranno invitati ad utilizzare nuovamente software proprietario per alcuni vantaggi pratici. Un enorme numero di aziende cerca di offrire questa tentazione, e perché gli utenti dovrebbero rifiutare? Solo se hanno imparato a valorizzare la libertà che viene offerta loro dal software libero di per sé. Tocca a noi diffondere questa idea e per farlo, dobbiamo parlare di libertà. Una parte dell'approccio «teniamole tranquille» nei confronti delle aziende può essere utile per la comunità, ma dobbiamo comunque parlare di libertà.


Attualmente, abbiamo molto «teniamole tranquille», ma non si parla abbastanza della libertà. La maggior parte delle persone coinvolte nel software libero parla molto poco della libertà, di solito perché cerca di essere "più accettabile per le aziende". I distributori di software sono quelli che più seguono questa regola. Alcune distribuzioni del sistema operativo GNU/Linux aggiungono pacchetti di software proprietario al sistema libero di base e invitano gli utenti a considerarlo un vantaggio, invece che un passo indietro rispetto alla libertà.


Non riusciamo a rimanere alla pari ris
petto all'afflusso di utenti di software libero, non riusciamo ad insegnare alle persone cosa siano queste libertà e cosa sia la nostra comunità man mano che vi entrano. Questo è il motivo per cui software non libero come lo era Qt all'inizio e le distribuzioni di sistemi operativi parzialmente non liberi, trovano un terreno così fertile. Smettere di utilizzare la parola "libero" adesso sarebbe un errore. Abbiamo bisogno che si parli di più, e non meno, di libertà.


Mettiamo il caso che coloro che utilizzano il termine "open source" riescano a portare ancora più utenti all'interno della nostra comunità: se ci riescono, gli altri di noi dovranno lavorare ancora più duramente per portare il problema della libertà all'attenzione di quegli utenti. Dobbiamo dire «è software libero e ti dà libertà!» sempre di più e più forte che mai.

La definizione di open source è chiara abbastanza ed è abbastanza chiaro che il tipico programma non libero non rientra in questa definizione. Quindi penserete che una "azienda Open Source" produca software libero, giusto? Non sempre è vero, molte aziende stanno anche cercando di dargli un differente significato.


All'incontro "Open Source Developers Day" svoltosi nell'agosto 1998, molti degli sviluppatori commerciali invitati dissero che erano intenzionati a creare come software libero (o "open source") solo una parte del loro lavoro. Il fulcro del loro business era lo sviluppo di aggiunte proprietarie (software o documentazione) da vendere agli utenti di questo software libero. Ci chiesero di considerarlo come legittimo, come parte della nostra comunità, poiché parte del denaro veniva donato per lo sviluppo di software libero.


In effetti, queste aziende tentano di guadagnare una favorevole immagine "open source" per i loro prodotti software proprietari, anche se questi non sono software "open source", poiché hanno una qualche relazione con il software libero o perché la stessa azienda mantiene anche un qualche software libero. (Il fondatore di una azienda ha esplicitamente detto che avrebbero messo, nei pacchetti di software libero da loro supportati, un po' del loro lavoro per poter far parte della comunità.)


Negli anni, molte aziende hanno contribuito allo sviluppo del software libero. Alcune di queste aziende sviluppavano principalmente software non libero, ma le due attività erano separate. Per questo potevamo ignorare i loro prodotti non liberi e lavorare con loro sui progetti di software libero. Quindi potevamo poi onestamente ringraziarli per i loro contributi al software libero, senza parlare degli altri prodotti che portavano avanti.
Non possiamo fare altrettanto con queste nuove aziende, poiché loro non lo accetterebbero. Queste aziende cercano attivamente di portare il pubblico a considerare senza distinzione tutte le loro attività. Vogliono che noi consideriamo il loro software non libero come se fosse un vero contributo, anche se non lo è. Si presentano come "aziende open source" sperando che la cosa ci interessi, che le renda attraenti ai nostri occhi e che ci porti ad accettarle.


Questa pratica di manipolazione non sarebbe meno pericolosa se fatta utilizzando il termine "software libero". Ma le aziende non sembrano utilizzare il termine "software libero" in questo modo. Probabilmente la sua associazione con l'idealismo lo rende non adatto allo scopo. Il termine "open source" ha così aperto tutte le porte.
In una fiera alla fine del 1998, dedicata al sistema operativo spesso chiamato "Linux", il relatore di turno era un alto dirigente di una importante azienda di software. Era stato probabilmente invitato poiché la sua azienda aveva deciso di "supportare" questo sistema.

Sfortunatamente, la forma di "supporto" consisteva nel rilasciare software non libero che funziona con il sistema -- in altre parole, utilizzava la nostra comunità come un mercato e non vi contribuiva affatto.
Disse: «Non renderemo mai il nostro prodotto open source, ma forse lo renderemo tale "internamente". Se permetteremo al nostro staff di supporto ai clienti di avere accesso al codice sorgente, potrà risolvere gli errori per i clienti e potremo quindi fornire un prodotto e un servizio migliori.» (Questa non è la trascrizione esatta del discorso, poiché non me lo ero trascritto, ma rende comunque l'idea.)
Alcune persone tra il pubblico mi dissero successivamente «non ha capito il senso del nostro lavoro». Era vero? Quale senso non avevano colto?


In realtà avevano colto il significato abituale del termine "open source". Quel significato che non parla mai della libertà, ma che permettendo a più persone di poter guardare il codice sorgente e di aiutare a migliorarlo, consentirà uno sviluppo più veloce e migliore. Il dirigente ha colto perfettamente quel significato. Per altre ragioni non ha utilizzato questo approccio nella sua interezza, utenti inclusi, pensando di utilizzarlo parzialmente all'interno della sua azienda.
Il significato che non hanno colto è quello che l'"open source" ha progettato di non sollevare: cioè che l'utente merita la libertà.


Diffondere l'idea della libertà è un lavoro difficile -- ha bisogno del tuo aiuto. Il progetto GNU rimarrà legato al significato di "software libero". Se sentite che libertà e comunità sono importanti in quanto tali -- non soltanto per la convenienza implicita in esse -- unitevi a noi utilizzando il termine "software libero".

 

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