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Teoria

Carla Barbarella

Intervento

Spero davvero che il nostro contributo sia stato utile alla task force e siamo impegnati a continuare a dare il nostro supporto ad un’iniziativa che noi riteniamo molto importante. Mi consenta tuttavia, oltre che di esprimere alcune brevi considerazioni sull’iniziativa italiana che, ribadisco, ha un grande valore intrinseco, di fare anche però una riflessione generale, non soltanto sull’e- Government quanto piuttosto sulla diffusione delle ICT. Mi sollecita in questo, o almeno mi è stato di stimolo, una riflessione del Commissario Liikanen che ricordava Manuel Castells.

Vorrei dire che anche noi, ONG, condividiamo l’analisi di Castells e riteniamo che la diffusione delle ICT, delle nuove tecnologie, potrebbe rappresentare una grande opportunità di sviluppo e di crescita per tutti e che quindi da questo non può essere escluso alcuno: nessuna società, nessuna popolazione del nord o del sud del mondo che sia.

Quella che Castells definisce – per chi non lo conoscesse – la rivoluzione informazionale è infatti qualche cosa che va molto al di là dell’innovazione tecnologica a cui il mondo moderno ci ha abituato. Non si tratta infatti soltanto di introdurre alcune tecnologie, ma sono tecnologie molto particolari, che incidono profondamente, non solo sul nostro modo di produrre, ma anche sul nostro modo di pensare. Stiamo cioè assistendo a un grande cambiamento, un cambiamento epocale che potrebbe tuttavia produrre, e questo è in realtà un pezzo ulteriore dell’analisi di Castells, una grandissima frattura tra chi può avere accesso e può usare questo tipo di innovazione tecnologica e chi in realtà ne sarà deprivato.

Vorrei richiamare la vostra attenzione su un dato preciso: il tratto specifico dell’informazionalismo, se così mi posso esprimere, è che si diffonde selettivamente, nel senso che tende ad escludere o ad includere nelle reti dell’informazione e della comunicazione, frammenti della società o interi pezzi di società. E questo perché la partecipazione ai vantaggi ed all’uso, prim’ancora della partecipazione ai vantaggi delle tecnologie digitali, dipende da due fattori molto precisi, che sono: per le persone singole, il loro grado di istruzione, la loro educazione e per le società nel loro complesso, la capacità organizzativa di queste stesse società.

Questo è quindi il punto che potrebbe creare negli anni a venire un grandissimo divario tra - e cito un’espressione molto significativa che ancora una volta è di Emanuel Castells - tra l’ipersviluppo tecnologico dei paesi più ricchi e il sottosviluppo sociale di quelli più poveri. Il concetto non è nuovo, però mi pareva significativa l’espressione usata da Castells. Comunque, al di là dei rischi che possono essere corsi, l’opinione delle ONG a questo punto preciso è che comunque la sfida vada raccolta, sia perché è nei fatti e sia perché da questa sfida non può essere tenuto fuori nessuno.

Questo è il nostro punto, ma se allora questo è il punto, noi ne traiamo una conseguenza: che questa sì è politica ed operativa al tempo stesso: se noi rischiamo un divario tecnologico importante, non possiamo neanche dimenticarci – e lo ricordava sempre il Commissario Liikanen – che esistono dei divari per così dire tradizionali, molto numerosi. Ce ne sono tanti altri. Non li sto qui ad elencare, non è questo il contesto.

Ma quindi quali conclusioni noi traiamo su questo punto? Che l’introduzione dell’innovazione tecnologica non può essere che abbandonata a sé stessa, ma deve poter accompagnare la cooperazione internazionale tradizionale, nel senso che è solo rafforzando l’intervento, ripeto tradizionale, solo per dire “dare una connotazione che lo distingua da quest’altro” deve essere rafforzata e allora sì che l’innovazione tecnologica che le ICT possono portare può accrescere, enfatizzare ed arricchire il lavoro che, su altri piani, deve essere condotto.

Quindi questo ci pare essere un punto molto importante. Certo, sì alle ICT e tuttavia in un meccanismo articolato di collaborazione che non dimentichi tutto il resto. Non dimenticare significa non rinunciare a questo bisogno, significa occuparsene concretamente e prevedere piani, investimento finanziario e non solo, che tengano conto della necessità dell’intreccio delle risorse finanziarie e umane che bisogna investire per poter creare le condizioni perché davvero per tutti le ICT possano essere un vantaggio.

Questa era la considerazione generale che volevo darvi sulla posizione delle ONG italiane, che non è peraltro dissimile da quella di altre associazioni nazionali ed internazionali per venire poi molto rapidamente a due considerazioni invece che riguardano l’e-Government. Come vi dicevo prima, noi – e lo dicevo allo stesso Ministro e lo ringrazio – noi abbiamo collaborato perché l’iniziativa italiana di e-Government fosse un successo ed abbiamo assunto questa posizione - ed anche questo tendo con forza a sottolinearlo – perché pensiamo che davvero una riforma dell’amministrazione pubblica nel terzo e quarto mondo, nei paesi emergenti o quelli più sfavoriti, possa essere uno strumento fondamentale per cambiare non soltanto l’amministrazione pubblica di quei paesi ma per creare le condizioni di uno sviluppo più partecipato e più equo.

Questo è il punto.

Un’amministrazione che funziona è un’amministrazione che coinvolge i suoi cittadini, che – come dire - risponde ai loro bisogni ed allora su questo punto abbiamo una richiesta molto precisa da fare e sulla quale richiamiamo l’attenzione dei presenti a questa Conferenza. Noi pensiamo che l’e-Government la riforma dell’Amministrazione pubblica sia qualche cosa che non può essere visto soltanto sul piano – se così posso esprimermi – della digitalizzazione di alcune funzioni. Questo è l’approccio più semplice. Il problema è, per quanto io conosco i paesi del terzo e quarto mondo, che in realtà le popolazioni siano coinvolte in un’operazione in cui esse stesse siano convinte che attraverso la riforma dello Stato, dell’Amministrazione pubblica, potranno partecipare direttamente al governo dei loro Paesi. Questo è un punto fondamentale, ed è qui che ci può essere il salto democratico qualitativo fondamentale affinché le amministrazioni diventino quello strumento che possa attivare e rendere più dinamico lo sviluppo, anche dove esso è scarso o ancora non esiste.

Quindi, il coinvolgimento delle popolazioni, il far capire che l’amministrazione pubblica non è soltanto un servizio che viene reso nella capitale e non arriva alle periferie, ma in realtà deve coinvolgere l’intero paese, perché i servizi che l’amministrazione pubblica deve realizzare devono esprimere i bisogni dei cittadini. So di dire delle cose non semplici.

Questo è un punto molto nodale, perché implica una partecipazione ed anche un esercizio democratico che non sempre o non ovunque è facile o possibile. Questo è uno snodo particolarmente importante, ma mi pare che possa essere proprio il modo in cui l’ e-Government può divenire una riforma dell’amministrazione pubblica , che possa far nascere un nuovo modo di svilupparsi. La seconda sollecitazione che vorrei fare, prima di concludere, è rivolta al settore privato. Noi pensiamo che il settore privato possa svolgere un ruolo importante in questa operazione. Pensiamo che al settore privato va riconosciuta una specifica competenza in questo campo. Nessuno vuol sostituirsi agli altri in quello che essi sanno fare meglio e possono fare con maggior efficienza. E tuttavia, quello che io vorrei sottolineare in questo contesto è che se la tecnologia può sicuramente essere considerata neutrale, l’ applicazione della tecnologia può non essere neutrale. E questo è un punto fondamentale. Io credo che da parte nostra debba esserci, e ci sia, un appello al settore privato, affinché esso si assuma, per certi versi, una sorta di responsabilità sociale in questo, nel senso che sarà anche grazie alle soluzioni tecniche e tecnologiche che saranno raggiunte, che sarà possibile includere o escludere un Paese e i suoi cittadini.

Questo è un punto fondamentale. Di conseguenza, lavorare alla digitalizzazione delle amministrazioni pubbliche negli altri Paesi non è solo una soluzione tecnologica o di apertura di nuovi mercati, che è assolutamente lecita (su questo ribadisco con forza la mia opinione), ma è necessario che questo venga fatto con un approccio che definivo di responsabilità, intesa come social responsibility. Io credo che questi termini vengano usati in molti altri contesti, ma che in questo siano particolarmente significativi, sia per l’uso della tecnologia sia per una sua ampia diffusione, ma con la consapevolezza che sarà da alcune scelte tecniche che potrà derivare la possibilità di includere davvero questi segmenti di società, oppure lasciarli completamente al di fuori, e per quanto riguarda l’ e-Government, lasciare che questa riforma rimanga, in realtà, solo una digitalizzazione di alcune funzioni, che può essere molto importante ma che non servirebbe a cambiare le cose.

Per concludere, l’opinione delle ONG, che io qui rappresento, è questa: se noi riusciremo a coinvolgere nelle reti dell’informazione e della comunicazione un numero grande di persone in ogni parte del pianeta, e se le aziende si assumeranno il tipo di responsabilità a cui io facevo riferimento, io penso che alla fine potremo dire di aver costruito non solo una più funzionale, più efficiente, democratica amministrazione pubblica, ma forse anche un mondo più equo e più rispettoso dei diritti di tutti.

 

Fonte bibliografica: Conferenza “E-government for development”, Palermo 11/12 aprile 2002

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