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Jose Luis González

Dalla guerra-rete alla guerra santa

1.

Il sociologo e intellettuale di Albacete analizza per Lamusa il controverso cambio di millennio. Castells riflette in un’intervista sul nuovo ordine mondiale che ha cominciato a consolidarsi dopo il settembre tragico del 2001. La netwar (guerra-rete), la nuova economia, la società-rete, l’era dell’informazione, il movimento dell’antiglobalizzazione, la situazione dei Paesi Baschi, l’esperienza pioniera dell’UOC (Università Aperta di Catalogna), dove Castells lavora come docente, sono questioni che, tra molte altre, sono state discusse da questa mente lucida che spicca in questa prima cronaca dei monografici di Lamusa.

Per la società e l’era dell’informazione il mattino tragico dell’11 settembre del 2001 negli Stati Uniti segna un momento di cambiamento fondamentale. Almeno questo è il modo di pensare di una delle personalità più lucide del nuovo millennio, il professor Manuel Castells. Come egli spiega: “Quello che è successo negli Stati Uniti segna una svolta nei rapporti internazionali perché provoca l’inizio di un nuovo tipo di guerra, una guerra che sarà lunga e cruenta e che si manifesterà con molteplici fenomeni in luoghi diversi. L’attacco agli Stati Uniti ha significato un colpo decisivo allo sviluppo dell’era dell’informazione nel suo versante creativo”.

Manuel Castells parla chiaramente di guerra, utilizzando il concetto ben conosciuto della netwar (guerra-rete), che fu adoperato per la prima volta dalla Rand Corporation nel 1995 e che adesso ritorna con efficacia. “La guerra-rete è una guerra che è stata praticata da tempo, della quale abbiamo già visto diverse manifestazioni e altre ancora ne vedremo”, afferma Castells. Le soluzioni? ... Sono complesse, perché il nemico è diffuso. Il professore di Albacete ritiene che: “Il terrorismo di rete deve essere combattuto con intelligenza e con l’intervento di polizia e militari per sopprimere i nodi di queste reti. Le cause per le quali tale terrorismo nasce devono essere rimosse attraverso la tolleranza e il rispetto di tutte le culture, l’instaurazione garantita dello stato palestinese e, a più lungo termine, con un progetto di sviluppo globale che si serva della nuova economia e della rivoluzione tecnologica per incorporare i settori esclusi del mondo”. Secondo l’opinione di Manuel Castells, “tutte queste cose sono possibili, ma manca la volontà di farle”.

Nato nella provincia di Albacete, nella località di Hellín, Manuel Castells risiede oggi a Barcellona, dove lavora come professore dell’UOC. Ma è anche docente all’École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi, e professore ordinario di questa stessa disciplina nella prestigiosa università americana di Berkeley. Negli Stati Uniti ha risieduto per molti anni, e questa esperienza fa capire ancora meglio, a questo cittadino universale, quello che è successo e quello che sta succedendo nel suo paese di adozione. A tale proposito afferma : “Mi sento profondamente solidale con il popolo americano, del quale, in un certo senso, io faccio parte, benché viva adesso a Barcellona. Credo che gli Stati Uniti siano stati attaccati perché rappresentano un po’ il simbolo della civiltà occidentale, dalla quale tutti noi traiamo beneficio. E quelli che non possono fruire di essa, desiderano farlo. È un’ipocrisia che l’Europa solleciti costantemente l’aiuto degli Stati Uniti ogni volta che ha un problema (Bosnia, Kosovo, ecc.), e poi consideri il bombardamento di New York e Washington come un problema degli americani. Non è un loro problema, è un problema di tutti, di tutta l’umanità, e non soltanto dell’occidente. Il fondamentalismo e il terrorismo minacciano tutti e gli Stati Uniti non sembrano essere la grande potenza che si crede perché, davanti a una minaccia come questa, tutti siamo vulnerabili, anche gli americani ”. E, a questo punto, Castells insiste sulla necessità di risolvere un conflitto che è il punto strategico per ristabilire dei rapporti internazionali solidi: “Si deve obbligare Israele a riconoscere uno stato palestinese e a vivere in pace con esso: ma il fondamentalismo passa al disopra di tutto e attacca le radici del modo civilizzato di vivere, tanto nell’occidente quanto nell’oriente”.

L’opinione di questo intellettuale è che l’umiliazione dell’identità e la sottovalutazione culturale e religiosa dell’Islam provochi la resistenza e l’appello alla guerra santa tra i fondamentalisti. Dunque, guerra della rete da una parte, guerra santa dall’altra: i due concetti sono complementari e sono la prova che c’è una volontà di distruggere le istituzioni politiche ed economiche degli Stati Uniti e anche dell’Europa. Secondo Castells, la soluzione al conflitto ruota attorno a tre livelli: il primo, lo smembramento delle reti terroriste dei fondamentalisti islamici; il secondo, la prevenzione alla ricostituzione di queste reti; e, da ultimo, la cura a evitarne la riproduzione. In un articolo pubblicato nel giornale El País nei giorni successivi agli attentati di New York e Washington, Manuel Castells riassumeva così questa spiegazione: “(...) la nostra organizzazione economica e sociale, e le nostre istituzioni politiche, hanno generato il fenomeno che oggi dobbiamo combattere, compreso Bin Laden, che è stato istruito dalla CIA. A lungo termine, abbiamo bisogno assolutamente di riformare in modo profondo il nostro mondo, superando l’esclusione sociale e l’oppressione delle identità. A breve termine, siamo in mezzo a una guerra”.

 

“Euskadi ha il diritto di autodeterminarsi”

“Il futuro della Spagna soltanto può essere quello di uno stato federale plurinazionale come nodo di uno stato-rete europeo interdipendente”

All’interno del contesto globale di terrorismo e fondamentalismo disseminato dappertutto, nel territorio dell’Unione Europea il paese che più patisce la piaga terrorista è la Spagna. Manuel Castells riflette in Lamusa sul conflitto basco: “Euskadi ha il diritto di gestirsi autonomamente e, probabilmente, non sceglierebbe la via dell’indipendenza, così come non la scelse il Quebec quando ne ebbe la possibilità. Ma l’organizzazione terrorista ETA allontana la possibilità di tale scelta con le sue azioni armate, ingiustificate e ingiustificabili”.

Dentro il labirinto basco, Castells assegna un’importanza fondamentale al ruolo che deve sviluppare il PNV (Partito Nazionalista Basco) e critica la politica basca del governo di Aznar: “Il futuro della Spagna può essere soltanto quello di uno stato federale plurinazionale come nodo di uno stato-rete europeo interdipendente. Senza il PNV non ci sarà la pace in Euskadi. Per il momento, il nazionalismo spagnolo è tanto intransigente quanto il nazionalismo basco radicale, ed è molto più radicale del nazionalismo basco rappresentato da Ibarretxe”. Secondo Castells è fondamentale che la società spagnola e basca acquistino la capacità di arrivare a una situazione simile a quella del Canadà, dove la violenza non è radicata e dove si è deciso democraticamente più di una volta sul futuro della provincia francofona del Quebec, e sempre attraverso votazioni, contro la secessione del Canadà. Per arrivare a un tale livello di maturità, il professore crede che sia fondamentale un cambiamento negli atteggiamenti del governo spagnolo, perché la sua posizione attuale non favorisce affatto la risoluzione positiva del conflitto.

 

“Il movimento dell’antiglobalizzazione ha il merito di avere aperto un dibattito sociale e politico sulle forme e sugli argomenti”

Ritornando al tema della crisi provocata dal settembre tragico del 2001, Manuel Castells considera essenziale, per capire e risolvere il problema, fuggire dal totum revolutum e centrare la questione, attaccarla alla radice, cioè capire l’origine del conflitto. È stata ed è ancora un’irresponsabilità qualificare la crisi come uno scontro tra civiltà, ed è ugualmente irresponsabile “criminalizzare” il movimento dell’antiglobalizzazione per la sua opposizione sistematica al modello neoliberale che gli Stati Uniti incarnano. Secondo Castells sarebbe un errore passare sotto silenzio il movimento dell’antiglobalizzazione sfruttando la crisi e, allo stesso modo, sarebbe un grosso errore adesso lasciare impuniti gli abusi d’Israele, della Russia o della Cina a causa della congiuntura internazionale .in cui ci troviamo. Il professore spagnolo definisce l’antiglobalizzazione come un “(...) processo obiettivo, non ideologico, benché sia stato utilizzato dall’ideologia neoliberale come argomento per prospettare se stessa come l’unica alternativa possibile [qui non ho capito bene il senso della frase]. La globalizzazione è un processo di molteplici dimensioni, e non soltanto economico”.

“Nel movimento dell’antiglobalizzazione ci sono tante diverse componenti, non può essere ridotto a un unico tipo di elementi –spiega Castells– perché ci sono gli ecologisti, c’è la gente che lotta contro l’esclusione sociale che esiste nel nostro mondo, ci sono le persone anti-sistema, ma ci sono anche i protezionisti dei privilegi del primo mondo [in italiano non usiamo quest’espressione, meglio dire mondo occidentale, ma se è un neologismo di Castells lascialo così] a danno di ciò che spetterebbe ai paesi in via di sviluppo”. Per questo studioso, membro dell’Istituto di Studi Internazionali dell’Università di Berkeley e autore, tra i tanti libri, della trilogia sull’Era dell’Informazione –un lavoro fondamentale per capire il presente e il futuro di un mondo così complesso come il nostro–, il movimento dell’antiglobalizzazione è positivo e la nota riunione di Genova è stato un momento importante per comprenderlo più chiaramente. Castells precisa che: “È un movimento globale (cioè articolato in Internet) che utilizza la politica mediatica e che suscita un eco favorevole in molte città ”.

“Il gran merito del movimento dell’antiglobalizzazione –commenta Manuel Castells– è quello di avere promosso un dibattito sociale e politico sugli argomenti e sulle forme della globalizzazione. È un inizio per cominciare a stabilire un sistema di negoziazione e adattamento adeguato all’economia globale”.

Sempre riguardo a queste questioni, si deve dire che il movimento dell’antiglobalizzazione o il neointernazionalismo hanno una particolare sensibilità verso il problema del “quarto mondo”. Manuel Castells spiega che: “Il quarto mondo include quegli strati sociali, nei paesi poveri e nei paesi ricchi, nei confronti dei quali il sistema non mostra nessun interesse, né come produttori, né come consumatori, né come votanti, né come clienti. Dunque possono essere ignorati, tranne che per motivi umanitari”. In questo contesto, l’autore dell’Era dell’Informazione osserva che “la legittimità della difesa dei diritti umani tra i cittadini del mondo è molto maggiore della legittimità degli stati-nazioni come titolari dei diritti politici del cittadino”.

Manuel Castells non crede che il capitalismo possa indebolirsi ora dopo il suo successo perché: “Il capitalismo ha le sue profonde contraddizioni sociali ed economiche, come tutti i sistemi di organizzazione sociale. Ma ha dimostrato anche una flessibilità, un’adattabilità e una capacità di evoluzione molto superiori a quelle mostrate da qualsiasi altro sistema sociale. Questo non significa che il capitalismo sia migliore o peggiore, in un senso astratto. Vuole solo dire che è più durevole e più malleabile, e che dunque le sue forme possono evolvere senza scomporsi, al contrario dello statalismo”.

 

“L’UOC è un progetto straordinariamente innovatore”

Nell’Era dell’Informazione, Manuel Castells costruisce una teoria sociale analizzando i cambiamenti sociali che si stanno producendo nella società della rete. Il professore riflette su quei movimenti sociali che sono: “Un’azione collettiva cosciente che si ripercuote, tanto nel caso della vittoria quanto nel della sconfitta, sui valori e sulle istituzioni della società trasformandoli”. “Questo è il nostro mondo, questi siamo noi, nella nostra pluralità contraddittoria, e questo è ciò che dobbiamo capire, proprio per affrontarlo e superarlo”, segnala Castells nella seconda parte della sua trilogia.

Come studioso della società della rete e amante di Internet, Manuel Castells partecipa all’esperienza pioniera dell’UOC, l’Università Aperta di Catalogna, un’università virtuale, impiantata nella rete. “È un progetto straordinariamente innovativo che tenta d’introdurre l’educazione universitaria secondo un sistema totalmente basato su Internet, senza che l’insegnamento perda in qualità e conservando la dimensione della ricerca che è richiesta da qualsiasi università degna di questo nome. Io faccio parte dell’UOC proprio per potenziare l’Internet Interdisciplinary Institute (IN3) come istituto di ricerca che studia gli aspetti relativi ai processi e agli effetti che le tecnologie dell’informazione e della comunicazione hanno sulla società e l’economia. E desidero potenziarlo al più alto livello di eccellenza internazionale”.

In conclusione per quanto riguarda il riconoscimento dell’Università di Castiglia-La Mancia, che l’ha proposto come Dottore Honoris Causa attraverso la Scuola Politecnica di Albacete, Manuel Castells afferma che: “Mi emoziona personalmente, mi onora accademicamente, e mi stimola intellettualmente. Mi sento profondamente grato e collaborerò per tutto quello che posso allo sviluppo di ciò che è anche, d’ora in poi e in un certo senso, la mia università”.

 

Fonte bibliografica: UCLM - UNIVERSIDAD DE CASTILLIA - LA MANCHA, Rivista LA MUSA
Testo tradotto da David Igual (UCLM) e corretto da Cinzia Pusceddu

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