Libro | ||
Massimiliano Panarari Ma la virtualità ormai è la realtà Esce in Italia il saggio di Castells sulla "società delle reti" Ebbene sì, è possibile provare a pensare la nostra epoca, l'età della globalizzazione, di Internet e della New economy della conoscenza, in un modo compiuto e persino enciclopedico, delineando una autentica teoria sistemica. Se ne è incaricato Manuel Castells, un celeberrimo intellettuale di origini catalane, che da oltre un quindicennio si dedica anima e corpo allo studio dell'era dell'informazione, meritandosi di volta in volta l'appellativo di Marcuse o di Weber dell'Information Society. The Information Age: Economy, Society and Culture (la sua opera capitale in tre volumi - The Rise of the Network Society, The Power of Identity, End of Millennium, dal 1996 al 1998 - e più di milleduecento pagine) viene ora messa a disposizione anche del pubblico italiano (il primo tomo uscirà a marzo con il titolo La nascita della società delle reti, per i tipi di Egea, la casa editrice dell'università Bocconi). Nato nel 1942, sociologo e urbanista, consulente della Commissione europea in materia di implicazioni sociali delle nuove tecnologie e attualmente direttore del Center for Western European Studies dell'università di Berkeley, Castells tratteggia nella sua trilogia una poderosa "summa teologica" della Società delle reti. Nel primo dei volumi della sua trilogia lo studioso catalano traccia il profilo dell'età digitale seguendo alcuni filoni fondamentali: la rivoluzione tecnologica, la mondializzazione dell'economia ed il profondo mutamento nella struttura del lavoro e della società, l'affermazione trionfale di una cultura dei media che modifica i connotati stessi della percezione del reale, a partire dalle nozioni di spazio e tempo. I concetti fondamentali che hanno accompagnato - e governato - l'esistenza umana vengono trasfigurati: il tempo diviene senza tempo, fondato sulla simultaneità e su di un eterno presente. E, in maniera similare, i luoghi vengono privati della loro specificità topografico-culturale, per essere sostituiti dallo spazio dei flussi, che Castells spiega mediante il racconto autobiografico del proprio ritorno nel quartiere parigino di Belleville (in cui aveva passato gli anni dell'esilio dalla Spagna franchista), rimasto sicuramente un "luogo", mentre la sua esistenza successiva gli appare assimilabile ad una sorta di "flusso" indistinto che ha accumulato esperienze e visitato geografie. In una parola, l'Information Age rappresenta l'epoca per eccellenza della virtualità reale. La chiave per rendere conto del cambiamento consiste nell'idea di network (la rete) di cui Internet, per l'appunto la Rete delle reti, il motore della civiltà digitale, costituisce il simbolo per antonomasia, al tempo stesso concretissimo e immateriale. La rete coincide con una struttura aperta ed estremamente flessibile, popolata di una molteplicità di nodi e capace di mettersi continuamente in sinergia con il resto del proprio ambiente. Per portare degli esempi: un nodo sta alla rete come la borsa sta al mercato finanziario globale, oppure come gli studios di produzione cinematografica e le catene televisive stanno al sistema dei mass media, ma pure come le piantagioni di papavero e di coca stanno alla rete internazionale della grande criminalità e delle mafie. La Network Society identifica la tipologia di società caratteristica del nuovo "capitalismo informazionale", come lo definisce l'autore, in cui le opportunità di sperimentare benefici si rivelano radicalmente differenti in relazione al posto occupato all'interno delle rinnovate gerarchie stabilite dalla mondializzazione. Chi ne rimane escluso reagisce opponendo modalità originali di resistenza, pacifica o violenta. Castells è stato profeta, con largo anticipo, della "battaglia per l'identità" combattuta dal Self (il sé) contro il Net (la rete), ovvero da chi rivendica la difesa della propria specificità (gli integralismi religiosi, le "piccole patrie" etnofobe e razziste, ma anche i movimenti sociali dagli anni '70 ad oggi) contro i fautori del cosmopolitismo, e, al medesimo tempo, contro i partigiani di uno strumentalismo astratto dominato dal "pensiero unico". Un conflitto, dunque, che il sociologo non legge in maniera manichea, ma vede costellato di chiari e di scuri, al pari del tramonto del modello produttivo taylorista-fordista, evento destinato ad aprire le porte ai "lavoratori della mente", e a diffondere, però, allo stesso modo precarizzazione e insicurezza per tutti gli altri (ma, a ben guardare, anche per i primi). Amato da molta sinistra liberal e non tradizionale, il "californiano adottivo" Manuel Castells ci offre un breviario davvero unico per tentare di capire la società della globalizzazione.
Fonte bibliografica: Articolo pubblicato da IL MESSAGGERO Online 5 marzo 2002 |
||