Intervista | ||
Federico Rampini Le tante anime di internet San Francisco "Della rivoluzione Internet abbiamo visto solo il prologo. La vera, grande trasformazione socio-economica sta per arrivare: ci investirà nei prossimi dieci anni. Ma il trionfo della New Economy pone un problema reale di diseguaglianze sociali. Bisogna capire la protesta anti-globalizzazione: sarà sempre di più un movimento fondamentale della nostra società". Chi parla è probabilmente il più grande pensatore organico dell'era-Internet, quello che The Wall Street Journal ha definito "il Karl Marx del nuovo millennio": Manuel Castells, sociologo spagnolo di formazione parigina (ha lavorato all'Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales con Alain Touraine), ma che da vent'anni insegna all'università californiana di Berkeley. Nella sua monumentale trilogia su L'Età dell'Informazione, pubblicata in America cinque anni fa e ora tradotta nel mondo intero (fuorchè in Italia) Castells è il primo maitre-à-penser in grado di costruire una "teoria generale" sugli effetti sociali di Internet, e cogliere le immense potenzialità della New Economy. Ma è anche l'unico ad aver anticipato di anni nei suoi saggi la nascita del "popolo di Seattle" e dei movimenti di protesta contro la globalizzazione. Cinquantenne schivo, scampato a un male che sembrava incurabile, Castells ha dato a Repubblica la sua prima intervista italiana. Lei ha saputo prevedere la "società in rete" molto prima che invadesse la nostra vita quotidiana. Oggi che cambiamenti vede rispetto a cinque anni fa? "La novità fondamentale degli ultimi anni è proprio la penetrazione di Internet in tutto il mondo sviluppato. In America e in Scandinavia oltre il 50% della popolazione ha accesso alla rete. L'Unione europea è ancora indietro, ma presto Internet raggiungerà il 75% della popolazione. I cambiamenti nell'organizzazione delle imprese e la nascita di un'economia in rete hanno sprigionato negli Stati Uniti gli aumenti di produttività che sono la vera base della New Economy, la ragione per cui questa è un fenomeno di primaria importanza e non una bolla. In Europa ci sono rigidità istituzionali e una reticenza a innovare che rallentano la velocità del cambiamento, tuttavia anche il Vecchio continente entra nella New Economy, con i suoi problemi e le sue promesse". Quale sarà la seconda ondata? "Non faccio profezie, ma ci sono tendenze già in atto. L'esplosione dell'accesso mobile a Internet che aumenterà la "messa in rete" di ogni cosa. La diffusione della banda larga che sarà l'infrastruttura portante della network-society. La ristrutturazione delle relazioni industriali e del Welfare State. La trasformazione del sistema scolastico sotto l'impulso del nuovo paradigma tecnologico. Siamo solo all'inizio di una straordinaria trasformazione socio-economica. Gli anni Novanta sono stati la fase della diffusione delle nuove tecnologie, il periodo 2000-2010 vedrà un cambiamento economico-sociale su vasta scala". C'è una élite culturale - più europea che americana - che ha una visione apocalittica della New Economy: vede una società sempre più atomizzata. "Le élite tendono a rigettare ciò che ignorano. La comunicazione globale, orizzontale e interattiva minaccia il loro status e la loro funzione come produttori di messaggi culturali. "Ormai abbiamo a disposizione una gran mole di ricerche sugli effetti sociali di Internet e dimostrano che quei timori sono infondati. I dati indicano che chi usa Internet è socialmente più inserito di chi non lo fa: non solo è collegato elettronicamente, ma ha anche relazioni personali più ricche. Internet sottrae tempo alla televisione, ed è curioso vederlo contestato dagli stessi che attaccavano la tv. Naturalmente Internet non è migliore della società che lo usa. Ci sono siti porno e nazisti. Internet è il medium fondamentale di comunicazione nella nostra società, né più né meno. Come tale, organizza ed esprime tutte le nostre tendenze e contraddizioni". Compreso il trionfo del capitalismo? "Certo. Viviamo su un pianeta che per la prima volta nella sua storia è interamente capitalista. Ma Internet esprime e organizza anche i movimenti internazionali di resistenza alla globalizzazione. Internet è un terreno di battaglia, non l'ennesimo strumento del dominio imperialista. Le visioni apocalittiche nascono da un misto di ignoranza, di demagogia, e dal tentativo di preservare i bastioni di una élite culturale priva di contatti con le nuove generazioni". Nella critica alla New Economy ricorre il tema delle diseguaglianze sociali. "Una cosa è certa: la New Economy ha creato lavoro, più
lavoro che mai. E' singolare che la sinistra europea abbia continuato a credere ai
demagoghi che teorizzavano la "fine del lavoro" negli Stati Uniti, proprio
quando l'economia americana raggiungeva il minimo storico di disoccupati degli ultimi
trent'anni, e con una crescente partecipazione delle donne al lavoro. La nascita di giganti multimediali come America Online-Time Warner, la crescente concentrazione dell'accesso a Internet e all'informazione non sono un pericolo per la democrazia? "Il processo di concentrazione esiste ma Internet non è controllabile, l'espansione di reti sociali e di informazione online spezza i monopoli dei media. Io posso comunicare col mondo senza bisogno di passare da un conglomerato multimediale. Internet è il primo mezzo di comunicazione che può sfuggire al dominio degli imperi dei media. Usando linee telefoniche ci scambiamo idee e immagini senza controlli. La libertà d'informazione non è mai stata così grande. Il pericolo per la democrazia non viene dai media ma dal sistema politico, perché ovunque la classe politica è in una profonda crisi di legittimità: i cittadini l'hanno sfiduciata. I media diffondono scandali, ma la politica degli scandali nasce al vertice delle istituzioni, dove si usano i media come armi del nostro tempo". E le minacce per la privacy? "Questo è il problema principale su Internet: una volta che le tue informazioni sono online, non c'è più privacy. In America gli Internet service provider vivono vendendo queste informazioni. La tecnologia di encryption può proteggere la privacy, ma i governi la ostacolano col pretesto che può aiutare i criminali. I governi cercano di contrastare lo sviluppo libertario di Internet. La difesa della privacy è al tempo stesso una battaglia contro lo sfruttamento commerciale delle nostre vite, e contro l'ultimo tentativo dei governi di avere un controllo su di noi". Lei, europeo, da vent'anni insegna in California. Perché da mezzo secolo le rivoluzioni tecnologiche nascono sempre qui? "Da un lato è un fenomeno noto nella teoria dello sviluppo: una volta che parti per primo, hai un vantaggio nel prevedere gli stadi seguenti delle rivoluzioni tecnologiche. Negli anni Cinquanta però non era scontato che nascesse la Silicon Valley: i finanziamenti della Difesa per la ricerca e l'Università di Stanford furono fattori importanti. Poi la nascita del venture capital, specializzato nel fare profitti grazie all'industria tecnologica, ha aiutato a finanziare ogni ondata successiva di innovazioni: questo è un vantaggio decisivo della California sull'Europa. Lo spirito imprenditoriale, invece, non è californiano: sono gli imprenditori del mondo intero che vengono qui. Un terzo delle società della Silicon Valley sono guidate da indiani e cinesi. Se si aggiungono italiani, inglesi, francesi, russi, israeliani, messicani, la maggioranza delle imprese innovative sono create da stranieri". E perché vengono qui? "Perché la tecnologia e il know how ci sono già, perché un terzo del venture capital americano è nella Baia di San Francisco, e perché questo paese a differenza dell'Europa vuole gli immigrati. Le politiche favorevoli all'immigrazione e l'apertura della cultura californiana verso il resto del mondo, hanno attirato ondate di immigrati-imprenditori che sono la fonte essenziale dell'innovazione e della ricchezza di quest'area. "Infine ci sono le grandi università: Stanford, Berkeley e tante altre. Finchè l'Europa continentale ha un sistema universitario basato sulla burocrazia non può essere all'avanguardia nell'innovazione". Anni fa lei cominciò a studiare i movimenti contestatori che sono poi confluiti nel "popolo di Seattle". Che giudizio ne dà oggi? C'è una relazione tra questa ribellione e gli hacker informatici? "Quello contro la globalizzazione è un movimento fondamentale nella nostra società. Nonostante i suoi eccessi, provoca un dibattito salutare sul significato e le finalità della New Economy. Ed è un movimento organizzato dentro e attraverso Internet: in effetti, trattandosi di un network, quel movimento non potrebbe esistere senza Internet. Gli hacker - da non confondersi con i cyberpirati - sono un'altra cosa. Quella degli hacker è una cultura guidata dalla creatività, il gusto dell'invenzione tecnologica, la libertà. L'espressione più importante è il movimento Linux. Quindi, da un lato c'è la cultura libertaria che ha prodotto il movimento hacker, una delle culture fondatrici di Internet. D'altro lato tutte le espressioni critiche trovano in Internet un terreno privilegiato, uno strumento di libertà. Internet è una tecnologia liberatrice, nata dall'incrocio fra un'élite scientifica meritocratica e una controcultura. Ma una volta nato Internet, i suoi usi proprio perché sono liberi riflettono l'intera gamma dei valori umani, comprese le tendenze più oscure a distruggere la libertà. Il problema non è Internet: il problema siamo noi". Fonte bibliografica: Intervista pubblicata su La Repubblica del 4 febbraio 2001 |
||