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Raffaele Mastrolonardo L'informazionalismo non ha confini Tradotti in italiano i volumi di "L'età dell'informazione" di Manuel Castells. E l'opera sistematica che fa da sfondo alla 'new economy' A febbraio, con cinque anni di ritardo, vedrà la luce anche in lingua italiana per le edizioni dell'Università Bocconi (Ube) "L'età dell'informazione" del sociologo Manuel Castells. Usciti in America nel 1996 i tre volumi e le 1.200 pagine dell'opera valsero all'autore paragoni importanti: Smith, Marx e Weber, nientemeno, furono scomodati dai recensori per sottolineare lo sforzo di Castells di offrire un'analisi articolata delle trasformazioni strutturali della nostra epoca. Spagnolo di origine, allievo di Alain Touraine a Parigi, professore a Berkeley da 20 anni, Castells individua e definisce un nuovo "paradigma tecnologico", l'informazionalismo caratterizzato dall'accrescimento della capacità umana di elaborazione delle informazioni. Così come l'industrialismo, il paradigma precedente, ha reso possibili le forme di organizzazione sociale dominanti del XX secolo, il capitalismo industriale e lo statalismo industriale, l'informazionalismo emergente segna i confini entro i quali si sviluppa una nuova struttura sociale, la network society nella quale viviamo. Secondo Castells le tecnologie fulcro di questo paradigma, la microelettronica e l'ingegneria genetica, presentano caratteristiche che hanno permesso un salto qualitativo e non solo quantitativo rispetto ad epoche precedenti. Si tratta, in sintesi, di una potenza di elaborazione che cresce in maniera esponenziale, dell'abilità di autoespandere questa potenza, della capacità di ricombinare le informazioni in ogni modo possibile e di una maggiore flessibilità che consente, per esempio, di mettere a disposizione potenza di calcolo in differenti contesti e applicazioni, basti pensare alle connessioni Internet tramite telefono cellulare. Così definito, l'informazionalismo è dunque uno degli ingredienti base della nuova network society, vale a dire una società composta di network informazionali, alimentati dalle tecnologie dell'informazione tipiche del nuovo paradigma. Queste reti, che non hanno centro ma soltanto nodi, impongono, espandendosi, la loro logica agli esseri umani che sono così costretti ad adattarvisi, mutando la struttura sociale. Esempio di questi network è, secondo Castells, la New economy, in cui i mercati finanziari globali poggiano su network informatici che elaborano segnali (economici ma anche politici e sociali) in base ai quali si definisce il valore di un patrimonio all'interno di ciascuna economia, determinando così i flussi di capitali. Analogamente, un simile network lega le aziende multinazionali e quelli che di volta in volta sono individuati come loro partner. In questa struttura le unità economiche e le persone che non presentano interessi per le reti dominanti sono tagliate fuori. La ricerca di Castells si svolge dichiaratamente ad un livello avalutativo. La network society descritta nel libro non è migliore né peggiore delle epoche che l'hanno preceduta; i suoi effetti sul benessere dell'umanità sono, infatti, precisa l'autore, ancora da definire. Eppure, tra le pieghe delle analisi sembra talvolta emergere una disposizione verso la network society che lascia pensare a una sorta di legittimazione implicita (e poco avalutativa) delle trasformazioni in corso. Quest'atteggiamento è più evidente nella decisione di Castells di inserire tra gli elementi culturali che hanno contribuito alla nascita della nuova società le istanze libertarie portate avanti dai movimenti di protesta degli anni Sessanta e, allo stesso tempo, nella scarsa enfasi sul carattere antisindacale e dannoso per i lavoratori della ristrutturazione capitalista degli anni Settanta, anche questa considerata tra i fattori determinanti che hanno condotto alla network society. Insomma, ad essere un po' maligni, qua e là si potrebbe anche intravedere qualche appiglio per coloro che in questi anni hanno usato il testo di Castells in senso ideologico e propagandistico, soprattutto durante il boom della New economy. Il tempo, come sempre, permetterà di dare una più corretta valutazione del valore complessivo di quest'opera densa e ponderosa. E' sicuramente presto però per seguire il Wall Street Journal e affermare che è apparso il "nuovo Marx". Anche se a una sinistra in affannosa ricerca di nuove categorie di lettura della realtà e, soprattutto, di legittimazione non dispiacerebbe di averne trovato uno, che oltretutto piace ai grandi quotidiani internazionali.
Fonte bibliografica: Articolo pubblicato sul Manifesto il 30 dicembre 2001 |
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