inizio

Home Page

Sommario Biografia Articoli Libri Interviste Tesi Teorie    
Articolo

Christian Albini
Internet come luogo di scelte

La riflessione sulle reti telematiche e le loro implicazioni è a una svolta. In un primo momento, sono stati presi in considerazione prevalentemente l’aspetto di innovazione tecnologica del fenomeno e quello di stimolo all’attività economica (soprattutto in riferimento alle transazioni finanziarie), ma è una prospettiva che non regge più.
Abbiamo già avuto modo di constatare a proposito della new economy che, ad un’analisi approfondita dei fatti, si scopre la centralità della problematica morale. Gli utilizzi economici della rete, infatti, danno luogo a relazioni sociali tra i soggetti interessati che coinvolgono la loro identità e, di conseguenza, i loro valori.
Si apre così una prospettiva del tutto peculiare da cui guardare a Internet. Prospettiva che in Italia sembra ormai prendere piede. Lo attestano alcune pubblicazioni di rilievo dell’ultimo anno, nonché il documento Etica in Internet del Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali. La riflessione degli intellettuali e l’attenzione ai segni dei tempi da parte della Chiesa cattolica favoriscono la rielaborazione e l’interpretazione di alcuni fenomeni della società di oggi. Seppure effettuate da punti di vista diversi, in queste interpretazioni si riscontrano delle costanti ricorrenti.

Il presente articolo intende evidenziare dette costanti, tutte convergenti nel caratterizzare il ruolo oggi assunto dalle reti telematiche nelle relazioni sociali quale fatto in primo luogo antropologico, come ha ben sintetizzato C. Formenti. In altri termini, l’utilizzo delle tecnologie in oggetto non è un fatto neutro, ma ha un senso che deriva dalle scelte, dalle motivazioni, dai valori delle persone che le producono e che ne usufruiscono. Internet, insomma, potrebbe essere definito un fenomeno che sollecita all’esercizio della responsabilità. Gli effetti a cui dà luogo sono conseguenza anche delle decisioni prese da soggetti concreti in situazioni concrete.
Non è un’affermazione scontata, perché c’è una forte tendenza di pensiero che viceversa considera la tecnologia un fattore che determina le persone, im-ponendo loro una propria logica a priori. Sembra, invece, più corretto sostenere che esiste una pluralità di modi di intendere il fine delle tecnologie telematiche, riconducibili a due posizioni di massima. Una le concepisce come un fattore che tende a uniformare comportamenti e relazioni sociali a un unico modello. L’altra le ritiene un nuovo strumento di realizzazione delle potenzialità di individui e gruppi e di perseguimento dei loro obiettivi. Si fronteggiano due concezioni, ciascuna delle quali auspica che Internet produca certi effetti e non altri.
La rete, pertanto, non è un’entità monolitica e a sé stante, che produce automaticamente e necessariamente determinate conseguenze. È invece aperta a diversi orientamenti sulla base di ciò che le persone la fanno essere, decidendo come utilizzarla, coerentemente con scelte di valore. Discutere di questo aiuta a ottenere una maggiore consapevolezza della posta in gioco sul futuro di Internet e delle implicazioni dei comportamenti di ciascuno nei suoi riguardi.

1. Lo spirito dell’età dell’informazione

Da quando la produzione e la circolazione delle informazioni sono state riconosciute come gli elementi centrali della società contemporanea , sono cominciati i tentativi di interpretazione di questa realtà da parte degli studiosi. L’opera più significativa in tal senso è forse la trilogia L’età dell’informazione (1996-1999) di Manuel Castells, ritenuta uno dei vertici della recente scienza sociale. Castells viene posto sul livello di classici come Marx e Weber, accostando per profondità e importanza il suo lavoro — di cui è da poco disponibile la traduzione italiana del primo volume, La nascita della società in rete — alle fondamentali analisi da loro effettuate sui mutamenti del proprio tempo.  
Il sociologo spagnolo studia la comparsa di quella che egli definisce una nuova struttura sociale che si manifesta in tutto il pianeta, sebbene in forme differenti per effetto della diversità delle culture e istituzioni locali. Egli descrive questa rivoluzione come «la nascita di un modo di sviluppo mai visto prima, l’informazionalismo, storicamente plasmato dalla ristrutturazione del modo di produzione capitalistico alla fine del XX secolo».

Castells sostiene che l’informazione, nel suo significato più generale di tra-smissione del sapere, è stata determinante anche nelle società del passato. Per esempio, la scolastica era una forma di organizzazione e comunicazione della conoscenza che unificò culturalmente l’Europa medievale. Con il termine «informazionale», invece, egli indica un assetto sociale in cui per la prima volta lo sviluppo, l’elaborazione e la trasmissione delle informazioni diventano fonti basilari di produttività e potere grazie alle nuove condizioni tecnologiche. L’informazione non è più soltanto un fattore centrale, determinante; è l’elemento chiave della nostra società. Le tecnologie di elaborazione e comunicazione delle informazioni oggi disponibili sono parte di un sistema integrato; penetrano in tutti i campi dell’attività umana non come un semplice strumento perché li riorganizzano secondo il proprio funzionamento. Chi le utilizza deve tradurre ciò che fa e che pensa in informazioni che entrano in circolazione nel sistema. Perciò la produzione, il potere, gli scambi e la varietà delle relazioni sociali sono ricondotti alla generazione e al trattamento di informazioni.

Il nuovo sistema tecnologico è impostato in base alla logica di rete che costituisce la struttura basilare della «società informazionale». Essa nasce nel settore informatico, con le ricerche che negli anni ’60 hanno dato origine alla prima rete di computer, arpanet, a cui negli anni ’80 è subentrata Internet, la rete delle reti (cfr Box qui sopra).
Sostanzialmente, una rete è un insieme di nodi reciprocamente uniti da connessioni. Nessuno dei nodi è gerarchicamente più importante degli altri e non esiste un centro con funzioni di ordinamento e di controllo. Ciascun nodo è potenzialmente in connessione con tutti gli altri, dentro a un interscambio continuo di informazioni. La rete non è semplicemente la somma degli elementi che la compongono, ma è ciò che nasce dalle relazioni che li connettono vicendevolmente.

La rete diventa, nella società informazionale, la logica adottata in diversi settori dell’attività umana: economia, politica, lavoro, cultura, e vari ambiti dell’esperienza del vivere associato ne sono profondamente modificati. Ma questi processi di cambiamento non avvengono in modo meccanico e standardizzato, poiché «lo sviluppo tecnologico è fortemente interattivo con la società producendo, in modalità combinatoria, risultati imprevedibili». Castells, infatti, asserisce che «i primi passi storici delle società informazionali sembrano caratterizzarle per la prevalenza dell’identità come principio organizzativo». Ciò significa che la tecnologia determina la «modalità» secondo cui si svolgono le relazioni sociali, ma il loro contenuto e gli effetti che producono dipendono da convinzioni, valori, interpretazioni della realtà, ecc., che specificano l’identità personale e culturale. Non a caso il secondo volume della trilogia ha per titolo Il potere dell’identità. È il primato dell’antropologia a cui abbiamo già fatto cenno, dove il riferimento non è a una concezione di uomo astratta e formale, ma a individui situati nel loro ambiente sociale.

La struttura a rete che la società di oggi sta assumendo, proprio per la man-canza di un centro ordinatore, fa sì che i diversi soggetti che entrano in connessione possano immettervi i propri interessi, valori, affinità e progetti. Non c’è una concezione prevalente, universalmente accettata, come è accaduto ad esempio nella società industriale, dove era generalizzata la fede in un progresso materiale portato dalle fabbriche. La rete, da questo punto di vista, è uno spazio di circolazione e di condivisione di tutti i valori e di tutti i messaggi disponibili.

Lo scambio di e-mail, la partecipazione a un forum, la connessione a un sito, la lettura di un documento on-line, un acquisto effettuato per via telematica sono comportamenti nei quali gli attori entrano in relazione con altri attraverso uno scambio di informazioni. E siccome ogni informazione risente dell’identità del soggetto che la produce, dei significati che attribuisce alla realtà, la comunicazione mediata dal computer (cmc) è uno scambio di significati. In altra sede, abbiamo impiegato a tale proposito l’espressione «particolarismo morale»: «Ci si trova nella condizione di confrontare i propri valori con altri valori, la propria identità con altre identità, le quali diventano possibilità a portata di mano, nuove facce da poter sperimentare».

È un cambiamento qualitativo che coinvolge la società intera, perché si indebolisce il ruolo delle grandi istituzioni che tradizionalmente regolano il processo di socializzazione trasmettendo agli individui valori e significati in base ai quali orientare la propria vita. Scrive in proposito G. Provasi: «Si rende così concretamente possibile una progressiva individualizzazione dell’azione sociale, che tende però a trasformarsi in frammentazione culturale e in perdita di significati socialmente condivisi».

Sembra dunque confermata l’intuizione di A. Bonomi, il quale vede nella new economy il segno dell’avvento di una new society . Famiglia, scuola, Chiesa, Stato, partito e così via tendono a perdere la loro influenza universalistica in favore di un processo in cui il singolo si trova di fronte a innumerevoli possibilità di costruire autonomamente la propria identità attingendo a fonti e materiali diversi . Questa condizione che sottolinea fortemente la scelta personale rende evidente quanto la dimensione morale sia decisiva nell’azione sociale in rete: di fronte al proliferare di informazioni e di possibilità disponibili bisogna operare una selezione, valutando continuamente le molteplici alternative e scegliendo tra esse.

2. I due orientamenti morali della società in rete

Sarebbe però sbagliato ritenere che il particolarismo morale, connesso con la perdita di rilevanza delle istituzioni tradizionali nella società in rete, debba necessariamente condurre a un’anarchia di valori. Si vanno già delineando almeno due grandi tendenze attorno alle quali si polarizzano di fatto (magari non consapevolmente) le singole posizioni.

P. Himanen le definisce «etica protestante» ed «etica hacker». La prima non costituisce una novità. Si tratta proprio di quell’etica del lavoro analizzata da Weber nel classico L’etica protestante e lo spirito del capitalismo e sulla quale si regge la concezione capitalista della persona e della società, oggi culturalmente prevalente. A partire dall’originale matrice protestante, nella quale al lavoro e al successo professionale veniva attribuito un significato religioso, la progressiva perdita del riferimento a questo significato ha lasciato posto a una visione del mondo in cui il lavoro diventa la realtà più importante della vita. Le conseguenze sono che il tempo deve essere ottimizzato in base alle esigenze lavorative; che ogni scelta è vista in funzione del «bene supremo» di questa etica che è l’accumulo del denaro; che le relazioni sociali sono tendenzialmente improntate alla competizione.

Entro questo orizzonte, la novità della società in rete si riduce a un fatto strumentale che riconfigura il sistema capitalista nei termini di un nuovo para-digma tecnologico, un nuovo tipo di capitalismo, ma ne conserva intatta la logica di fondo. Anzi, stando a Himanen, la rafforzerebbe esasperandola: la nuova tecnologia può favorire la centralità del lavoro (per es. il telefono cellulare, tramite cui si può essere sempre accessibili, tende a dissolvere il confine con il tempo libero) e del denaro (la possibilità di effettuare transazioni finanziarie pressoché in tempo reale incentiva speculazioni che diventano sempre più estranee all’economia reale). Per di più, la subordinazione delle relazioni in rete alle regole di mercato consentirebbe a queste ultime di pervadere l’intero spazio sociale; tutto viene monetizzato e commercializzato: le idee, il corredo genetico che è alla base dell’organismo umano, i rapporti interpersonali e così via. In breve, secondo l’etica protestante le informazioni — di cui abbiamo visto il ruolo cardine nella società in rete — sono un bene da possedere in funzione dell’accumulo di denaro.

Himanen dà una valutazione fortemente negativa di questa tendenza e la definisce «la mentalità che ci ha resi schiavi per così tanto tempo» , una sorta di gabbia di ferro che imprigiona le vite delle persone. Qui il «particolarismo morale» fa sì che l’erosione di grandi valori condivisi lasci gli individui indifesi nei confronti del condizionamento dell’economia. I valori suscitano le motivazioni. Se queste ultime si indeboliscono, finiscono con l’essere subordinate al denaro e al lavoro «e la vita a poco a poco si concentra sul “guadagnarsi da vivere”».

Sul versante contrapposto si colloca l’etica hacker. Nel linguaggio corrente, questo vocabolo ha una connotazione negativa che evoca i criminali informatici che rubano dati o i diffusori dei virus che danneggiano il funzionamento dei computer. In realtà, si autodefiniscono hacker coloro che provano un interesse intrinseco, una passione non utilitaristica per la programmazione; utilizzano l’informatica solo per la soddisfazione che ne ricavano, indipendentemente da altri fini. Il loro approccio alla società in rete è opposto a quello appena visto: condivisione illimitata delle informazioni e accesso universale ai computer e alla rete. Questo atteggiamento ha un significato sociale ed etico che supera i confini del gruppo degli hacker e ha una portata generale, prospettando una vera e propria alternativa all’etica protestante.

Himanen individua sette valori dell’etica hacker che possono essere riferiti a una prospettiva più ampia. 1) Gli hacker si fanno guidare dalla loro passione e, pertanto, non sono soggetti al primato condizionante del lavoro e del denaro perché le loro priorità sono altre. 2) Gli hacker organizzano il loro tempo non in base agli schemi lavorativi di una giornata ripetitiva e costantemente ottimizzata, ma in base alla libertà di combinare dinamicamente lavoro creativo, passione, gioco. 3-4) Sciolti dal condizionamento del denaro, gli hacker motivano la propria attività con gli obiettivi del valore sociale e dell’apertura. «Questi hacker vogliono realizzare la loro passione insieme agli altri, e creare qualcosa di valore per la comunità ed essere perciò riconosciuti dai loro pari. E permettono che i risultati della loro creatività vengano usati, sviluppati e testati da chiunque, in modo tale che tutti possano imparare dagli altri». 5-6) Dai valori precedenti deriva un preciso atteggiamento nei confronti della rete, definito dai valori dell’attività (fattiva e completa libertà di espressione e rifiuto di una presenza passiva in favore del perseguimento attivo della propria passione) e della responsabilità (il preoccuparsi per gli altri come scopo in sé, con l’obiettivo di far partecipare tutti alla società in rete e di aiutare direttamente quelli che sono stati lasciati ai margini della sopravvivenza). 7) Infine, quello che Himanen considera il valore più alto e che li ricapitola tutti è «la creatività, vale a dire l’uso immaginativo delle proprie capacità, il continuo sorprendente superarsi e il donare al mondo un nuovo contributo che abbia un reale valore». Secondo questo approccio, il particolarismo morale della società in rete comporta la libertà di un uso «appassionato» della tecnologia al fine di promuovere e di realizzare per il bene della comunità quei valori che ci stanno a cuore.

Si configura così un vero e proprio dualismo tra possesso e condivisione. La rete è davvero un fenomeno che sollecita la responsabilità, nel senso che nell’usufruirne ci sollecita a scegliere tra gli atteggiamenti che si riferiscono a diversi sistemi di valori. Le nostre convinzioni possono essere le più diversificate, ma dobbiamo di fatto ricondurle a un uso delle tecnologie telematiche contrassegnato o dal possesso o dalla condivisione. E questo dipende, in ultima analisi, dalla nostra libertà.

Lungo la stessa linea si muove C. Formenti con un taglio più politico. Egli descrive la società in rete come il luogo di un conflitto in atto. Da una parte, poteri come l’amministrazione Bush e gli oligopoli high tech (per es. la Microsoft) il cui progetto comune è quello di gestire la società in rete come un sistema chiuso; l’intenzione è quella di controllare e incanalare l’accesso alle sue risorse e l’utilizzo che se ne fa in modo da ricavarne potere politico e/o economico. Gli strumenti utilizzati a livello mondiale sono l’imposizione di standard nella tecnologia e nel software per creare dei monopoli, il depotenziamento delle politiche di antitrust, l’inasprimento delle leggi sul copyright, il via libera alle sistematiche violazioni del diritto alla privacy dei consumatori, la marginalizzazione degli usi non commerciali della rete. Formenti descrive fatti e circostanze di questa azione.

Sull’altro fronte si situano i fautori della società in rete come sistema aperto i quali intendono «sfruttare risorse, tecnologie, conoscenze e organizzazione sociale prodotte dal capitalismo per sviluppare nuove forme di autonomia sociale». La rete è per loro un mezzo per la ricostruzione di relazioni di cooperazione e scambio «gratuiti» fra esseri umani. In questa visione i rapporti sociali vengono prima dei rapporti economici, senza peraltro negarli, e la rete diviene uno spazio virtuale di incontro, scambio, comunicazione e partecipazione nel quale ognuno può attingere ciò di cui ha bisogno e ha il dovere morale di dare il proprio contributo. Un esempio tipico è la Public Library of Science, alla quale collaborano oltre 30.000 scienziati, nata allo scopo di rendere liberamente disponibili alla collettività le ricerche e le idee scientifiche sottraendole al controllo privato degli editori e di qualunque altro soggetto; oppure il sistema operativo Linux, ideato dal finlandese Linus Torvalds, di cui è liberamente accessibile il codice che consente a chiunque di modificarlo e migliorarlo.

È evidente che la contrapposizione tra chiusura e apertura è sovrapponibile a quella fra possesso e condivisione di Himanen. Il panorama è ben definito.

3. La posizione della Chiesa

In questo dibattito si inserisce anche la Chiesa cattolica con la pubblicazione, nel febbraio 2002, del documento Etica in Internet, elaborato dal Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali, con lo scopo dichiarato di «esporre il punto di vista cattolico su Internet quale punto di partenza per la partecipazione della Chiesa al dialogo con altri settori della società, specialmente con altri gruppi religiosi, riguardo all’evoluzione e all’utilizzo di questo meraviglioso strumento tecnologico». L’approccio non è semplicemente quello di dare una valutazione morale del fenomeno Internet, ma di evidenziare le implicazioni etiche della tecnologia e degli usi ai quali si presta, come nella letteratura precedentemente esaminata. Si afferma: «La configurazione tecnologica che sottintende ad Internet è strettamente legata ai suoi aspetti etici: le persone furono portate a usarlo nel modo in cui era stato progettato e a progettarlo in modo che fosse adatto a quel tipo di utilizzazione».

Inoltre, pur dando una valutazione complessivamente positiva della cmc (comunicazione mediata dal computer) e delle sue potenzialità, il documento evidenzia la possibilità di due impieghi contrastanti. Anche se il linguaggio utilizzato è diverso da quello degli autori sopra menzionati, nella sostanza la posizione presentata si colloca sul versante della condivisione e dell’apertura. Lo si riscontra soprattutto nella condanna del digital divide, una forma di discriminazione che divide i ricchi dai poveri, che crea disparità fra le nazioni e al loro interno, sulla base dell’accesso o dell’impossibilità di accesso alla nuova tecnologia informatica. «Il cyberspazio — si ribadisce — dovrebbe essere una fonte di informazioni e servizi accessibili a tutti gratuitamente in una vasta gamma di lingue» . E rispetto a Internet come luogo di comunicazione e informazione si sostiene «con vigore la libera espressione e il libero scambio di idee. La libertà di conoscere la verità è un diritto umano fondamentale e la libertà di espressione è una pietra d’angolo della democrazia». Sono così respinti i condizionamenti che possono derivare tramite Internet da parte di poteri o di interessi particolari.

La stessa posizione è implicitamente confermata da un altro documento del Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali, pubblicato lo stesso giorno, e dedicato al versante pastorale . Già da tempo la presenza cattolica su Internet è massiccia (si stimano oltre 6.000 siti solo in Italia) e a tale proposito tra i benefici specifici di Internet riguardo alla missione della Chiesa si elencano: accesso immediato e diretto alle informazioni; capacità di superare le distanze e l’isolamento; creazione di comunità virtuali di fede che si incoraggiano e si sostengono reciprocamente; l’utilità per l’evangelizzazione, la catechesi e altri tipi di educazione; l’uso per alcune forme di direzione spirituale e pastorale. La Chiesa si trova quindi «di fronte a nuovi approcci, nuovi spazi che chiedono creatività, capacità di fare conversazione, di condurre riflessioni critiche. Si richiede anche un nuovo senso di comunità, di collaborazione e anche di contemplazione» . Tutte queste sottolineature richiamano l’atteggiamento proprio della cosiddetta etica hacker.

Il punto di vista cattolico, però, non è una semplice ripetizione di quest’ultima. C’è uno specifico che la Chiesa può portare nella rete e che non deve smarrire. All’origine del suo uso di Internet ci sono i rapporti sociali comunitari e l’annuncio, pur senza imposizioni, della verità in cui crede. I cristiani sono dentro il «particolarismo morale», ma sono anche «connessi», prima che dalla rete, da una stessa convinzione di fede, capace di ispirare una qualità di relazioni che va oltre la frammentarietà e la declinante appartenenza istituzionale. La peculiare relazionalità che li unisce è il presupposto per usare al meglio le potenzialità di Internet realizzando una nuova forma di incarnazione del Vangelo.

 

Fonte bibliografica: Rivista “Aggiornamenti Sociali” online, numero 1 del gennaio 2003

Torna al sommario | Torna alla sezione