GLI ESPONENTI
I maggiori esponenti a favore della rete telematica digitale sono, senza dubbio il giornalista americano Howard Rheingold e Pierre Lèvy.
Howard Rheingold fu , con la partecipazione di Stewrt Brand, uno dei primi personaggi ad analizzare a fondo la natura delle comunità virtuali.Partendo dall'analisi del WELL, dal mondo nel mondo, considera la rete e tutti i suoi "abitanti" come operatori,distributori e generatori di nuove generazioni sociali solidaristiche. Per Rheingold, la società, col passare del tempo,è divenuta sempre più complessa, e la modernità ha introdotto nella vita degli individui elementi di razionalità e di schematizzazione dei rapporti, sempre più soffocanti, stili di vita sempre più de-naturalizzati e artificiali.
E' convinto, che i nuovi media telematici, possano reintrodurre nella società, anche in quella del capitalismo postfondista, elementi di comunitarismo, nuove relazioni organiche di solidarietà e di scambio disinteressato, che avrebbero conseguenze importanti sul mondo politico, sociale ed economico dell''intero pianeta.
Howard Rheingold nota che le cibercomunità hanno caratteristiche tipiche dei gruppi sociali premoderni, e che quindi prescindono dal concetto di nazione, avvicinandosi molto all'idea di villaggio globale avanzata da McLuhan. Rheingold ipotizza anche una evoluzione della socialità virtuale e, usando i termini di Durkheim, prevede un passaggio dalla Gemeinschaft alla Gesellschaft: dalla comunità alla società. Per effettuare questa maturazione deve affiorare nella comunità telematica il concetto di nazione virtuale, che implica una maggiore considerazione della concretezza degli spazi virtuali. I siti telematici sarebbero così il territorio di un popolo che in questi anni ha appena imparato ad incontrarsi, a conoscersi e a combattere per i propri diritti.
Pierre Levy, in una prospettiva neo-umanistica, affronta il tema della comunità virtuale. Ha scritto Le tecnologie dell'intelligenza (Il Mulino, Bologna 1992), L'intelligenza collettiva (Feltrinelli, Milano 1995), Il virtuale (Cortina, Milano 1997). Lo spazio del sapere "coincide con l'auspicata messa in comune dell'immaginazione e delle conoscenze presenti nella società". La vecchia società aveva uno spazio delle merci, o mediatico.
Era la società dello Spettacolo, in cui "il segno perdeva la sua valenza di mezzo per condividere e scambiare esperienze". Oggi, l'intellettuale collettivo "può riappropriarsi della produttività semeiotica del segno". Si va dalle tecnologie molari (mole, massa indistinta) si passa a quelle molecolari. Vengono messi in relazione soggetti nomadi, postmoderni: come dice Haraway, non hanno più status sociale o accademico, ma derivano dalla somma di più esperienze individuali che la rete permette.
Lévy dà una definizione dell'intelligenza collettiva. Crede che le nuove tecnologie di comunicazione e, in particolare, le tecniche di comunicazione su supporto digitale aprano prospettive completamente nuove. Quello che tenta di fare con questo libro è di vedere quali sono, fra tutte le possibilità, quelle più positive da un punto di vista sociale, culturale e politico. E' convinto che questo dell'intelligenza collettiva, sia un vero e proprio progetto di civilizzazione che parte dalle nuove possibilità che si stanno aprendo. Che cos'è l'intelligenza collettiva? In primo luogo bisogna riconoscere che l'intelligenza è distribuita dovunque c'è umanità, e che questa intelligenza, distribuita dappertutto, può essere valorizzata al massimo mediante le nuove tecniche, soprattutto mettendola in sinergia. Oggi, se due persone distanti sanno due cose complementari, per il tramite delle nuove tecnologie, possono davvero entrare in comunicazione l'una con l'altra, scambiare il loro sapere, cooperare. Detto in modo assai generale, per grandi linee, è questa in fondo l'intelligenza collettiva. Per l'autore esiste un'etica dell'intelligenza collettiva, che mette l'individuo al servizio della comunità, permettendogli di esprimersi completamente. Il progresso si trova oggi di fronte ai problemi dell'etica, per esempio al problema dei valori, ma esiste un'etica dell'intelligenza collettiva. Crede che oggi si cerchi di sfruttare, di valorizzare al massimo, per esempio, le ricchezze e i beni economici. Sul piano ecologico si cerca di evitare gli sprechi e ci si rende conto che ciò che più va sprecato, che è meno valorizzato, che è meno preso in considerazione, è forse proprio ciò che è più importante e cioè i valori e le qualità propriamente umane, le qualità degli esseri umani viventi, ed in particolare le loro competenze, ma non soltanto quelle, piuttosto l'insieme delle loro qualità umane. Crede che abbiamo oggi i mezzi tecnici per valorizzare e non sprecare queste ricchezze umane. Se si prende, per esempio, il fenomeno della disoccupazione, si capisce che si tratta di un enorme spreco di competenze umane - lo si potrebbe definire proprio così - ma anche nel lavoro classico, nel lavoro taylorista, in cui si mette una persona a un certo posto per eseguire un compito ben determinato, c'è un enorme spreco di ricchezze umane. L'etica dell'intelligenza collettiva, consiste appunto nel riconoscere alle persone l'insieme delle loro qualità umane e fare in modo che essi possano condividerle con altri per farne beneficiare la comunità.
Quindi, mette l'individuo al servizio della comunità - ma per fare questo bisogna permettere all'individuo di esprimersi completamente - e al tempo stesso la comunità al servizio dell'individuo - poiché ogni individuo può fare appello alle risorse intellettuali e all'insieme delle qualità umane della comunità. A grandi linee è questa la prospettiva dell'intelligenza collettiva, a cui, beninteso, s
Le nuove tecniche digitali permettono la comunicazione reciproca di tutti con tutti, che consente la costruzione di una cooperazione globale senza necessitare di un consenso di maggioranza, come richiesto dalla democrazia rappresentativa classica.
Questa etica della comunicazione non può essere regolata dal principio maggioritario. Per questo bisogna capire bene la natura delle nuove tecniche della comunicazione a supporto digitale. Nella comunicazione mediatica tradizionale, per esempio la stampa, la radio, la televisione, c'è un centro di emissione e un gran numero di ricettori che sono insieme passivi, perché non c'è reciprocità nella comunicazione, e, soprattutto, isolati gli uni dagli altri. Allora, dal punto di vista dell'intelligenza collettiva, questo fatto è interessante, perché tutti partecipano alle stesse rappresentazioni, emesse dal centro, ma non c'è interattività, non c'è costruzione collettiva. Un altro schema di comunicazione possibile è quello del telefono: qui c'è reciprocità nella comunicazione, ma non c'è costruzione collettiva. La comunicazione passa semplicemente da individuo a individuo. Con il cyber-spazio, con i forum di discussione elettronici, con Internet o anche su scala più ridotta con le BBS su scala di impresa o di associazione o di quartiere c'è la possibilità non solo che uno emetta verso tutti, non solo che uno comunichi facilmente con un altro, come sulla rete telefonica, ma che tutti possano comunicare con tutti. Si crea dunque un contesto comune, ma questo contesto comune non risulta più dall'emissione di un centro, risulta dall'apporto di ciascuno alla discussione collettiva. Credo che il vero, autentico atto di comunicazione è quello che consiste nel costruire in cooperazione un universo di significati comune, nel quale ognuno si può situare. Nessuno è obbligato a condividere le idee degli altri: semplicemente si partecipa allo stesso universo di significati, allo stesso contesto. Secondo il mio modo di pensare, non si tratta affatto di arrivare a un consenso, per fare in modo che la maggioranza governi. Questa è in un certo modo la democrazia rappresentativa classica. Credo invece che ognuno può, mediante questo sistema, prendere posizione, sviluppando una argomentazione assolutamente singolare. Si potranno formare anche delle maggioranze, tante maggioranze per quanti sono i problemi. E questo farà sì che un individuo possa avere su un dato problema una certa posizione e su un altro problema un'altra posizione e non essere semplicemente incluso in una grande categoria massiccia di persone che condividono tutte le stesse idee. Al contrario si può arrivare a differenziazioni molto sottili. Internet è un fenomeno spontaneo positivo, minacciato parzialmente di essere soverchiato dai governanti o dalle grandi imprese commerciali. E' convinto però che i pericoli ve ne siano: pensa che questa prospettiva dell'intelligenza collettiva, che permette alle persone di unire le loro forze intellettuali, la loro immaginazione, le loro conoscenze, eccetera, era la prospettiva di coloro che hanno costruito questo sistema e si potrebbe dire che, in un certo senso, è il risultato di un vero movimento sociale. Non c'è nessuna grande società, nessun governo che ha deciso di costruire Internet: è un fenomeno del tutto spontaneo, è il movimento sociale di una gioventù cosmopolita di diplomati, che si interessano ai fenomeni dell'intelligenza collettiva. Ciò che accade oggi è che il cyber-spazio, costruito da un movimento sociale di gente che condivideva questa utopia, è recuperato dai governi che ne vogliono fare una specie di apparato collettivo, di grande televisione, e che spesso non capiscono che la televisione interattiva è una contraddizione: la televisione non può essere interattiva, se no non è più televisione; o ha una interattività estremamente limitata. Oppure è recuperato dai commercianti, dalle grandi imprese, che vedono in esso l'occasione di sviluppare un immenso mercato, un nuovo spazio di vendite, uno spazio mobile, in definitiva. Non crede affatto che sia qualcosa di puramente negativo il fatto che sia investito dal mercato capitalistico. Ma sarebbe veramente un peccato che questo aspetto commerciale sopprimesse o si sostituisse completamente all'altra dimensione. Sarebbe un po' come nei paesi dell'Est quando dicono: ci siamo battuti per la democrazia e abbiamo ottenuto il capitalismo. Perché non sviluppare nuovi mercati? Ma, a condizione che il mercato non faccia passare in secondo piano le altre dimensioni, che sono l'aumento di ricchezze umane e di civiltà. Per il giornalista questo è il pericolo principale. Altri, in un'ottica un po' paranoica, parlano di controllo eccetera. Non sono molto sensibile a questo aspetto, in primo luogo perché tutti i sistemi di comunicazione sono stati usati dalla polizia, a cominciare dalle poste: si sa che le lettere sono state sempre aperte dalla polizia. Oggi se un servizio di spionaggio o di contro-spionaggio vuole intercettare le comunicazioni telefoniche lo fa. Si può fare anche nel cyber-spazio, ma da questo punto di vista non c'è nessuna novità qualitativa secondo Levy, anzi, forse è più difficile a causa della pratica del linguaggio cifrato.
Internet fornisce un flusso enorme e inorganico di informazione, ma non solo, secondo l'autore fornisce un vero e proprio diluvio: il primo diluvio è stato di acqua, il secondo è il diluvio dell'informazione. Dunque il problema è di sapere che cosa si deve salvare, che cosa si deve mettere nell'arca, come dovremo navigare. Il problema della navigazione nel cyber-spazio si presenta come navigazione dell'arca nel diluvio informazionale. E' bene esserne coscienti. Non potremo usare validamente tutti questi sistemi se non avremo degli strumenti per orientarci e filtrare l'informazione. Ma ce ne sono sempre di più, e questo è molto importante.
Levy crede, inoltre, che il rapporto con il sapere sia completamente cambiato: è convinto che viviamo in un'epoca in cui una persona, un piccolo gruppo, non può più controllare l'insieme delle conoscenze e farne un tutto organico. E' divenuto impossibile anche per un gruppo umano importante. Ciò vuol dire che la ricostituzione di un tutto organico, che abbia senso, non può essere fatta da individui o da piccoli gruppi. Dobbiamo imparare a costruire un rapporto con la conoscenza completamente nuovo. In un certo senso non è un male: dà molta più libertà all'individuo o al piccolo gruppo, ma certo è molto più difficile. Bisogna soltanto saper prendere partito. Se si resta con la nostalgia di una cultura ben costituita, organica, con la nostalgia di una totalità culturale, non se ne esce. La conoscenza, la cultura, è qualcosa che si sta definitivamente detotalizzando. Vi dicono: potrete avere accesso a tutte le informazioni, alla totalità delle informazioni, ma è proprio il contrario: adesso sapete che non avrete mai accesso alla totalità. Questo è il messaggio del cyber-spazio e voi dovete saper selezionare. Ritorna sull'intelligenza collettiva. Voi e il piccolo gruppo a cui appartenete e con cui avete uno scambio più stretto non potrete mai sapere tutto e quindi sarete, necessariamente, obbligati a fare appello ad altri, alle conoscenze d'altri e alle loro capacità di navigazione: i messaggi che hanno più valore nel cyber-spazio sono quelli che vi aiutano a trovare dei riferimenti, a orientarvi, quelli che hanno meno valore sono quelli che aumentano la massa senza dare visibilità o trasparenza alle conoscenze disponibili. Vediamo il Word Wide Web, che è un caso molto interessante. Spiega che se un'utente mettete un documento sul Word Wide Web, fa due cose insieme: primo, aumenta l'informazione disponibile, ma in secondo luogo, fa anche un'altra cosa: con i nessi che stabilite tra il suo documento e l'insieme degli altri, offre al navigatore, che arriverà su quel documento, il suo punto di vista. Quindi non soltanto aumenta l'informazione, ma inoltre offre un punto di vista sull'insieme dell'informazione. Il Word Wide Web non è soltanto una enorme massa di informazione, è l'articolazione di migliaia di punti di vista diversi. Bisogna considerarlo anche sotto questo aspetto.
Ritiene che l'appiattimento della conoscenza esiste solo da un punto di vista centralistico, mentre c'è un arricchimento dei differenti paesaggi culturali individuali: trova molto positivo che non ci siano più padroni del pensiero. C'è un fenomeno di appiattimento, ma è soltanto mettendosi dal punto di vista di Dio che c'è propriamente appiattimento, perché non c'è più centro, non c'è più controllo, non c'è più istanza di controllo. Viceversa, da ciascun punto di vista individuale, bisogna ricostituire un paesaggio differenziato con superfici concave e convesse, eccetera. E' una forma di dualismo. Ma per ogni individuo o per ogni microgruppo è un paesaggio diverso. La difficoltà nell'orientarsi nello spazio virtuale è dovuta dal fatto che la rappresentazione diventa sempre di più la realtà stessa. Ritiene che lo spazio in cui ci situeremo sarà uno spazio alla Moebius, in cui l'interno passa all'esterno e l'esterno all'interno, ma non soltanto perché lo spazio virtuale sfrutta le onde dello spazio fisico. E' molto più profondo. Si dice normalmente: l'informazione informa su una realtà. Per questo deve essere possibile distinguere tra la carta e il territorio. Ma oggi il territorio principale è l'insieme delle carte e dunque il passaggio dall'interno all'esterno e dall'esterno all'interno non avviene più soltanto nello spazio fisico, avviene nello spazio ontologico, per così dire, della realtà della rappresentazione. La realtà passa continuamente nella rappresentazione, e la rappresentazione diventa continuamente la realtà stessa. In ciò risiede la difficoltà con cui ci dobbiamo confrontare. In un certo senso è stato sempre così, perché, beninteso, non c'è realtà al di fuori del linguaggio, della cultura che la pone. Ma oggi è diventato assolutamente evidente: non è più il risultato di argomenti filosofici, è una cosa che possiamo vivere, al limite, tecnicamente e socialmente, ogni giorno, e un gran numero di persone ha cominciato a rendersene conto. Le nuove tecnologie porteranno a un forte sviluppo dei sensi e alla loro virtualizzazione, e non all'atrofia: in primo luogo perché penso che ci sia un'enorme sviluppo della vista, con tutti questi sistemi di comunicazione che permettono di vedere cose che gli occhi non vedevano. Voi vedete con i satelliti, con gli infrarossi, con gli scanner, che hanno permesso, in medicina, la produzione delle lastre eccetera, eccetera. Anche il tatto, l'interazione sensorio-motrice con la telepresenza si sta sviluppando enormemente, come l'udito con il telefono, le nuove musiche e simili. Non so se si possa parlare veramente di un'atrofia dei sensi, perché si ha piuttosto una virtualizzazione e uno sviluppo dei sensi con tutti questi sistemi di telepresenza e di virtualità. Non è l'atrofia, ma la virtualizzazione delle percezioni, la loro estensione, la loro trasformazione e, in un certo senso, la loro messa in comune. La loro messa in comune perché la televisione, come dice la parola, è un modo di vedere lontano, ma la cosa più interessante della televisione è che tutti vedono con lo stesso occhio; e, del telefono, che tutti, per ascoltare, usano lo stesso sistema uditivo. Invece, l'intelligenza collettiva, è fatta di tutte le dimensioni dell'intelligenza, della memoria e della percezione. In poche parole: Pierre Lévy è anch'esso convinto che le nuove scoperte messe in atto dall'informatica,possano migliorare la vita dell''uomo. Ritiene che la realtà virtuale e l'introduzione massiccia dell''informatica nella nostra vita, configurino l'apertura di un nuovo spazio antropologico, lo spazio del sapere, che coincide con la possibile e auspicata messa in comune. I media elettronici aprono un nuovo campo di possibilità e di innovazione : le nuove tecnologie permettono di ricostruire uno spazio virtuale, nel quale soggetti collettivi, ricostruiscono il sapere come continuum vivente in costante mutazione.
Considera la rete come una vera e propria enciclopedia vivente.Pensa che tutto il web possa essere letto come una grande comunità virtuale, come un grande ipertesto, all'interno del quale milioni di persone scrivono e riscrivono il senso della realtà stessa della rete e di quella esterna alla rete.
Le critiche alle precedenti convinzioni crebbero anch'esse di pari passo e Jean-Luc Nancy fu una figura rilevante di questa categoria. Esorta a non rimpiangere una perduta comunità delle anime e dei corpi ed invita le popolazioni a non voler costruire, con i mezzi dell''elettronica una nuova comunità originaria. Afferma che c'è comunità quando singolarità che non si pretendono divine ed eterne mettono insieme parti limitate della loro esistenza perchè l'essenza comunitaria è intrinseca nell'uomo, anzi precede l'individualità e, nello stesso tempo, non può che darsi come comunità transitoria e finita senza alcuna pretesa di assoluto.
Anche Maldonado afferma l'assoluta inconsistenza delle comunità virtuali; il suo approccio critico nei confronti dell''entusiasmo per la tecnologia è evidente. Dichiara che, proprio per il loro alto grado di socialità e omogeneità, le comunità virtuali sono comunità con scarsa dinamica interna. Tomás Maldonado, sostiene che le comunità virtuali hanno delle caratteristiche di eccessiva fragilità; non reggono, per esempio il conflitto interno tra i membri, mentre nelle comunità reali, posizioni spesso diverse stanno dentro un unico contenitore. Altri sostengono che tale debolezza sia strutturale, sia intrinseca delle comunità virtuali, e sia un vantaggio, perché, cfr Turkle, questa debolezza, in realtà, permette di stabilire i vincoli comunitari non sulla base di rapporti di potere, ma sulla base di scelte libere basate su affinità di interessi; dunque, in questa prospettiva, tale debolezza si trasforma in un valore positivo.
Sempre Maldonado si chiede:" Come si concilia l'idea di comunità virtuale, che si fonda sulla parzializzazione, con quella del villaggio globale, che mira invece all'universalizzazione? E in caso che il villaggio globale non sia altro, come qualcuno sostiene, che una comunità virtuale planetaria, come avviene il salto da un livello all'altro?" Negli ultimi tempi, sono stati molti i tentativi, da parte dei seguaci del ciberspazio, di definire la comunità virtuale, tuttavia tutti sono concordi nel definire il fatto che esse nascono a partire da interessi e gusti affini e quindi possano essere considerate comunità di simili. Di simili, non di identici.L'avvento delle reti telematiche ha reso possibile la comunicazione interattiva paritetica, da pari a pari (peer-to-peer), ma allo stesso tempo ha avuto effetti ambivalenti. Il "pari a pari",inteso in senso tecnico come un dispositivo che in un' architettura di rete opera allo stesso livello, ha assunto un senso non tecnico, come rapporto che si stabilisce tra utenti della rete culturalmente e socialmente pari.
Questi temi, sono tutt'ora discussi e ridiscussi e probabilmente non verranno mai chiariti; dalle sue origini come progetto di ricerca commissionato dal governo americano, Internet è cresciuta fino a diventare una delle maggiori componenti delle infrastrutture di rete mondiale; oggi solo una piccola parte dell'intera struttura Internet è gestita o controllata dal governo. La maggior parte dei fondi per il mantenimento della rete, infatti, sono devoluti spontaneamente dai privati; notevole anche l'aiuto offerto dalle aziende, che comprese le enormi potenzialità della rete, ne finanziano sempre più lo sviluppo per fini commerciali.
Siamo, infatti, di fronte ad una crescita inarrestabile di Internet; merito dei nuovi software, che permettono a tutti di diventare buoni navigatori con pochissima pratica, dei mass media che tormentano i lettori con paroloni come on-line e multimediale, entrati ormai nel comune parlato, della nascita delle riviste specializzate nel settore, dedicate sia agli esperti che ai principianti (Interpuntonet, Internet news, ecc), della pubblicità che appare sempre più spesso anche in televisione.i oppongono tutti i giochi di potere, di oppressione e di dominio. Ritroviamo qui la battaglia per l'emancipazione: se non è possibile rimuovere questo aspetto negativo della vita sociale, bisogna almeno tentare di contenerlo nella giusta misura.
Nascono sempre più motori di ricerca, a causa dell'enorme quantità di dati che circolano in linea; Internet diventa sempre più un centro commerciale, nel quale si vendono libri e cd, computer, prodotti nazionali e regionali tipici, ma anche la propria amicizia con le chat.
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