Gli hackers
cominciarono a definirsi cosi' all'inizio dell'era dei pc durante le controculture
della fine degli anni 60'. Allora la parola non aveva l'accezione che ha oggi
dove viene subito associata a "pirata informatico" in grado di creare
disagi o divertirsi a scapito altrui, ma erano persone entusiaste esperte in
programmazione. Pionieri della ricerca in campo informatico, appassionati del
computer, ma mediamente rispettosi della legge, fanno risalire la loro nascita
a Universita' americane prestigiose come il MIT di Cambridge e il SAIL di Stanford.
I fondatori della Apple, Steve Wozniak e Steve Jobbs, vendevano blue box nella
facolta'; le blue box sono dispositivi per il phreaking, la pirateria telefonica.
Nel Jargon file degli hacker, compilato collettivamente su internet, vengono
definiti come persone che "programmano con entusiasmo" e che ritengono
che "la condivisione delle informazioni sia un bene di formidabile efficacia,
e che sia un dovere etico condividere le loro competenze ideando free software
e facilitare l'accesso alle informazioni e alle risorse di calcolo ogniqualvolta
sia possibile.
Steven Levy scrive nel suo libro "Hackers" questi sei punti come la
summa degli ideali hacker:
· 1) L' accesso ai computer deve essere illimitato e completo. L'imperativo
è hands-on (metterci su le mani).
· 2) Tutta l'informazione deve essere libera. Ogni controllo proprietario
su di essa è negativo. La condivisione delle informazioni è un
bene potente e positivo per la crescita della democrazia, contro l'egemonia,
il controllo politico delle élite e degli imperativi tecnocratici. Dovere
etico degli hacker è la condivisione del proprio sapere ed esperienza
con la comunità d'appartenenza (comunità di pari), separata dal
resto della società. Dominano fedeltà, lealtà, supporto
reciproco, aspettative di condotta normativa: proprio perché in una comunità
virtuale come questa non ci si può né vedere né sentire
la fiducia reciproca è un valore ancora più prezioso. Inoltre,
nelle comunità informatiche, il tutto è più grande della
somma delle parti quando si tratta di condividere le informazioni: ci si scambiano
account, si copiano le ultime versioni del software e chi ha una maggiore conoscenza
la condivide con chi non ne ha altrettanta, mettendo in gioco un "saper
fare" programmato al servizio di un "far sapere". Vengono scritti
manuali sui vari argomenti (come usare i telefoni cellulari, come costruire
dispositivi per telefonare gratis...) che sono poi distribuiti sulle varie BBS
o pubblicati da riviste, senza che gli autori si aspettino qualcosa in cambio.
Nell'underground tutto circola liberamente e rapidamente, sia che si tratti
di materiale coperto da copyright o meno: il copyright è infatti un concetto
ormai superato nella futura società dell'informazione per questa ideologia.
In questo modo gli hacker hanno costruito volontariamente un sistema privato
di educazione che li impegna, li socializza modellando il loro pensiero: tale
processo di apprendimento all' "arte dell'hackeraggio" (Sterling 1992)
per il neofita si modella sull'esempio delle società iniziatiche, di
cui si dirà in seguito. L'hackeraggio per esplorazione e divertimento
è, secondo questa politica, eticamente corretto, finché non siano
commessi intenzionalmente furti, atti di vandalismo, distruzione di privacy,
danno ai sistemi informatici: è contro l'etica alterare i dati che non
siano quelli necessari per eliminare le proprie tracce, evitando così
d'essere identificati.
· 3) Dubitare dell'autorità. Promuovere il decentramento. La burocrazia,
industriale, governativa, universitaria, si nasconde dietro regole arbitrarie
e si appella a norme: è quindi politicamente inconciliabile con lo spirito
di ricerca costruttiva e innovativa degli hacker, il quale incoraggia l'esplorazione
e sollecita il libero flusso delle informazioni. Il sogno, l'utopia hacker,
come sintetizza Levy (1996: 310), è portare i "computer alle masse,
i computer come giradischi" livellando le ineguaglianze di classe. Il simbolo
più evidente del conflitto politico-culturale tra informalità
hacker e rigidità burocratica è l'International Business Machine
(IBM). Il computer, e con esso la tecnologia, viene ricontestualizzato dagli
hacker, ricollocato cioè in un contesto alternativo a quello dominante:
non più, cioè, strumento di potere nelle mani delle classi egemoni,
ma potenziale e potente mezzo sovversivo, di opposizione e intrusione nelle
cerchie del potere politico-economico; è quindi nelle "periferie"
che si viene producendo il significato.
· 4) Gli hacker dovranno essere giudicati per il loro operato e non sulla
base di falsi criteri quali ceto, età, etnia, genere e posizione sociale.
La comunità hacker ha un atteggiamento meritocratico: non si cura dell'
apparenza mentre è attenta al potenziale dell'individuo nel far progredire
lo stato generale dell' hackeraggio e nel creare programmi innovativi degni
d'ammirazione; la stratificazione di status si basa quindi sulla conoscenza,
l'abilità e l'estro digitale. Infatti le innovazioni in questo settore
di solito derivano da singoli o da piccoli gruppi che cercano di assolvere compiti
di regola giudicati impossibili dal mainstream.
· 5) Con un computer puoi creare arte. Emerge una certa estetica dello
stile di programmazione: il codice del programma possiede una bellezza propria
in quanto è un'unità organica con una vita indipendente da quella
del suo autore. Nei computer si può ritrovare la bellezza e la fine estetica
di un programma perfetto che, spinto al massimo delle sue potenzialità,
può liberare la mente e lo spirito: ogni programma dovrebbe essere infinitamente
flessibile, ammirevole per concezione e realizzazione, progettato per espandere
le possibilità dell'utenza. Il computer è l'estensione illimitata
della propria immaginazione personale, uno specchio nel quale è possibile
incorniciare qualsiasi tipo di autoritratto desiderato.
· 6) I computer possono cambiare la vita in meglio. Gli hacker hanno
dilatato il punto di vista tradizionale su ciò che i computer avrebbero
potuto e dovuto fare, guidando il mondo verso un modo nuovo di interagire con
essi. Gli hacker hanno profonda fede nel computer come arma di liberazione e
auto-liberazione, come mezzo di trasformazione e costruzione della realtà.
Nella tecnologia essi vedono arte: così come alcune "avanguardie"
del passato, i poeti romantici ottocenteschi, i futuristi e i surrealisti di
inizio Novecento, anche gli hacker si considerano dei visionari che vogliono
cambiare la vita umana, anche se solo ai margini o per un breve momento. Per
questo essi attuano, tramite la giustapposizione di fantasia e realtà
altamente tecnologica, un irriverente sovvertimento di senso, un "disordine
semantico"" (Hebdige 1979: 100), seppur temporaneamente oltraggioso,
dei codici dominanti e convenzionali, un loro abuso e l'invenzione di nuovi
usi. Ogni generazione che cresce con un certo livello tecnologico deve poi scoprire
i limiti e le potenzialità di tale tecnologia sperimentandola quotidianamente
in una sfida continua col progresso. Così come le sottoculture, dai mod
ai punk, sperimentavano nuovi stili musicali e nuove mode, gli hacker sperimentano
nuove mode nel campo tecnologico; la tecnologia diviene strumento per l'immaginazione
poiché apre il terreno a nuove immagini, suoni, esperienze e concetti.
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