Hacktivism. La libertà nelle maglie della rete
di A. Di Corinto e T.Tozzi |
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Stiamo parlando
dei diritti digitali, cioè di quell’insieme di aspirazioni, prassi
conoscitive, attitudini e comportamenti considerati fondanti l’agire
comunicativo delle comunità elettroniche eticamente orientate. Perciò, anche
se non sempre essi costituiscono un blocco unico e omogeneo di rivendicazioni,
per la stretta connessione che li unisce – i «confini» tra un diritto
digitale e l’altro sono sottili, le aree interessate da uno si incrociano
e si sovrappongono a quelle di un altro – proveremo a sintetizzarli
e a illustrarli consapevoli di tutti i limiti che una trattazione
di questo tipo comporta. Nell’ambito
delle comunità elettroniche i principali diritti correlati all’uso
dei Media Interattivi sono considerati: Il diritto
alla cooperazione, che riguarda una concezione della rete basata su
rapporti di interscambio orizzontale secondo un modello di relazioni
paritetico e rizomatico. Un diritto che implica la possibilità di
realizzare un tipo di comunicazione libera e aperta, capace di accrescere
le conoscenze collettive e la cultura di ognuno. Il diritto
alla privacy e all’anonimato. La privacy, inizialmente correlata al
concetto di soglia e di tranquillità domestica, è stata a lungo considerata
come il diritto di essere lasciati soli. L’avvento della rete e di
altri strumenti informatici ha modificato totalmente il senso e la
portata di questo concetto-guida per il fatto che oggi questo diritto
è in pericolo ogni volta che usiamo bancomat, carte di credito, smart
cards, codice fiscale, patenti di guida o tessere del supermercato,
ogni volta che entriamo in Internet, ogni volta che abbiamo a che
fare con gli uffici pubblici, e con qualsiasi apparato in grado di
tenere traccia e registrare i nostri comportamenti. Per questo
le comunità elettroniche rivendicano l’uso di strumenti adeguati per
proteggersi da tali intrusioni nella propria vita, pubblica e privata,
con adeguati sistemi di cifratura e anonimizzazione dei dati. Ugualmente,
poiché un atteggiamento poliziesco da parte di istituzioni e imprese
sovente minacca il diritto all’anonimato – i dati personali, anziché
essere richiesti in caso di reato o a fronte di specifiche esigenze
degli interessati, vengono richiesti come precauzione verso quanti
potrebbero, forse, nascondersi per compiere chissà quali delitti –
si fa sempre più diffusa l’esigenza di tutelare le proprie interazioni
attraverso anonymous remailers, crittazione a doppia chiave pubblica,
e altri sistemi di anonimizzazione. Il diritto
alla libertà di copia è una rivendicazione che coinvolge direttamente
la libertà d’informazione e di espressione, perché le leggi sul copyright
e sui brevetti limitano direttamente la circolazione di notizie e
scoperte vincolandole a criteri di carattere economico e inoltre perché
limitando la circolazione di informazioni – ciò vale soprattutto nel
caso della scrittura software – viene limitata la possibilità stessa
di conoscere i media che ciascuno utilizza per esprimersi. La battaglia
contro il copyright, il cui raggio d’azione spazia dalla musica all’editoria,
fino alle biotecnologie alimentari e farmaceutiche, ha però un nuovo
orizzonte nella diffusione di beni, merci e servizi di carattere libero
e gratuito che godono di particolari tutele sotto specifiche licenze
(la Gpl, General Public Licence, la Fdl, Free Documentation Licence
ed altre). Il diritto
all’accesso si articola su diversi piani e include il problema concreto
dei costi del materiale e delle connessioni. Sotto questo aspetto
gli hacktivisti considerano che devono essere garantiti ad ognuno
alcuni requisiti per poter parlare di reale diritto d’accesso: 1. La possibilità di acquisire l’hardware
e il software necessario per utilizzare gli strumenti della comunicazione
digitale. 2. L’accesso a connessioni che permettano
effettivamente di accedere a tutta l’informazione esistente in rete
e di comunicare con tutti coloro che utilizzano la rete senza essere
penalizzati da una connessione lenta o da una limitazione all’accesso
delle risorse in rete. 3. La disponibilità di hardware e di software
adeguati a fruire di tutte le risorse presenti in rete. 4. L’accesso alla formazione necessaria
per riuscire a sfruttare tutte le risorse degli strumenti della comunicazione
digitale. Per diritto
alla formazione, in particolare, si intende la necessità di avviare
corsi e iniziative atte a migliorare l’alfabetizzazione informatica
degli utenti in quanto la conoscenza di questi mezzi sta diventando
una discriminante sia per quanto riguarda l’accesso alle informazioni
e alla comunicazione che l’ingresso nel mondo del lavoro. Per questo
è considerato importante ribaltare la tendenza in atto a fornire software
sempre più «amichevoli» che non favoriscono la possibilità di comprenderli
e di usarli nel modo che è più consono alle modalità cognitive e agli
scopi degli individui. Complementare a questa rivendicazione è la
volontà, attraverso una adeguata formazione, di conoscere e scrivere
software che non limitino o controllino l’agire in rete e interfacce
che garantiscano un’accessibilità reale ad ognuno senza penalizzazioni
derivanti dal ceto, dalla razza, dal sesso, da handicap o altro. Il diritto
all’informazione contrasta con ogni forma di censura, istituzionale,
tecnica o commerciale. In questa prospettiva il mezzo digitale va
tutelato da ogni controllo indesiderato e considerato soggetto solo
alla responsabilità individuale di chi lo utilizza. Questo diritto
può concretamente dispiegarsi solo quando sia garantito l’accesso
a una molteplicità di fonti informative e la possibilità di generarne
di nuove senza limitazioni di sorta per poter affermare una reale
libertà di espressione.
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