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Hacktivism. La libertà nelle maglie della rete

 

di A. Di Corinto e T.Tozzi

 

indice

1.2.1.Gli Hacklabs

Loa Hacklab Milano

Fra i molti laboratori hacker formatisi dopo l’hackmeeting 1999 – l’hacklab di Firenze, gli hacklab di Verona e di Savona, quelli di Asti e Bari, l’Underscore_hacklab di Torino, il genovese Spinhacker404 e gli ultimi nati a Bologna e Venezia – il Loa Hacklab di Milano è stato fra quelli più attivi nel promuovere iniziative per un uso sociale della telematica. www.ecn.org/loa

Cresciuto all’interno del Laboratorio Studentesco Occupato Bulk di Milano, il Loa Hacklab è già stato «sfrattato» dalla giunta milanese del sindaco Albertini, ma dal Capodanno 2001 ha messo radici nella nuova sede occupata del Bulk a dieci minuti dalla stazione FS Garibaldi a Milano. www.ecn.org/bulk

Ed è stato proprio per protestare contro le politiche sociali del Comune di Milano e contestare l’operato di una giunta poco attenta ai bisogni dei suoi cittadini che il 28 settembre del 2000 il Loa ha indetto un partecipatissimo netstrike contro il sito del Comune di Milano, secondo una pratica ormai popolare fra gli attivisti informatici che la usano sempre più spesso per denunciare casi di censura e malgoverno, iniziative a cui il Loa non ha mai fatto mancare il suo supporto. È successo nel caso della censura del libro di Luther Blisset a Roma, delle brame edilizie della Coop a Firenze e quando i modem sono stati puntati verso un servizio di Trading On Line, www.fineconline.it simbolo, secondo gli attivisti, di una economia digitale che produce profitti solo per i soliti noti.

Al Loa di Milano intanto si continua a fare quello che si fa in tutti gli hacklab: resuscitare vecchi computer, costruire reti, fare arte digitale, grafica, giochi, costruire robot e tenere seminari per promuovere un uso critico delle tecnologie, vecchie e nuove. È così che è nato il laboratorio di didattica dove i loaniani tengono i corsi Unix e Linux con 16 vecchi computers 486 connessi con una manciata di schede di rete, tramite un router autocostruito, al server Ismaele che fornisce le risorse computazionali e i programmi per esercitarsi nell’uso dei linguaggi di programmazione e imparare a costruire pagine web. Ma la didattica con sistemi Unix-like e software libero fa parte di una più generale campagna per l’obiezione di coscienza all’uso dei programmi commerciali, a scuola come all’Università e negli uffici pubblici, a favore dell’adozione di sistemi free e open-source. Lo scopo è quello di sensibilizzare l’opinione pubblica al fatto che il digital divide, cioè l’esclusione di ampie fasce della popolazione dall’uso degli strumenti informatici dovuta agli alti costi di vendita e licensing, è anche e soprattutto il prodotto di politiche che mirano a favorire gli interessi economici delle case produttrici piuttosto che la crescita sociale delle persone.

È stato proprio per smascherare questo meccanismo che, durante gli hackmeeting e nelle iniziative anti-copyright, quelli del Loa insieme agli altri hacklab hanno avviato un articolato percorso di ricerca sui cambiamenti che la produzione immateriale induce nella società postfordista. Una serie di incontri a Milano, a Bologna e a Roma, hanno affrontato l’argomento della Gnu Economy, ovvero di quella particolare forma di economia, solidale, cooperativa e non mercantile, che è legata alla produzione di software, libri e musica che incorporano le quattro caratteristiche dei prodotti rilasciati sotto licenza Gnu-Gpl (Gnu-General Pubic License), e cioè: la disponibilità illimitata di modifica, copia e distribuzione dei prodotti del sapere per migliorare la qualità della vita della comunità con il solo vincolo di includere in ogni successiva modifica e distribuzione la stessa garanzia di libertà assicurata dalla licenza di «un bene prodotto collettivamente».

Poiché libero non significa gratuito, ma liberamente distribuibile e modificabile da tutti – i prodotti free costano meno ma si pagano – i loaniani precisano che per guadagnarsi da vivere con prodotti liberamente utilizzabili i programmatori possono farsi pagare per la personalizzazione, la manutenzione e la formazione all’uso del software che vendono alle aziende, mentre musicisti e scrittori no-copyright possono assicurarsi un reddito rinunciando all’intermediazione commerciale della vendita delle loro opere e distribuendole attraverso la rete a costi assai ridotti a un numero elevato di acquirenti.

Gli hacker milanesi comunque, pur mantenendo un atteggiamento autoironico – si fanno chiamare hacari, – non rinunciano all’esigenza di creare momenti di dibattito politico e, in puro stile hacker, puntano a decostruire l’immaginario mediatico con una serie di riflessioni mirate sui fatti di cronaca legati agli abusi informatici. Come i Loa, spiriti liberi che aleggiano nel cyberspace delle opere cyberpunk, i loaniani li ritrovi a discutere in ogni angolo della rete, nei centri sociali e nei circoli culturali per portarvi le proprie riflessioni.

I LOAckers, che vogliono essere produttori attivi e non fruitori passivi di informazione, nei loro seminari si sono dedicati a demistificare l’allarme hacker sui D-DOS ovvero i Distributed Denial Of Service, gli attacchi informatici che a più riprese hanno fatto tremare i titoli di borsa di giganti come Amazon ed e-Bay, per spiegare che le guerre commerciali fra le aziende si fanno pure così: generando dubbi sull’efficienza di alcuni operatori di commercio elettronico e pubblicizzando le software house esperte in sicurezza aziendale. Mentre per quanto attiene alla sicurezza e alla privacy dei cybernauti, hanno avuto modo di spiegare che di fronte alle palesi violazioni nell’uso dei dati degli utenti, utilizzati per la pubblicità personalizzata o per il controllo censorio da parte di istituzioni come Echelon, l’anonimizzazione su web, gli anonymous remailers e la crittografia sono gli unici veri strumenti di protezione della privacy degli utenti di Internet.

La discussione tuttora in corso sul danno sociale derivante dall’applicazione rigorosa del copyright e dalle ipotesi di brevettabilità del software è invece per i loaniani l’occasione per rivendicare il carattere collettivo di ogni forma di sapere contro l’abuso di chi se ne appropria etichettandolo con un marchio multinazionale.

Come dargli torto? Dopotutto «privato» è il participio passato di «privare».

 

Freaknet Medialab Catania

Il Centro Sociale Auro di Catania, ospite dell’Hackmeeting 2001 -www.hackmeeting.org – ha tenuto a battesimo la riapertura della rivista antimafia I Siciliani e conserva l’unica collezione completa di cronaca cittadina dalla fine del fascismo agli anni ’70 – è promotore di numerose iniziative interculturali, attività ricreative per bambini, laboratori video e musicali, e ospita anche il FreakNet MediaLab, famoso per il suo attivismo sulla frontiera digitale e impegnato, fra l’altro, a realizzare un’emeroteca virtuale per conservare quel patrimonio di storia locale. Già sgomberato dalla giunta del sindaco Scapagnini, continua le sue attività presso il circolo Arci di Catania. Il Medialab del centro sociale, però, non è stato solo un luogo di sperimentazione di tecnologie a basso costo dove il riuso dei computer dismessi è la norma, ma è anche uno degli hacklab che concretamente pratica il diritto all’informazione per tutti, mettendo i suoi computer a disposizione di chiunque non se ne può permettere uno; fornisce servizi di email e surfing gratuito ed ha attivato, caso unico in italia, programmi di navigazione e videoscrittura in lingua araba per gli extracomunitari che lo frequentano. Nel laboratorio autogestito di informatica e nato dall’esperienza della rete di Bbs amatoriali FreakNet, gli attivisti del centro sociale tengono corsi di formazione all’uso dei computer e si dedicano alla diffusione dell’uso di software libero come Linux, con l’intenzione di rimediare all’errata convinzione che esso sia di difficile uso e quindi indatto ai principianti. I loro corsi hanno visto la partecipazione di studenti, professionisti e pensionati che hanno appreso che sistemi operativi come Unix/Linux sono più stabili del famigerato Windows, hanno interfacce grafiche piacevoli e intuitive e possono usare software «open source» per scrivere, calcolare, disegnare e navigare su Internet. Soprattutto hanno scoperto che Linux è assai più affidabile e meno costoso dei sistemi operativi commerciali e su questo hanno avviato una campagna per l’obiezione di coscienza all’uso dei sistemi proprietari comunicandola al Rettore dell’Università di Catania. In una lettera al Rettore hanno chiesto di non sprecare i soldi degli studenti in spese inutili «visto che una buona fetta delle loro tasse finiranno nell’acquisto di hardware non necessario e di software scadente che dovrà presto essere aggiornato». L’adozione di Linux, dicono, che gira finanche su vecchi «386», rivalorizzerebbe l’attuale parco calcolatori dell’Ateneo rallentando la folle corsa all’aggiornamento dell’hardware e al peggioramento dei servizi informatici. Motivano questa tesi spiegando che l’aggiornamento dei sistemi operativi di tipo proprietario come Microsoft Windows (e applicativi come Microsoft Office), implica spese onerose per l’acquisto di ciascuna licenza d’uso e che la complessità non necessaria di quei programmi richiede sempre maggiore potenza di calcolo che, in un circolo vizioso, obbliga all’acquisto di processori più potenti e di periferiche specifiche che poi, guarda caso, sono commercializzati dalle case che hanno accordi commerciali con la Microsoft.

Una situazione che vuole tutti gli altri produttori impegnati a costruire strumenti informatici ritagliati sulle caratteristiche dei prodotti Microsoft rinunciando a innovare tecnologie e sistemi.

Ma quello economico non è il solo motivo. Il software libero e open source permette, al contrario dei «software chiusi» come quelli di Microsoft, di studiarne l’ingegneria interna, necessaria alla formazione degli studenti, che invece diventano «pirati informatici» se provano a farlo con il software proprietario, a causa di una legislazione che criminalizza lo studente che lo «apre» per vedere come è fatto o ne produce una copia per studiarlo a casa come da programma didattico.

Gli studenti universitari del Freaknet Medialab sono andati oltre auspicando che l’Università aderisca allo spirito del progetto Linux il cui sviluppo è il frutto della passione di decine di migliaia programmatori che, grazie a Internet, condividono il loro lavoro in maniera cooperativa agendo di fatto come un laboratorio di ricerca diffuso. Il corollario delle loro tesi è che, se la ricerca condotta dalle multinazionali del software che mirano solo al profitto e al consolidamento delle posizioni di mercato va a scapito della qualità dei prodotti e favorisce l’omologazione della creatività informatica, diversa è la missione dell’università, il cui ruolo dovrebbe essere di formare coscienze critiche e non consumatori stupidi, e di garantire l’accesso agli strumenti della formazione anche ai meno ricchi.

Un primo risultato di questa filosofia è stato già ottenuto quando uno studente catanese è riuscito a convincere il professore del suo corso di laurea ad accettare come compito d’esame un database fatto con MySql – programma a «sorgente aperta» – anziché usare Access di Microsoft come il docente richiedeva, dopo avergli fatto presente che lui non aveva Windows sul computer e che, soprattutto, non aveva alcuna intenzione di installarlo. La critica finale dello studente era che, se all’Università si impara solo ad usare Windows, all’ingresso nel mondo del lavoro egli non avrà altra scelta che proporsi per sviluppare contenuti e applicativi basati su Windows, in questo modo perpetuando la cattiva influenza culturale delle lobby di produttori che, è noto, in questo modo distorcono il mercato e frenano l’innovazione e la ricerca tecnologica. Questi due esempi per dimostrare che i sostenitori della libera circolazione dei saperi non si limitano a rivendicarla a parole ma, non rassegnati a perdere il proprio avamposto di cultura critica, a Catania hanno usato anche lo strumento della petizione elettronica (www.freaknet.org) per sostenere le proprie ragioni.

 

Hacklab Firenze

L’Hacklab Firenze, un’altra delle esperienze italiane più radicali di informatica critica, è stato sgomberato nell’estate del 2001 dalla sua sede del Centro Popolare Autogestito Firenze Sud, da tutti conosciuto come Cpa www.ecn.org/cpa.

Il Cpa è stato il luogo del primo hackmeeting italiano e l’Hacklab fiorentino, da poco ricostituito nella nuova sede del centro sociale, è un crocevia di culture digitali fra le più avanzate della penisola. www.firenze.hacklab.it

Al progetto dell’hacklab hanno partecipato, a vario titolo, gli attivisti di Strano Network www.strano.net, quelli del Firenze Linux User Group (Flug) www.firenze.linux.it e anche alcuni tra i fondatori dell’Associazione Software Libero www.softwarelibero.org che lì hanno intrecciato una fitta trama di incontri dedicati a discutere il ruolo dei media e dell’informazione nelle dinamiche sociali, come pure l’ingombrante presenza del grande fratello informatico e l’utilizzo del free software, ma anche argomenti di carattere specialistico come la programmazione in XML, l’Informatica Quantistica, i sistemi informatici Real Time, i Protocolli di Rete come l’IPv6, ed i corsi sull’accessibilità del web ai non vedenti. L’hacklab fiorentino è stato uno dei primi in Italia a porre la questione del diritto di accesso agli strumenti del comunicare come parte di un fondamentale diritto all’informazione, inteso come diritto ad essere contemporaneamente fruitori e produttori autonomi di informazione, in maniera assolutamente estranea alle modalità spettacolari dei media tradizionali e con l’obiettivo dichiarato di realizzare una comunicazione realmente orizzontale fra i soggetti sociali che concretamente la producono. Ma diritto di accesso vuole anche dire disponibilità degli strumenti del comunicare per chi non li trova a casa e a scuola, ed è per questo che quelli di Hacklab hanno realizzato, primi e unici in Italia, la Banca degli organi Hardware, un magazzino di scambio di tutta la «ferraglia» che serve a costruirsi una workstation e ad accedere alla rete, secondo un meccanismo che prevede il baratto di pezzi superflui – monitor, modem e schede di rete, etc – con altro materiale acquistabile solo a prezzi elevati nei negozi di informatica.

Complementare a questa logica è stato il progetto «Ciclope» avviato dall’hacklab. Ciclope è un cluster di computer collegati con una rete di tipo ethernet che lavorano insieme ad uno stesso programma grazie ad una struttura che li coordina basata su computer con il sistema operativo Linux, sistema free e distribuito sulla rete. Lo scopo è quello di disporre di una supermacchina in grado di eseguire le operazioni che una singola workstation non potrebbe gestire. Tuttavia, sostengono quelli dell’hacklab, non è sufficiente avere un computer per comunicare. Innanzitutto ci vuole l’attitudine a scambiare, cooperare e imparare insieme.

Per questo, facendo base al Cpa, hanno nel tempo cercato di contaminare luoghi sociali diversi dal Centro Sociale tenendo seminari all’Università, nelle Case del Popolo, nelle Biblioteche, per stimolare un uso «non televisivo» della rete e rovesciare il punto di vista di chi crede che gli hacker siano dei pericolosi criminali.  Ma la cifra comune delle esperienze che si incontrano al Cpa è proprio la sperimentazione che salda gli interessi dei programmatori più impolitici con l’impegno sul versante dei diritti digitali proprio degli hacker sociali.

È infatti al Cpa che, nell’estate del ’98, è stato fatto un esperimento di televisione autogestita, la BoicoopTV che ha irradiato nell’etere il dibattito in corso all’hackmeeting www.ecn.org/hackit98 in cui sono stai prefigurati molti dei temi caldi della società dell’Informazione insieme ad iniziative di alfabetizzazione informatica e ad un approfondimento dello stato dell’arte della telematica antagonista in Europa che ha visto la partecipazione di net-attivisti di tutta Europa.

Gli hacker del laboratorio informatico hanno dato vita a singolari iniziative contro la chiusura del centro, con forme di protesta informatica come il Netsrike contro il sito nazionale della Coop, il fax-strike, la protesta telefonica, l’uso creativo delle radiofrequenze e delle mailbox dell’Unicoop e degli amministratori cittadini.

 

Hacklab Roma – Avana/Jet-Net

Concluso nell’ottobre del 2000 l’infelice rapporto con la Rete Civica Romana, gli attivisti digitali del Forte Prenestino aprono un nuovo capitolo della loro storia e, come a chiudere un ciclo cominciato nel 1994 con l’installazione di Avvisi Ai Naviganti Bbs e con l’avvio dei primi seminari di alfabetizzazione informatica, ricominciano dalla formazione con l’iniziativa Jet-Net. www.forteprenestino.net

Jet-Net è in realtà un calendario di corsi e di seminari, che si tengono il giovedì sera a Forte Prenestino con cadenza settimanale, e  in cui gli attivisti confrontano idee, apprendono tecniche di resistenza digitale, si formano all’uso di Linux, e si adoperano per il funzionamento dell’hacklab romano. Le memorie digitali della Bbs ci ricordano infatti che la formazione è sempre stata una delle specificità del percorso culturale di Av.A.Na. insieme alla battaglia contro il copyright e per la democrazia elettronica. Nel biennio ’93-’94 infatti, Internet era ancora un gingillo da ricercatori universitari, il web non era ancora abbastanza diffuso e per esplorare Internet si usava il gopher. Tuttavia, all’epoca era assai vitale il circuito della telematica amatoriale, quella fatta dalle Bbs da cui, dopo la secessione dell’area di discussione Cyberpunk dal circuito Fidonet, nacque la rete parallela Cybernet che contava fra i suoi nodi le famose HackerArt Bbs di Firenze e Decoder Bbs di Milano, oltre che la stessa Avana e molte altre. Intorno ad Avana Bbs si raccoglieva una comunità consistente di cibernauti in erba, circa mille utenti registrati nel momento di massima diffusione. Il segreto stava nel fatto che nelle stanze buie dell’ex forte militare occupato nel 1986, un pugno di attivisti teneva acceso un computer da cui inviare posta elettronica gratuitamente e in tutto il mondo. Quel presidio digitale permise di aggregare moltissime persone che non tardarono ad innamorarsi della rete chiedendo di conoscerla meglio. I tempi erano maturi per i Corsari – così si chiamavano gli allievi – che alla sera, con una sottoscrizione volontaria, seguivano i corsi di «Livello Zero» per apprendere i segreti della rete. Era stato aperto un varco nell’immaginario e Avana Bbs era diventata il non-luogo per parlare di autogoverno, Aids, produzione immateriale e democrazia elettronica.

Successivamente, fra il 1995 e il 1996, una trasmissione condotta da alcuni membri del gruppo sulle frequenze della radio indipendente romana Radio Onda Rossa www.tmcrew.org/ror, irradiava nell’etere la serie Imparare navigando che, nel riprendere lo slogan rivoluzionario degli zapatisti da poco insorti, «camminare domandando», prefigurava il senso rivoluzionario della telematica sociale. La trasmissione, assai prima di più famosi programmi radiofonici come Golem e Crackers, parlava di immaginario mediatico e culture digitali, insegnava le parole delle nuove tecnologie, e procedeva descrivendo step by step le modalità della connessione ad un computer remoto, mentre i suoi conduttori intervistavano esperti e militanti sul futuro della cosiddetta rivoluzione digitale.

Quelli di Avana sapevano che occorreva un’offensiva ad ampio spettro per familiarizzare i giovani all’uso della telematica ed è per questo che nel 1994 decisero di dare il loro contributo alla nascita della Rete Civica del comune di Roma – RomaOnLine – insieme alle altre Bbs della provincia. Lo scopo era quello di sensibilizzare il comune a creare spazi di apprendimento e formazione specifici all’uso della rete, nelle biblioteche, nelle scuole, nei laboratori di quartiere, per garantire l’accesso pubblico e gratuito agli strumenti della comunicazione elettronica. In parte ci sono riusciti, ma con la gestione della nuova rete civica – diventata RomaNet – da parte del vicedirettore generale del comune Mariella Gramaglia il rapporto col Comune si è subito degradato a causa delle rigidità politiche dei suoi amministratori. Per gli attivisti il rapporto con la Rcr è ormai sepolto. L’esperimento che aveva visto comune e alcuni gruppi di volontariato collaborare ad una rete telematica territoriale si è concluso dopo le gravi e infondate accuse di filo-pedofilia rivolte loro dal vicedirettore per aver pubblicato un libro-inchesta sul fenomeno della pedofilia. Nel novembre del 2000 cinque gruppi storici della telematica di base: Virtual Mondo Bbs, l’Osservatorio per i diritti della Comunicazione, il Foro Romano Digitale, Matrix-Brain Workers’ Network e The Thing Roma, hanno volontariamente abbandonato la Rete Civica Romana – Rcr – impoverendola ulteriormente. www.forteprenestino.net/RCR

Nel frattempo il gruppo Avana, insieme agli altri hacklab, ha dato il suo generoso contributo alla preparazione degli hackmeeting e, con gli occupanti del centro sociale Forte Prenestino, ha ospitato l’hackmeeting 2000 nei 13 ettari del centro cablati per l’occasione come parte del progetto Cybersyn II. www.forteprenestino.net/cybersyn2

Uno dei risultati di questa intensa attività di diffusione della conoscenza informatica, rigorosamente no-profit, è stata la formazione di figure lavorative non ancora preparate dal mercato o dalla scuola. Molti dei corsisti di Avana sono diventati web-designer, sistemisti di rete, gestori di reti satellitali, formatori a tempo pieno o programmatori, che hanno creato le loro proprie società e che adesso scrivono educationals e programmi free e open source. Ma non rinunciano a socializzare conoscenza e saperi in un posto come un centro sociale occupato. Con Jet-Net AvANA torna alle origini. Dopo la lunga esperienza con reti e computers nel solco della pratica hacker, il gruppo telematico del centro sociale punta diritto alla «formazione all’uso di Linux e degli applicativi necessari a vivere felici senza Winzozz e Microsoft Pork». In agenda però ci sono pure i temi caldi della società digitale: la privacy e le tecnologie di controllo sociale, l’identità elettronica e il nomadismo in rete, l’accessibilità e l’usabilità dei siti web, la teoria degli ipertesti. Se i temi dei seminari sono comunque legati alla democrazia elettronica, l’accesso all’informazione e ai suoi strumenti è considerato dagli attivisti un prerequisito inscindibile dell’esercizio della cittadinanza, e lo sforzo è sempre quello di «essere una fabbrica sociale di idee orientata a rompere i meccanismi di esclusione che, per lo stretto rapporto che lega sapere e lavoro, lavoro e diritti, si trasformano in un potente mezzo di controllo sociale». Il progetto Forthnet, l’infrastruttura di rete che connette i computer del Forte, è stato infatti pensato per favorire l’accesso gratuito a Internet a tutti i visitatori del centro sociale che dalle postazioni informatiche possono fare editing di testi, spedire posta, navigare sulla rete e telelavorare, il tutto con software libero. Insomma un modo concreto per colmare il digital divide della periferia metropolitana.

http://avana.forteprenestino.net

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