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Hacktivism. La libertà nelle maglie della rete

 

di A. Di Corinto e T.Tozzi

 

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1.1.1.Contro ogni barriera, per la libera circolazione del sapere

Alla base dell’etica hacker c’è da sempre la convinzione che l’accesso a una informazione libera e plurale possa migliorare la vita delle persone rendendole autosufficienti nella ricerca e nella verifica dei fatti e delle informazioni, e quindi libere di formarsi un proprio giudizio su cui basare scelte e decisioni. Perciò i primi hackers consideravano l’accesso illimitato all’informazione un diritto umano basilare e inalienabile e ritenevano i computer e le reti telematiche gli strumenti più adatti per realizzare questo orizzonte di libertà.

Questa storia inizia alla fine degli anni 50 al Mit (vedi il paragrafo Tutta la tecnologia al popolo. Antiautoritarismo e decentramento al Mit), il Massachussets Institute of Technology di Boston, per svilupparsi in maniera non lineare e felicemente caotica secondo molteplici linee di fuga. Però è dalla cellula tecnica del Tech Model Railroad Club, nata all’interno della celebre università del Massachussets, che emergono i giovani talenti che si fregeranno per primi del titolo di hackers: erano quelli che sapevano «mettere le mani sopra» all’intricata matrice di fili e di relais che faceva correre i trenini del Club. Quello che accadde è che dopo i trenini quei talenti si appassionarono alla programmazione dei computer, collaborarono alla realizzazione dei primi corsi di informatica della stessa Università e cominciarono a sperimentare tutte le scorciatoie possibili per ottimizzare la limitata capacità di elaborazione dei primi computers, ampliarne le funzioni e risparmiare lavoro agli operatori umani.1

Contemporaneamente gli hackers iniziarono a sperimentare le potenzialità creative del mezzo – scrivendo i primi software musicali e i primi videogiochi – e subito pensarono di utilizzare i computer per comunicare fra di loro attraverso la posta elettronica, e anche a programmare i computer per telefonare senza pagare.

Siamo solo agli inizi di una modalità di programmazione collettiva che trionferà negli anni novanta e che ancora si esprime in una genuina attitudine ad imparare insieme. Il termine hacker sarà successivamente utilizzato per indicare coloro i quali, nell’approccio alle tecnologie, manifestavano una forte innovazione, virtuosismo tecnico e uno stile finalizzati a migliorare il rendimento delle macchine informatiche, per facilitare l’interazione fra l’operatore e i programmi in esse contenuti e, conseguentemente, sia la condivisione del sapere così acquisito che la sua accumulazione cooperativa.

Da allora molte cose sono successe. L’ansia creativa dei primi hackers ha incontrato le parole ribelli della contestazione studentesca e lo spirito imprenditoriale di giovani come Jobs e Wozniack che, lavorando in un garage, ci lasceranno in eredità i primi personal computers da assemblare in casa. La diffusione nelle scuole e nelle aziende di strumenti pensati per scrivere, disegnare, fare di conto, meglio e più velocemente, ha visto i computers diventare icone del nostro tempo. Ma la commercializzazione di macchine informatiche utilizzabili senza avere una conoscenza da programmatore di software ha favorito una retorica mediatica che ha dipinto gli hackers come segreti officianti di una tecnologia esoterica e pericolosa. Sono gli stessi media che parlano degli hackers come di pirati informatici o di ragazzini teppisti che si intrufolano nei sistemi protetti delle banche, delle aziende e delle istituzioni per danneggiarli o trarne profitto. Però, con buona pace dei giornalisti male informati e dei colonnelli della guardia di finanza, le cose stanno diversamente.

Coloro che compiono quelle azioni sono definiti dagli stessi hackers in un altro modo: crackers, lamers, eccetera. In realtà noi preferiamo definirli semplicimente criminali informatici, per rivendicare un uso del termine hacker e dei suoi derivati in riferimento a tutti quelli che manifestano una forte attitudine all’uso creativo, cooperativo, sociale e ludico di strumenti che usiamo ogni giorno per lavorare, informarci e divertirci: i computer.

Gli hacker sono coloro che rivendicano un uso del computer come strumento di liberazione e di cambiamento sociale.

 

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