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Prometeo non abita su Internet
Il software libero, il diritto d'autore,
l'attivismo digitale e le nuove norme restrittive della comunicazione
on-line dopo l'11 settembre. Questi i temi della prima "conferenza
italiana sulla legge del cyberspazio" tenuta a Bologna
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testo dell'articolo
Sabato primo dicembre i Linux User
Group (Lug) di venti città italiane hanno festeggiato il Linux
Day proposto dalla Italian Linux Society (www.linux.it). Insieme a loro,
gruppi della telematica amatoriale, centri sociali e alcune associazioni
di settore hanno celebrato la giornata del software libero e della libera
scienza per dire che un altro mondo è preferibile alla mercificazione
della conoscenza.
Non ci voleva Linux per capire che la produzione di strumenti e oggetti
tecnici, di artefatti cognitivi, può seguire logiche diverse e
opposte a quelle del mercato, ma questo sistema operativo rappresenta
un esempio paradigmatico di quella economia della reciprocità,
della gratuità e del dono, che è spesso il vero vettore
dell'innnovazione. Almeno fino a quando qualcuno non ci mette sopra il
suo copyright. Linux, infatti, è figlio di quella curiosità
intellettuale, della voglia di fare insieme e di condividere problemi
e soluzioni proprie della cultura hacker. La stessa che ci ha dato Internet,
il World Wide Web, Usenet e la maggior parte dei programmi per computer
che non si acquistano online e neppure nei negozi di informatica.
Anche gli avvocati se ne sono accorti, e sono stati "obbligati"
a parlarne alla prima Conferenza italiana sulla legge e il cyberspazio
- www.iclc.org -, promossa dalla "Rivista Scientifica Ciberspazio
e Diritto" e dall'associazione Net-Jus, proprio per la portata dirompente
che il software libero rappresenta per il diritto di proprietà.
Certo gli avvocati che lì si sono incontrati - uomini e donne,
molti giovani e curiosi - esprimevano un interesse legato più alla
presunta redditività di un settore, quello delle controversie legate
alle transazioni on-line o all'appropriazione dei nomi a "dominio"
e del diritto d'autore nell'era della riproducibilità tecnica,
piuttosto che alle questioni etiche che esse implicano.
Però molti dei relatori hanno dato mostra della capacità
di adattarsi all'interlocutore senza rinunciare a focalizzare il discorso
sui limiti della rivoluzione digitale e sulle opportunità che essa
apre in settori come la ricerca scientifica, la pubblica amministrazione
e l'impresa virtuale, in termini di crescita culturale, autogoverno dei
processi decisionali e tutela del consumatore.
Tuttavia, molto si è parlato di diritto societario e poco dei diritti
dei singoli, ancor meno del ruolo degli avvocati come garanti delle libertà
individuali, in primiis il diritto all'informazione, un diritto che dovrebbe
essere sovraordinato alle esigenze del profitto. Un'occasione gravemente
mancata in un momento in cui sarebbe necessario ridiscutere le regole
del gioco piuttosto che limitarsi a interpretare le leggi secondo un approccio
fortemente subordinato alla giurisprudenza anglosassone e alla situazione
di crisi determinata dalle nuovi minacce del terrorismo globale, che ha
prodotto ulteriori restrizioni delle libertà individuali e collettive.
Com'era da aspettarsi la parte del leone l'ha fatta Richard Stallman,
l'informatico americano fondatore della Free Software Foundation e animatore
del progetto Gnu (www.fsf.org). In due ore di "free speech"
Stallman ha ribaltato tutta una serie di luoghi comuni a proposito del
software libero, parlando di libertà, coscienza e responsabilità
dei produttori/utilizzatori delle tecnologie dell'informazione, di fatto
ipotecando la discussione della sessione su "Linux, open source e
diritto".
E qui occorre fare chiarezza sui termini.
Open Source sono i programmi di cui è possibile leggere il codice
sorgente, cioè il linguaggio di programmazione usato per creare
il file manipolabile dall'utente. Altra cosa dal software libero che invece
non solo te lo fa "vedere", ma ti permette di copiarlo, modificarlo
e distribuirlo con le eventuali modifiche apportategli e con il solo vincolo
di dare al successivo "possessore" del software le stesse "libertà"
con cui gli è giunto. "Software Libero" quindi non significa
gratuito ma si riferisce appunto alle libertà citate e a qualcosa
di più, cioè alla libertà di operare per il bene
della collettività e l'avanzamento delle conoscenze, seguendo strade
diverse da quelle della burocrazia, dell'autorità e del mercato.
D'altra parte Linux è il termine generico con cui è divenuto
noto il software libero considerato alternativo al sistema operativo proprietario
Microsoft Windows. Un sistema operativo è il programma che rende
i computer qualcosa di più di un ammasso di ferraglia perché
gestisce tutte le sue parti, i programmi applicativi e l'interazione dell'uomo
con la macchina.
Un sistema operativo è fatto di tanti moduli e, nel caso di Linux
sappiamo che la maggior parte di essi nasce e si diffonde gratutitamente
ben prima che Linus Torvalds ne scriva il kernel che gestisce l'unità
di calcolo e la memoria centrale. Il "kernel" è la parte
più importante del sistema operativo, ma provate a usare un computer
che abbia solo il "kernel" e vedete che succede. Semplicemente
è inusabile.
Per questi motivi Stallman, con l'usuale vis polemica, ci ricorda che
esiste una notevole differenza fra il movimento open source e quello del
free software, e che l'opera di sciacallaggio delle aziende di software
che lucrano sulla confusione di quelle definizioni serve loro per risparmiare
sulla necessaria ricerca e sviluppo di nuovo software - in questo caso
lo fanno gratuitamente altri - e creare una nuova nicchia di mercato per
vendere pacchetti di programmi composti da software sottoposti al diritto
proprietario e "free software".
Questa digressione ci aiuta a dire due cose. La prima è che il
finlandese Linus Torvalds non è il creatore di Linux, quanto il
co-autore, insieme a tanti altri che senza alcun compenso, talvolta coi
pochi fondi dell'università pubblica, da trent'anni a questa parte,
condividono l'utopia di una informatica diffusa e popolare secondo i migliori
principi della ricerca scientifica: la sperimentazione distribuita e parallela,
la cooperazione, la condivisione di ogni nuova acquisizione, usando i
criteri della trasparenza e della verifica dei risultati all'interno della
comunità di appartenenza. (Della nascita di Linux e in quanto opera
pubblica si può leggere il libro-intervista allo stesso Linus Torvald
Rivoluzionario per caso, Garzanti editore). Cosa che appare particolarmente
calzante per Linux dato che i suoi stessi utilizzatori ne verificano continuamente
l'adeguatezza, segnalano problemi ed errori, propongono e votano soluzioni.
La seconda è che quando si parla di Linux come "software libero"
ci si riferisce a una particolare licenza d'uso con cui viene distribuito,
la Gpl, General Public License, che ce lo fa nominare correttamente come
Gnu/Linux, dal nome del progetto per cui questa licenza è stata
pensata (www.gnu.org).
Forse non è un caso che a ridosso del "Linux Day" è
stato diffuso il "Manifesto della Associazione delle Scienziate e
degli Scienziati Responsabili" che "in qualità di gestori
dei flussi di informazione attraverso le nuove tecnologie e come produttori
diretti di conoscenza", invitano tutti ad affrontare le questioni
aperte del no-copyright e del "free software", dell'etica e
del ruolo della scienza e dell'importanza della ricerca di base. E' quindi
meglio sottrarsi all'apologia dell'individuo prometeico che porta il fuoco
della conoscenza, perché, come diceva Einstein, "ogni invenzione
è frutto della successione di numerose generazioni creative"
e che per questo appartengono a tutti.
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