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Una risata (on-line) vi seppellirà
"Hacktivism", antagonisti
in piazza e in Rete. L'alleanza tra comunità hacker e movimento
dei movimenti
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testo dell'articolo
Il termine hacktivism deriva dall'unione
delle parole hacking e activism. L'Hacking è la messa in opera
di una particolare attitudine verso le macchine informatiche che presuppone
lo studio dei computer per migliorarne il funzionamento - attraverso la
cooperazione e il libero scambio di informazioni tra i programmatori -
e la condivisione del sapere dando a tutti accesso illimitato alla conoscenza
in essi incorporata. Activism è il termine americano che indica
le forme dell'azione diretta praticate dai movimenti politici di base
(grassroots movements) come isit-in, i cortei, i picchetti.
Alla base dell'etica hacker c'è da sempre la convinzione che l'accesso
a un'informazione libera e plurale possa migliorare la vita delle persone
rendendole autosufficienti nella ricerca e nella verifica delle informazioni,
e quindi libere di formarsi un giudizio su cui basare scelte e decisioni.
E i computer e le reti telematiche sono considerate gli strumenti più
adatti per realizzare questo orizzonte. Per questo i primi hackers del
Mit di Boston consideravano l'accesso illimitato all'informazione un diritto
umano basilare e inalienabile.
L'evoluzione delle forme di attivismo che presuppongono un uso efficace
degli strumenti di comunicazione, e in particolare dei computer, ha successivamente
favorito l'adozione di idee, pratiche e tecniche proprie della cultura
hacker da parte dei movimenti ambientalisti, pacifisti, per i diritti
umani e civili. L'unione delle due parole hacking e activism viene così
usata per indicare l'adesione ai principi dell'etica hacker da parte dei
movimenti di base ma anche la crescente caratterizzazione in senso politico
e sociale di quella attitudine che è l'hacking.
Se gli attivisti utilizzano la rete Internet come strumento per l'affermazione
di diritti vecchi e nuovi, la interpretano anche come luogo della critica
radicale che individua nella comunicazione un terreno di conflitto tout
court. E le modalità di azione degli attivisti digitali riflettono
la cultura che ha generato quegli stessi strumenti: l'orizzontalità
della comunicazione e quindi l'assenza di una gerarchia; la condivisione
dei saperi e delle tecniche e quindi il rispetto delle competenze individuali;
il sospetto verso ogni forma di autorità precostituita; la cooperazione
finalizzata a un obiettivo di libertà; la decisionalità
condivisa nel perseguire pratiche e obiettivi.
Questa affinità di modi e di intenti ha portato negli anni a un'alleanza
informale, se non a una vera propria commistione, fra le comunità
degli hackers e degli attivisti politici che si concretizza nel supporto
che gli hackers danno ai movimenti di base attraverso la scrittura del
codice per realizzare software, protocolli e sistemi di comunicazione
economici, stabili, a prova di censura e sicuri da controlli indesiderati
(www.autistici.org).Ma anche attraverso la formazione all'uso di quegli
stessi strumenti e la realizzazione di infrastrutture di comunicazione
a livello locale - nelle scuole, nei centri sociali, nelle radio libere,
nei circoli associativi - per consentire a tutti di scambiarsi informazioni
e opinioni e comunicare il proprio punto di vista sul mondo. Un ottimo
esempio di questa attitudine è stata la creazione del software
per la pubblicazione in tempo reale di materiali testuali, audio e video,
sui siti dell'Indipendent Media Center www.indymedia.org la cui sezione
italiana sarà sicuramente nei giorni del G8 uno dei punti di riferimento
dei contestatori del summit (www.italy.indymedia.org).
Attivisti e hacker cooperano insieme non solo nella realizzazione di strumenti
per un'informazione indipendente, "dal basso", ma anche per
portare la protesta nel cyberspazio attraverso campagne di informazione,
azioni di boicottaggio e disobbedienza civile elettronica, sincronizzandole
con le iniziative di piazza. Un esempio interessante viene dagli attivisti
newyorkesi che hanno chiesto la collaborazione di militanti col computer
per contestare il nuovo accordo sul libero commercio fra Nord e Sud America,
il famigerato "Free Trade Agreement of Americas" (Ftaa), usando
una particolare strategia: scrivere un software attraverso cui era possibile
disturbare il funzionamento dei web server delle aziende e dei governi
promotori semplicemente disegnando su una pagina web bianca. Cioè
divertendosi e facendo partecipare alla protesta anche chi non poteva
esservi fisicamente presente (http://thehacktivist.com/a20/). Ma ci sono
anche altri esempi di come fare critica radicale. Sul sito inglese www.urban75.com
è possibile divertirsi a infrangere i loghi delle grandi marche,
i simboli della globalizzazione economica e dello sfruttamento del lavoro
e del pianeta - Shell, Nike, McDonald's - scrivendo una variante on line
di un vecchio videogame.
La discontinuità metodologica delle pratiche dell'antagonismo in
rete rispetto alle forme di contestazione tradizionalmente attuate nelle
strade e nei luoghi di lavoro sta nelle caratteristiche del mezzo Internet:
orizzontale, globale, multidirezionale, flessibile al punto che anche
un singolo può portarvi i propri contenuti dissidenti e chiedere
al mondo intero di condividerli a dispetto di ogni censura. E' questa
la posizione degli hackers di The Cult of the Dead Cow (www.cultdeadcow.com):
"nell'epoca delle reti di comunicazione globali Internet non può
essere soltanto un mezzo per migliorare la bilancia commerciale degli
stati ricchi, ma deve essere un mezzo per consentire a tutti di migliorare
la propria condizione, perciò esse devono essere accessibili a
tutti". A tale proposito citano l'articolo 19 della Dichiarazione
universale dei diritti umani: "Ogni individuo ha diritto alla libertà
di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato
per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni
e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere." (www.un.org/Overview/rights.html).
E se questo diritto viene negato, dicono, va conquistato. Perciò
stanno realizzando un software (Peekabooty) in grado di superare filtri
e censure e accedere a qualsiasi tipo di informazione. Insomma, l'ansia
di libertà è contagiosa e non ci sono né cure né
vaccini per fermarla.
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