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La rete sotto attacco
Il senato Usa pone limiti alla comunicazione
su Internet in nome della lotta al terrorismo
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Qualcuno ha detto che insieme ai
morti, la guerra produce sempre due illustri vittime civili: la verità
e la libertà. E fra le probabili vittime della guerra che il "mondo
occidentale" è pronto a scatenare contro il terrorismo internazionale
ci sono anche le "libertà civili", vittime sacrificali
di una verità per ora soltanto mediatica. E questo già si
vede su Internet. Poiché come sempre, gli avvenimenti socialmente
rilevanti riflettono le proprie conseguenze sulla rete, i segnali di un
giro di vite sulla libertà di comunicazione ci sono tutti. In questi
giorni infatti, proprio gli attacchi terroristici contro il World Trade
Center e il Pentagono vengono usati strumentalmente per giustificare nuove
proposte di limitazione della privacy e della riservatezza delle comunicazioni
su Internet al punto da far dire a uno dei commissari dell'"Autorità
garante delle telecomunicazioni" Alessandro Luciano che "la
sicurezza in rete passa anche attraverso la possibilità di identificare
gli utenti, perché l'accesso anonimo può seriamente ostacolare
la possibilità di perseguire i criminali. Internet non è
un ghetto dove le regole della società non si applicano. La richiesta
di restrizione di alcuni diritti fondamentali è giustificata e
resa necessaria da obiettivi di pubblica sicurezza".
Evidentemente anche lui è vittima dell'ansia di sicurezza che circola
nelle società europea e in quella americana, alimentata dal timore
che gli autori degli attacchi a New York e Washington abbiano usato Internet
per preparare gli attentati. Ma l'alto dirigente italiano non è
il solo a proporre regole restrittive della comunicazione in rete per
favorire la sicurezza nazionale. C'è, infatti, chi le ha già
approvate. Dopo l'11 settembre il senato americano ha approvato il Combacting
Terrorism Act 2001, che permetterà agli agenti dell'Fbi di spiare
gli utenti di Internet, senza l'autorizzazione dei giudici. Un provvedimento
preso sull'onda dell'emozione ma che ha trovato terreno fertile vista
l'insistenza con cui negli anni scorsi gli apparati di sicurezza americana
hanno gonfiato i pericoli legati ad Internet per ottenere più poteri
di sorveglianza e maggiori finanziamenti. La spallata finale è
arrivata dalla banale osservazione del direttore dell'Fbi Louis Freeh
che, in una audizione al senato americano, ha sostenuto che "Hezbollah,
Hamas, Abu Nidal e la Qàida di Bin Laden usano l'informatica, le
e-mail e la crittazione a supporto delle loro operazioni". Si capisce
quindi perchè il primo prodotto di questa isteria da controllo
è che gli i fornitori di accesso alla rete, gli Internet service
providers, hanno messo da parte le storiche resistenze nei confronti dell'ingerenza
della polizia e hanno cominciato a collaborare con l'Fbi per monitorare
il traffico Internet usando il sistema Carnivore, un strumento messo a
punto dalla polizia federale in grado di copiare tutto il traffico internet,
web, chat, e-mail che transita attraverso le loro macchine. Il magazine
telematico Newsweek-Web riporta inoltre che il servizio di posta gratuito
Hotmail ha ricevuto le attenzioni dei federali che hanno richiesto e ottenuto
informazioni su specifici accounts, molti dei quali cominciano con la
parola 'Allah' e contengono messaggi in arabo.
Tuttavia, poiché è possibile eludere qualsiasi programma
di intercettazione criptando le informazioni critiche, vengono proposte
ulteriori restrizioni sui programmi di crittazione dei dati che permettono
a qualsiasi privato cittadino di celare le proprie comunicazioni ad occhi
e orecchi indiscreti, senza per questo essere un terrorista o amico di
terroristi. A sostegno della necessità di tali restrizioni c'è,
ancora una volta, la certezza dichiarata dagli agenti federali americani
che Osama Bin Laden è un appassionato di Internet e che usa programmi
crittografici e steganografici per coordinare le attività dei gruppi
integralisti che a lui fanno riferimento. Già questa affermazione
potrebbe essere il grimaldello per giustificare la revisione delle regole
per l'utilizzo e l'esportazione di tecnologie di crittazione, oggetto
di una lunga contesa fra l'Unione europea, che le considera utili alla
privacy dei propri cittadini - soprattutto dopo aver riconosciuto in Echelon
un apparato utile allo spionaggio industriale dei paesi ex-Commonwealth
-, e l'amministrazione americana che le ha sempre considerate armi da
guerra e solo dietro alle pressioni del mercato ne ha accettato la diffusione
commerciale.
Sono tutti segnali che sembrano preludere a un ulteriore controllo poliziesco
della rete, tentativo precedentemente fallito grazie alla mobilitazione
delle associazioni per le libertà civili. Eppure si tratta di iniziative
su cui gli stessi esperti della Nsa (National Security Agency), esprimono
forti dubbi. Infatti, chi vuole rimanere anonimo sulla rete usa i web
anonymizer - o i protocolli di comunicazione sicura ssh e ssl (secure
shell, secure socket layer) - mentre chi vuole scambiarsi messaggi senza
farsi riconoscere può farlo usando gli anonymous remailers. Due
strumenti che sono usati rispettivamente da chi non vuole farsi spiare
durante la navigazione web - per proteggere, ad esempio, preziose informazioni
commerciali - e da chi non vuole essere associato al contenuto dei suoi
messaggi. E' il caso di chi vuole denunciare un fatto di mafia, uno stupro
o un abuso senza subire rappresaglie. Mentre chi vuole essere sicuro che
i propri messaggi vengano letti da un preciso destinatario e solo da quello,
per proteggere dati sensibili come le informazioni personali sulla salute,
il credo religioso o l'orientamento politico, usa i software di cifratura
in codice come il Pgp.
Ma, poiché tutti i software di crittografia pensati per tutelare
la privacy possono essere usati anche da chi vuole commettere reati, la
polizia federale statunitense proprone una restrizione sulla produzione
di tecnologie crittografiche e, vecchia mania, l'installazione di una
backdoor governativa, cioè una "finestra" sugli stessi
programmi di crittografia per controllarne l'uso. Un rimedio peggiore
del male perché la maggior parte delle tecnologie di crittazione
(e decrittazione) vengono prodotte al di fuori del controllo del Congresso
americano, spesso all'estero, e l'idea di limitarne l'esportazione e quella
di inserire backdoor governative nei sistemi di cifratura scoraggerebbe
di fatto il suo uso e ne ridurrebbe il mercato, con ovvi effetti sulla
ricerca e la commercializzazione di queste tecnologie presso il grande
pubblico, favorendo nazioni e gruppi indifferenti a tali restrizioni.
La crisi della ricerca applicata che ne deriverebbe potrebbe essere un
autogol in un'epoca in cui la crittografia viene usata per garantire la
sicurezza delle infrastrutture nelle cyberguerre, o nelle comunicazioni
tra le forze di polizia e il general public, visto che la polizia stessa
ha incoraggiato l'uso della crittografia a fini delatori per proteggere
la raccolta pubblica, via web, di informazioni su violenze, rapimenti
e sparizioni.
Le tecnologie di crittazione vengono inoltre utilizzate per gli scambi
finanziari e commerciali, cioè per pagare un bonifico via Internet,
giocare in borsa o visualizzare il saldo del conto in banca dal proprio
Pc. Una restrizione nell'uso della crittografia danneggerebbe quindi le
attività economiche legate al suo utilizzo. Fatto ancora più
grave sarebbe lasciare intendere che tramite le backdoor ogni nostra comunicazione
può essere monitorata, perchè fa temere una ingerenza indebita
da parte di apparati statali che non hanno automaticamente la fiducia
dei cittadini, con l'effetto di indurre l'autocensura e il conformismo
preventivo.
Da qui la tesi più ragionevole secondo cui l'uso potenziale della
crittografia da parte dei terroristi va contrastato con la creazione di
codici di decrittazione e operazioni mirate di intelligence utilizzando
altri dati per individuare i sospetti e solo allora avviare un attacco
brute force per rompere il codice di crittazione eventualmente usato.
Chi sostiene queste tesi fa leva su un'opinione largamente diffusa secondo
cui la debacle dei sistemi di sicurezza statunitensi è da imputare
al "fattore umano", cioè al mancato coordinamento tra
gli stessi servizi di sicurezza e al fatto che è possibile che
i terroristi non abbiano assolutamente usato l'alta tecnologia per coordinare
le loro azioni. Un'idea avallata dallo stesso Bush padre che ha detto:
"la Cia fa troppo affidamento su Internet, microspie e satelliti".
E se lo dice lui che è stato direttore della famosa agenzia, ci
sarà pure da credergli.
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