"L'impegno per Napoli" (da "Il manifesto" del 12/08/01)Fausto Bertinotti: Napoli non sia Genova. E' in gioco "l'incontro tra movimento e nuova forza-lavoro". Vittorio Agnoletto: no al terrorismo, "quella bomba è contro di noi. Dobbiamo difendere la democrazia"di BENEDETTO VECCHI E' un movimento di lunga durata non un'iscrespatura". Fausto Bertinotti apre così la sua riflessione sul presente e il futuro del "movimento dei movimenti". Le sue sono parole calibrate. Interrogano e s'interrogano sulla posta in gioco - la crisi della democrazia e la crescita del movimento - accettando quella "pratica della relazione" che vede un partito come Rifondazione comunista come una componente al pari delle altre di quetso movimento.L'attentato al tribunale di Venezia ha aperto il vaso di pandora delle interpretazioni su chi possano essere i responsabili. Il "clima" non è certo dei migliori....L'attentato di Venezia è un attacco a questo movimento. Non voglio però ignorare il tono dominante nella discussione pubblica incentrata su un presunto ritorno agli "anni di piombo". Si parte dalle supposte violenze dei manifestanti a Genova per poi giungere alla bomba di Venezia. Questi sono i fatti che vengono collegati e che creano un clima per la soluzione bipartisan nelle gestione dell'ordine pubblico. Una soluzione pericolosa che evidenzia l'eclisse dell'opposizione di centrosinistra in parlamento.I prossimi appuntamenti di questo movimento sono il vertice della Nato a Napoli, la marcia Perugia-Assisi e la conferenza della Fao a Roma. Per quanto riguarda Napoli, sembra di vedere all'opera un meccanismo mediatico che riproduce lo scenario di scontro di Genova.Il movimento ha di fronte a sé molti problemi, tra cui quello dell'agibilità e della sua crescita. Non bisogna slittare dalla richiesta che il vertice non si faccia al suo impedimento. Questo movimento, lo dico come dirigente di un partito che è una componente del movimento al pari delle altre, deve puntare alla cura di sé. Deve cioè evitare la logica dello scontro e puntare a crescere, ad allargare la sua capacità di iniziativa e di potere nella società. Per quanto riguarda Rifondazione comunista, noi ci adopereremo, anzi impegneremo il partito affinché il vertice sia annullato. E se questo non accadrà, andremo a Napoli affinché non si riproduca lo scenario genovese. Vecchi Benedetto Nei gruppi, associazioni, sindacati di base che si sono riconosciuti nell'esperienza del Genoa Social forum si è aperta una discussione carsica, spesso caotica. Alcuni parlano e scrivono di fine della disobbedienza civile, altri sostengono che il "movimento deve radicarsi nei territori". Tu che ne pensi? Bertinotti Fausto Il tema è indubbiamente la continuità e lo sviluppo del movimento. Da parte mia, ritengo che porsi il tema dello sviluppo e della crescita del movimento significa partire da cosa è questa "cosa". Prendiamo le definizioni con le quali è stata qualificata: i popoli di Seattle, oppure la fortunata formula di "movimento dei movimenti". Espressioni che entrambe alludono a una molteplicità di soggettività e un milieu di culture critiche che hanno come elemento comune la critica a questa globalizzazione neoliberale.Un altro aspetto per me importante è la sua caratteristica generazionale. Verrebbe da dire che rappresenta la scesa in campo di una generazione cresciuta dentro "la rivoluzione capitalistica" e che fa i conti con la materialità della globalizzazione neoliberale. Un piccolo inciso. Anche io sono rimasto colpito dalle manifestazioni dei metalmeccanici: stesso look, stessi comportamenti che ho potuto vedere a Genova. Infine, è una realtà contestativa. Ma non è un'increspatura, né un'onda, ma una risposta profonda a una "rivoluzione capitalistica" che ha agito in profondità. Vecchi Benedetto Veniamo alla proposta di estendere l'esperienza dei "social forum" nelle città. Qual è il tuo giudizio? Bertinotti Fausto Mi trova d'accordo. Ma a patto che non vengano intesi solo come un coordinamento tra le diversi componenti. Io li intendo come un laboratorio di ricerca e di discussione e di proposta politica alla stessa stregua di un "intellettuale collettivo". Non però mortificando le differenze e la pluralità delle culture e delle soggettività critiche nei confronti della globalizzazione neoliberale, anzi valorizzandole. Qui la pratica della relazione deve precedere la teoria. Vecchi Benedetto E' evidente la dimensione transnazionale del movimento. Non credi che il movimento sia mondiale perché risponde a tentativi di un governo mondiale del processo di accumulazione capitalista? Bertinotti Fausto Sono d'accordo, il punto di partenza è il processo che tende a un governo mondiale della globalizzazione economica, un terreno sul quale il movimento è "costretto" a misurarsi. In altri termini, la democrazia rappresentativa, cioè la cornice novecentesca su cui si è inscritto lo sviluppo capitalistico, viene progressivamente svuotata e sostituita da organismi imperiali capaci di esercitare delle funzioni "tecniche", la cui legittimazione deriva dalla loro specializzazione "tecnica". Una sorta di divisione del lavoro in base alla quale chi si occupa della guerra è la Nato, sulla moneta invece interviene la Banca mondiale, mentre il Wto definisce le regole del commercio internazionale. A questo svuotamento della democrazia rappresentativa, il movimento oppone un'idea di democrazia diretta. Certo è, però, che questo ordine di problemi non è ancora elaborato compiutamente.I "nuovi" metalmeccanici sono cresciuti all'interno di un terremoto che ha cambiato radicalmente la fabbrica. Allo stesso tempo, la generazione che partecipa al movimento è cresciuta nello stesso terremoto. Forse è in questa esperienza diretta della globalizzazione neoliberale che vanno ricercati gli elementi in comune.La saldatura tra questi due mondi non è uno dei problemi all'ordine del giorno del dopo Genova. A me sembra il problema. Va sicuramente rifiutata un'idea miope di alleanza, cioè di somma di componenti diverse. Propongo quindi un'altra immagine dall'alleanza, l'idea cioè delle giunture. C'è infatti un tessuto connettivo che è quello più sconnesso. Mi riferisco al lavoro precario, cioè a quella condizione a cui tutti sono condannati e che che può rappresentare la giuntura tra i due mondi. Mi spiego meglio: in passato, la precarietà ci ha portato ad affrontare nodi analitici, teorici e politici difficili da sciogliere. Piccoli passi sono stati fatti anche prima di Genova. Partiamo dall'elaborazione, cioè dalla proposte di salario sociale o di salario minimo garantito. Nel recente passato erano viste come strumenti per far incontrare, qualcuno sosteneva, vecchio e nuovo proletariato. Sono convinto che quella discussione ritorni con forza negli scenari del dopo Genova. Qui non va fatta nessuna forzatura. E tuttavia sono convinto che ci troviamo di fronte alla formazione di figure sociali che potremmo definire proletarie nel senso che Walter Benjamin ha dato a quel termine, cioè come soggettività sociali segnate da una negazione. Se poi le rapportiamo alla dimensione generazionale, potremmo allargare il cono di luce sul rapporto tra vita e lavoro, cioè su quel terreno che potrebbe offrire l'occasione di una giuntura tra questo movimento e la nuova forza-lavoro.C'è chi sostiene, soprattutto i Cobas, che nell'autunno il welfare sarà terreno di conflitto: la scuola come azienda, la salute come merce, il prevedibile attacco alle pensioni, sono solo alcuni tasselli di un puzzle chiamato stato-nazione, cioè lo spazio politico in cui questo movimento sarà costretto a muoversi.Risponderei con un "si ma". Oggi la cornice nazionale è utlizzata per demolire il sistema di garanzie sociali che ha caratterizzato lo stato-nazione nel Novecento. L'attacco è al carattere progressivo che hanno avuto i diritti sociali di cittadinanza. Anche il '68 chiedeva, tra le altre cose, nuovo welfare state, perché lo intendeva come sottrazione alla mercificazione del capitalismo. Penso al servizio sanitario, alle 150 ore. Ora l'ordine mondiale non prevede la mediazione insita nel carattere universalistico del welfare. D'accordo quindi sulla loro lettura, ma solo se teniamo sempre in mente le interdipendenze in cui è inserito lo stato-nazione.
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