da "il manifesto" del 25 Gennaio 2003 Il Wto
a Cancun? Non s'ha da fare Porto Alegre lancia la sfida all'Organizzazione
mondiale del commercio: «Quel vertice non comincerà nemmeno»
De-global. Analisi pacate degli economisti, toni accesi dei sindacati.
Gli americani della Afl-Cio: «Anche noi siamo contro il Nafta
e l'Alca» BENEDETTO VECCHI, Con toni pacati, i relatori dell'incontro
dedicato al ruolo del Wto nell'economia mondiale hanno tutti detto che
il prossimo incontro dell'Organizzazione mondiale del commercio non
s'ha da fare, perché l'ordine del giorno - l'inizio dei negoziati
sui Gats (General agreement trade of services, cioè gli accordi
generali sul commercio dei servizi) - rappresenta un colpo mortale all'umanità
intera. In un prato aggiustato alla bella meglio per il World social
forum e sotto una tenda che contiene più di cinquemila persone,
sei rappresentanti di associazioni, network, sindacati hanno così
esplicitato uno dei prossimi obiettivi del «movimento dei movimenti»,
bloccare i lavori del prossimo incontro del Wto previsto in autunno
a Cancun. E lo hanno fatto con discorsi che concedevano poco alla retorica,
ma molto di più all'analisi puntuale, quasi da lezione universitaria
sul ruolo del Wto nell'economia mondiale, o per dirla con il rappresentante
brasiliano su come l'Organizzazione del commercio mondiale fa «diventare
i ricchi sempre più ricchi». A introdurre i lavori l'economista
di origine filippina Walden Bello, il quale ha solo sottolineato che
la discussione sull'operato della «santa trinità»
che governa l'economia mondiale - Wto, Fmi e Banca mondiale - coinvolga
sempre di più non solo gli attivisti del «movimento dei
movimenti», ma gran parte della società civile, partendo
da quanto hanno già «messo in campo teoricamente e politicamente
i gruppi e le reti sociali che si battono contro la globalizzazione
neoliberale, ma anche registrando quei tentativi di riforma del Wto,
Fmi e Banca mondiale come operazioni che tendono a rendere eterni i
meccanismi attuali dell'economia mondiale». E tuttavia per far
crescere il consenso attorno agli obiettivi del «movimento contro
la globalizzazione neoliberale - ha concluso l'introduzione Bello -
bisogna essere chiari nelle alternative che si propongono al Wto».
Un tema, questo, caro all'economista filippino, che con la sua proposta
sulla «deglobalizzazione» ha attirato le critiche di molti
apologeti del Washington consensus, che lo hanno accusato di voler far
tornare indietro le lancette della storia, tornando allo status quo
ante dell'apertura dei mercati.Ma ieri a Porto Alegre è toccato
ad un altro studioso, anch'egli economista, spiegare cosa è la
«deglobalizzazione». Il suo nome è il malese Martin
Khor, conosciuto in Asia, ma anche negli Stati uniti per i suoi libri
di analisi sul ruolo che la difesa della proprietà intellettuale
svolge nello sviluppo capitalista. «A Cancun, il Wto chiama i
paesi membri a discutere di come avviare i negoziati sui Gats, cioè
sulla privatizzazione e liberalizzazione dei servizi, un termine tanto
generico che i ricercatori dell'Organizzazione mondiale del commercio
si sono presi il compito di specificare molto bene: oltre alla sanità,
c'è l'energia, l'educazione, la produzione di audiovisivi, la
distribuzione delle merci. Ma l'elenco è tanto lungo che il capitolo
dei Gats occupa molte pagine degli accordi sul libero commercio. Il
Wto vuole fare una semplice cosa: mettere regole e norme a favore dell'economia
di mercato a tutta la vita sociale».Il ragionamento di Khor è
stringente, perché descrive la «politicizzazione dell'economia»,
ma non nel senso che auspica il «movimento dei movimenti».
In questo caso l'indirizzo politico crea le condizioni giuridiche per
l'affermarsi del libero mercato e non interviene ad attenuare le diseguaglianze
della società capitalista, come è accaduto con il welfare
state. La necessità di una inversione di rotta è sostenuto
anche dalla senegalese Muthoni Muriu, che ha ricordato un principio
definito dal Wto a Doha, cioè quando l'organizzazione mondiale
del commercio emendò i trattati sulla proprietà intellettuale,
riconoscendo che uno stato nazionale poteva disattenderli se era in
gioco una questione di salute pubblica. «Quell'emendamento fu
introdotto dopo che il Sudafrica aveva violato le norme sui brevetti
relativi ad alcuni medicinali di cura all'Aids. Fu una nostra vittoria,
perché da dieci anni chiediamo e ci battiamo contro i diversi
governi nazionali africani di farlo. Il Wto è stato costretto
dall'azione del Sudafrica, ma anche dalle minacce di tanti altri stati
africani e latinoamericani di seguirlo su quella strada. Non ci interessa
quindi sapere se il Wto: sappiamo che quello che fa adesso non va bene.
Per questo dobbiamo preprare bene la mobilitazione contro l'incontro
di Cancun».Al limite dell'oratoria è stato invece l'intervento
di Stanley A. Gracek, del potente sindacato americano Alf-Cio, accusato
spesso di essere protezionista e troppo indulgente in patria verso le
politiche neoliberiste dei vari presidenti che si sono succeduti alla
Casa Bianca. Ma ieri, a Porto Alegre, sembrava di sentire parlare un
sindacalista di trincea, con un continuo intercalare di «compagni
e compagne». Oltre a invocare l'unità della classe operaia
mondiale, il rappresentante dell'Alf-Cio ha detto chiaro e tondo che
il sindacato americano è stato contro il Nafta, è contro
l'Alca - «un cappio per l'America latina e per i lavoratori americani»
- si è detto d'accordo sul bloccare i lavori del Wto a Cancun
e di lavorare affinché la mobilitazione cresca negli Stati uniti.
Obiettivo condiviso anche da Lori Wallach, l'attivista di Public citizen's,
l'associazione di Ralf Nader protaggonista della rivolta di Seattle.
Che ci siano problemi ad organizzare la protesta di Cancun lo ha detto
il rappresentante messicano: il governo di Vicente Fox sta infatti già
da adesso militarizzando la città messicana. Ma di questo si
discuterà nei giorni prossimi durante i workshop dedicati ai
servizi specifici che il Wto vuol sottoporre al libero mercato.
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