La tentazione omologante della globalizzazione e le chance
di libertà nella comunicazione in rete. Parla Derrick de Kerckhove,
direttore del McLuhan Program/"Nel web il singolo ha la duplice
possibilità di fare parte di un gruppo senza perdere la sua identità
e di avere un'identità senza perdere il senso del gruppo"
Personaggio poliedrico e saggista prolifico, Derrick de Kerckhove si
occupa prevalentemente di comunicazione, del suo significato sociale,
e dei condizionamenti della tecnologia nel linguaggio. Allievo di Marshall
McLuhan, è docente nell'università di Toronto, anche se
il suo nome è legato al McLuhan Program, progetto che dirige
da quasi un ventennio. In Italia è conosciuto per i suoi libri
su Internet, da "Brainframes" (Baskerville) a "La civilizzazione
video-cristiana" (Feltrinelli). Tuttavia, negli ultimi dieci anni
i suoi studi hanno cercato di indagare come i "nuovi media"
hanno influito nei processi di apprendimento, nella produzione culturale
- a questo proposito, rimane una lettura propedeutica il volume "La
pelle della cultura" (Costa&Nolan) - e su quella che lui stesso
definisce "intelligenza connettiva", a cui ha dedicato anche
il suo ultimi due libri, "Connected Intelligence" (Sommerville).
In Italia per partecipare all'incontro "Mondo cablato, mercato
globalizzato ma giustizia sociale in aspettativa: una sfida asimmetrica?",
che si è tenuto lo scorso fine settimana a Gemona in Friuli,
non si sottrae alle domande, anche se hanno l'andamento "discreto"
di una serie di zero e uno di un messaggio lanciato nel cyberspazio.
Per De Kerckhove, infatti, Internet consente sempre una "negoziazione"
tra i naviganti del world wide web e rappresenta una straordinaria chance
di libertà di espressione, anche se la realtà con cui
fare i conti è quella della globalizzazione economica e delle
diseguaglianze che si porta dietro.
Vecchi Benedetto:
La globalizzazione sembra una tendenza inarrestabile, ma niente affatto
lineare. Ad esempio, nonostante tutta la retorica che ha accompagnato
questo inizio millennio su un mondo finalmente pacificato dopo le grandi
contrapposizioni ideologiche, la guerra è tornata sulla scena
come strumento di regolazione delle controversie internazionali. Tuttavia,
penso ai Balcani o all'Afghanistan, sembra più una "operazione
di polizia" che rimette in riga i riottosi dell'ordine mondiale
che non una guerra tradizionale, intesa come conflitto tra stati sovrani.
Lei che ne pensa?
Derrik de Kerkhove
E' vero. Ricordo una volta di aver sentito dire al politologo e sociologo
francese Alain Touraine che, dal momento in cui il voto in Florida ha
deciso l'elezione di Bush, siamo entrati in un mondo governato dalla
violenza e dall'opzione militare. Concordo con lui. Va detto però
che in passato le operazioni di polizia internazionale della Cia erano
molto più "forti". La res publica era un'invenzione
romana presa dai greci per indicare uno spazio comune dove genti e popoli
diversi governati tuttavia da un unico paese discutevano della "cosa
pubblica", cioè del loro destino. Ecco, penso che avremmo
bisogno non tanto di una polizia internazionale quanto di un uno spazio
pubblico comune. Inoltre, globalizzazione vuol dire anche superamento
dell'idea di confine naturale (geografico) tra gli stati. Questa assenza
del limite geografico fa sì che la discussione pubblica passi
dal nazionalismo al continentalismo senza soluzione di continuità.
Il nazionalismo rimpiange quel confine, mentre il "continentalismo"
- basti pensare all'Europa o anche agli Stati uniti - consente di cogliere
una vera novità rispetto al passato, indica cioè il passaggio
ad un'altra dimensione in cui politiche e economie nazionali diverse
si mescolano tra loro.
Vecchi Benedetto:
Globalizzazzione ha significato l'aumento delle diseguaglianze sociali.
Tra chi la contesta c'è chi non chiede un ritorno al passato,
ma una globalizzazione dei diritti. Come valuta il movimento antiglobalizzazione?
Derrik de Kerkhove
Non sono d'accordo con tutte le sue posizioni, ma sono d'accordo con
l'idea stessa della sua necessità dal momento che mi sembra indispensabile
l'esistenza di un punto di vista altro sull'ordine economico mondiale.
Spero che questo punto di vista contribuirà alla formazione di
un senso etico più forte, di una responsabilità maggiore
e spingerà verso una maggiore trasparenza all'interno delle grandi
multinazionali. Oggi questo è quanto mai indispensabile. Del
resto, il concetto stesso di sovranità nazionale non può
più essere inteso nel senso tradizionale del termine, dal momento
che ben 52 grandi imprese mondiali hanno un fatturato che è superiore
al prodotto interno lordo di alcuni stati nazionali.
Vecchi Benedetto:
Molti studiosi spiegano la globalizzazione come un salto di qualità
nell'interconnessione tra paesi, culture e economie. Mi sembra che sia
una concezione che ha molte affinità con ciò che lei definisce
"intelligenza connettiva". Può spiegare cosa intende
lei per intelligenza connettiva? Derrik de Kerkhove
L'intelligenza connettiva è un termine che uso per indicare l'impatto
odierno di Internet sul pensiero umano. Allo stesso tempo, è
un concetto che ha radici antiche, pre-verbali, addirittura applicabile
al regno animale, solo che non era riconoscibile come tale. Questo per
dire che le nuove tecnologie, tutte le nuove tecnologie ci danno semplicemente
gli strumenti per analizzare questa condizione dell'essere umano. Siamo
abituati a ritenere che il pensiero appartenga a una dimensione privata,
e questo è il frutto di quel tipo di comunicazione specifico
che è la lettura. Inoltre, il pensiero è considerato come
il risultato di un qualcosa di "interiore", mentre il prendere
la parola è immaginato come un atto individuale. Ma anche il
dialogo fa parte del pensiero. Per questo ritengo che il pensiero sia
un "linguaggio silenzioso", ma che la parola sia una forma
di pensiero connettivo. L'intelligenza connettiva trova un suo naturale
ambito nella connessione web, nella quale però il singolo ha
la duplice possibilità di far parte di un gruppo senza perdere
la sua identità e di avere un'identità senza perdere il
senso del gruppo.
Vorrei però precisare che l'intelligenza connettiva è
differente dall'intelligenza collettiva di cui si scrive quando si affronta
la comunicazione elettronica. In questo caso, l'intelligenza collettiva
è legata a universi a senso unico in cui l'individuo si perde.
L'individuo si perde, infatti, nel discorso televisivo, nel discorso
radiofonico, esattamente come si perdeva nel discorso orale comunitario.
L'intelligenza connettiva riguarda invece la possibilità di condividere
il pensiero, l'intenzione e i progetti espressi da altri.
Vecchi Benedetto
Il caleidoscopio delle identità, dei modi di essere, degli stili
di vita trova in Internet il suo luogo privilegiato. Senza il web sarebbe
difficile parlare di globalizzazione, perché verrebbe meno una
potente, cioè convincente esemplificazione. Ma proprio la rete
sembra smentire gli studiosi che affermano che globalizzazione è
sinonimo di omogeneità. Lei che ne pensa?
Derrik de Kerkhove
Non sono d'accordo con questa interpretazione perché da Internet
non emerge una identità collettiva. Ogni persona che naviga su
Internet ha un indirizzo specifico e trova un suo modo di negoziare
il senso di propri e altrui comportamenti con altre persone. E' vero
invece che senza il web sarebbe difficile parlare di globalizzazione,
perché la globalizzazione non dipende solo dal fatto che il discorso
sia globale ma anche dalla possibilità di rispondere e di comunicare
con il resto del mondo. Uno degli aspetti della globalizzazione è
che non si fonda su un discorso a senso unico, ma sull'interattività.
E' vero quindi che proprio la rete smentisce gli studiosi che sostengono
che il world wide web è sinonimo di omogeneità. Un pericolo
vero di globalizzazione omologatrice derivava dalla televisione o dai
prodotti commerciali sostenuti dal mercato televisivo, come quelli prodotti
da Ford, Ibm, McDonald's. Tutto il mondo del "logo" è
infatti un mondo omologato. Non che questo sia un male in sé:
è infatti una cosa importantissima avere dei riferimenti comuni,
persino dei marchi che diano alla realtà mondiale gli stessi
punti di riferimento al di là delle lingue, culture e condizioni
geografiche diverse. Io penso che la grandezza della cultura americana,
guardata con sospetto in Europa, sia stata l'aver dato la possibilità
di creare un gruppo di riferimenti comuni. Però è anche
vero che se fosse l'unico sistema esistente sarebbe un sistema molto
negativo.
Vecchi Benedetto
Il medium è il messaggio, affermava McLuhan. E Internet che messaggio
lancia?
Derrik de Kerkhove
Internet è il medium di convergenza, vuol dire che è il
medium per eccellenza fra tutti i media supportati dall'elettricità.
Ho sempre sostenuto che la storia del linguaggio umano possa essere
divisa in tre grandi epoche. L'epoca dell'oralità, che potremmo
definire "primitiva". C'è stata poi la scrittura, che
ha consentito un controllo individuale sul linguaggio. Ora siamo nell'epoca
dell'elettricità, che permette un doppio controllo: individuale
e, attraverso l'accesso al linguaggio di gruppo consentito dai media,
anche collettivo. E' importantissimo capire che questi tre periodi hanno
ciascuno un loro tipo di organizzazione mentale, di organizzazione sociale.
Ciò vuol dire che oggi, grazie ad Internet, c'è una forma
di libertà nuova. Il messaggio specifico di Internet è
la connettività, come anche l'interattività, come anche
l'ipertestualità, che dà la possibilità di andare
da un punto ad un altro o di scegliere diverse cose.
Vecchi Benedetto
La caratteristica più rilevante dei nuovi media è però
la priorità dell'immagine rispetto alla parola. Un elemento che
lei ha messo spesso in rilievo nei suoi studi. Accanto a questo lei
sostiene che la preminenza dell'immagine sulla parola ha un qualche
cosa di religioso. Anche la tecnologia e la retorica dello sviluppo
economico ad ogni costo ha un qualche cosa di religioso. Non è
d'accordo?
Derrik de Kerkhove
A proposito di questo io parlo di ritorno del logos in forma elettronica.
Il logos è associato al concetto di creazione: tutti i miti cosmogonici
si basano sul potere creatore della parola: la divinità crea
attraverso il logos. Il dio africano Faro, per esempio, crea attraverso
la sua bocca: la sua parola è una forma di tessitura della realtà.
Molti studiosi, fra cui Jacques Derrida, hanno messo in rilievo come
nella classicità greca il logos svolgesse un ruolo fondamentale
nell'organizzazione della realtà: il logos era magico. Con l'avvento
della scrittura alfabetica però - come ha spiegato molto bene
Marshall McLuhan - si determina una frammentazione del linguaggio. Le
nove muse ispiratrici delle diverse arti incarnano proprio questa frammentazione
del logos. Infatti, c'è la danza, la poesia, la musica: tutte
forme artistiche che, partendo da un processo di astrazione, cercano,
ognuna a loro modo, di fare i conti con questa frammentazione del logos.
Con l'interattività, la virtualità e la connettività
della rete avviene una ricostruzione elettronica del logos, perché
l'elettricità ha provocato una inversione di marcia rispetto
agli effetti prodotti dall'invenzione dell'alfabeto. E' stato come riavvolgere
un nastro.
In questo senso io parlo di "ologeneità" e non omogeneità.
Ologeneità nel senso dell'unità del tutto, dell'insieme,
invece della frammentarietà del passato.
Non ricordo di aver parlato di una connotazione religiosa a proposito
della preminenza dell'immagine sulla parola. Certamente il logos classico
era "religioso", ma nel senso di "creativo", "magico",
"mistico", "gnostico".
Non sono d'accordo sul dare una connotazione religiosa alla tecnologia
e alla retorica dello sviluppo: la tecnologia non è più
o meno religiosa di altre componenti, non è una qualifica che
le si addice specificamente. Anzi, l'invenzione della stampa, per esempio,
ha provocato la rovina dell'unità dei cristiani. Ha creato, con
la lettura "individuale" della Bibbia, il protestantesimo
e tutte le sue ulteriori derivazioni.
Possiamo ipotizzare per il futuro che le nuove tecnologia elettroniche
possano portare a una illusione di "de-secolarizzazione" e
quindi a nuove forme di religiosità come ad esempio il fenomeno
new-age. L'uomo possiede una dimensione spirituale che storicamente
è stata più o meno offuscata dalla scrittura e ora che
la scrittura non è più la forma di organizzazione primaria
del nostro pensiero la spiritualità torna a galla. Che forma
poi prenda questa spiritualità, dipende dal contesto sociale,
storico, politico, e dalle caratteristiche individuali e collettive.
Quando si parla dei kamikaze come forme di estremismo religioso, io
penso che sia semplicistico. Non è detto che tutti i kamikaze
siano necessariamente ispirati da un sentimento religioso: per esempio
ho studiato due o tre casi di donne kamikaze che non erano affatto ispirate
da alcun sentimento religioso, bensì da altre motivazioni molto
più complesse.
Vecchi Benedetto
Internet come regno della libertà di espressione. E' questa la
retorica che ha accompagnato lo sviluppo del Web. Ciò è
vero. Eppure sono anni che, periodicamente, questo o quel governo tenta
di limitare quella libertà, in nome della lotta alla pedofilia,
alla pornografia o per sconfiggere il terrorismo. Ma Internet è
riottosamente resistente a qualsiasi restrizione. Lei che ne pensa?
Derrik de Kerkhove
Ogni burocrazia è ossessionata dall'idea di controllo e utilizza
argomenti quali la pedofilia e la pornografia per esercitare forme di
censura sulla rete, come nel caso del governo cinese, del governo statunitense
o del primo governo Berlusconi (1994). Si tratta di errori enormi e
controproducenti. Per esempio, durante la repressione della rivolta
di piazza Tien An Men è stato impossibile per il governo cinese
bloccare la ricezione dell'incredibile numero di fax di protesta. Per
farlo sarebbe stato necessario fermare l'intero sistema telefonico cinese
il che sarebbe equivalso a un suicidio. Con Internet è lo stesso:
censurare significherebbe instaurare un regime di controllo ossessivo
e assoluto, ma questa sarebbe una degenerazione atroce. Che nemmeno
il governo cinese desidera intraprendere, anzi in Cina il "desiderio
di interconnessione" appare molto forte. Per quanto riguarda l'assurda
scusa della pornografia, io dico che non c'è una percentuale
maggiore di pornografia su internet che nella testa di una qualunque
persona.
Vecchi Benedetto
Il copyright è l'altro fattore che in rete non gode di molti
consensi. Open source, Linux o metodologia "peer to peer"
sono comunque uniti da un rifiuto del copyright. Lei come giudica il
diritto d'autore?
Derrik de Kerkhove
L'invenzione del copyright è di Michelangelo, che dopo aver scolpito
il suo Mosè, vi impresse hoc fecit Michelangelo. È stata
la prima testimonianza di un artista che abbia firmato la propria opera
per affermare il proprio "diritto" d'autore. Il copyright
arriva quindi molto tardi nella storia occidentale: non era presente
per esempio nella cultura latina (quando Virgilio diceva Exegi monumentum
aere perennius non si trattava di una firma ma solo di una forma di
orgoglio per aver creato con la parola una testimonianza più
duratura del bronzo).
Oggi le cose secondo me funzionano perché convivono entrambe
le possibilità: il copyleft (lasciare il libero accesso a tutti)
e il copyright (per difendere la proprietà intellettuale). Il
problema nasce quando il copyright, così come tutte le forme
di controllo statale e imprenditoriale, è troppo rigido. Io sono
d'accordo con coloro che non condannano né il copyright, né
il copyleft e lascia convivere entrambi.
lgxserver.uniba.it/lei/rassegna/020730a.htm -