C'è chi confida ancora nello stato-nazione e chi
nelle «sperimentazioni» del movimento Al Gigantinho «Dobbiamo
pensare all'alternativa non come un modello, ma al risultato di una
discussione pubblica, includente». Applausi per Weisbrot BENEDETTO
VECCHI, Nel Forum sociale mondiale ci sono temi spinosi che fanno emergere
analisi e proposte politiche tra loro diverse. Uno di questi è
il giudizio sulla crisi dell'economia mondiale e le alternative che
«il movimento dei movimenti» deve mettere in campo. Così,
tra gli incontri denominati «del dialogo e delle controversie»
ne era previsto uno che aveva un titolo tanto lungo da ricordare i titoli
dei film della regista Lina Werthmuller: «Siamo di fronte a una
crisi economica e finanziaria: in che cosa consiste la crisi? Quali
alternative esistono?». A fornire le risposte sono stati chiamati
Patrick Viveret della fondazione francese Transversall, l'economista
ugandese Yashapl Tandon, lo statunitense Mark Weisbrot del Fundes Network
on Trade and Globalization, la parlamentare argentina Alicia Castro,
il ministro brasiliano José Dirceu, Eveline Herfekens del coordinamento
di lotta al sottosviluppo dell'Onu. L'unico punto in comune tra i relatori
è la convinzione che il neoliberismo è in crisi, così
come vivono una evidente crisi di legittimazione le sue istituzioni
globali (Wto, Fmi, Banca mondiale). Di alternative condivise però
non c'è stata traccia nell'incontro tenuto al Gigantinho. Si
è andati dal «riformismo forte» del ministro brasiliano,
alla centralità dello stato-nazione nel contrastare il neoliberismo
della deputata argentina, alla denuncia dell'economista ugandese del
rinnovato protagonismo del Fondo monetario nell'imporre «programmi
di aggiustamento strutturale» ai paesi africani, ai timori dell'attivista
francese che la più volte annunciata guerra all'Iraq appiattisca
il «movimento dei movimenti» in difesa di un regime autoritario,
alla convinzione espressa da Mark Weisbrot e Eveline Herfkens che le
alternative vanno cercate nelle mobilitazione nelle sperimentazioni
messe in campo dal «movimento dei movimenti». Eppure, il
coordinatore dell'incontro - Mario Lubertkin dell'Ips - tenuto al Gigantinho
ce l'aveva messa tutta per stanare i relatori da analisi consolatorie
e risposte rassicuranti, ma non sempre è riuscito nel suo intento.
In primo luogo è partito da una domanda spiazzate: siamo proprio
certi ce la crisi dell'economia è dovuta alla superfetazione
del capitale finanziario?Che non sia proprio così semplice lo
ha più volte ribadito nel suo primo intervento l'economista radicale
Mark Weisbrot. La globalizzazione è tale perché l'economia
mondiale è davvero interconnessa: una interconnessione che non
riguarda solo il movimento dei capitali, ma anche il legame tra finanza
e produzione. Parole che hanno fatto ritornare nel palazzo dello sport
di Porto Alegre parole note nel movimento. La produzione si è
diffusa su tutto il globo e non è concentrata in pochi paesi,
ma il controllo su di essa è rimasta nelle mani di poche imprese.
Questo ha provocato una erosione della sovranità nazionale nel
determinare le politiche economiche nazionali, che sono state sempre
più condizionate dal Wto, dai «programmi di aggiustamento
struturale» del Fondo monetario interanzionale e dai programmi
per lo sviluppo della Banca mondiale. Tutto questo ha un nome, ha ricordato
Weisbrot, ed è neoliberismo. Il «movimento contro la globalizzazione
capitalista - ha sostenuto lo studioso statunitense - si è sviluppato
in questa cornice ed è dalla sua azione che si deve ripartire
se si vogliono cercare delle alternative, anche perché la crisi
non significa il crollo di un modello di sviluppo». Semmai, e
qui le due-tremila persone si sono lasciate andare a un lungo e liberatorio
applauso, «dobbiamo pensare all'alternativa non come un modello,
ma al risultato di una discussione pubblica, includente. La guerra -
ha continuato Weisbrot - è usata dagli Stati uniti, ma anche
dall'Europa per mettere ordine nell'economia mondiale. L'intervento
contro l'Iraq può serve sicuramente agli Usa per prendere il
controllo sui pozzi di petrolio iracheni, ma anche l'appoggio che i
think thank statunitensi danno alle mobilitazioni contro il presidente
venezuelano Chavez hanno come sfondo il petrolio. Non credo quindi -
ha concluso - che basta un semplice ritorno all'autorità statale
nazionale per trovare delle alternative».
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