Un fax spedito tre volte e per tre volte smarrito nel breve tragitto
tra la macchina ricevente e l'ufficio del protocollo del Tribuna di
sorveglianza di Roma. Indagini supplettive volte a verificare tutto
e il contrario di tutto, con tanto di incredibile richiesta di dichiarazione
di redditi a chi dovrebbe pranzare con Claudio Cerica, una volta che
la sua domanda di lavoro esterno presso la casa editrice Manifestolibri
sia accolta. Con i mesi, la vicenda carceraria di Claudio Cerica è
diventata una matassa ingarbugliata, nonostante il parere favorevole
al lavoro esterno dato da: il direttore di Rebibbia, l'educatore e l'assistente
sociale che seguono il suo caso. Sono questi i motivi che hanno spinto
Claudio Cerica a iniziare uno sciopero della fame per richiamare l'attenzione
non solo sul suo caso, ma sul fatto che le misure alternative al carcere
- legge Gozzini e lavoro esterno - non subentrano automaticamente dopo
un iter carcerario definito (ad esempio, la metà della pena per
la semilibertà), ma sono sempre a discrezione di questo o quel
magistrato, di questo o quel burocrate del ministero di Grazie e Giustiza.
"La situazione di Claudio è diventata kafkiana. Tutti lo
vogliono fuori dal carcere, ma lui rimane a Rebibbia", dichiara
Giovanna Lombardi, che assieme a Katia Tassone, forma il "collegio
di difesa" romano. "Siamo tenaci e caparbie. Passiamo giornate
intere girando da un ufficio all'altro. Pensate a tutti i detenuti che
non hanno alle spalle una rete di solidarietà come quella che
è vicino a Claudio. Le loro domande di permesso, lavoro esterno
e semilibertà possono rimanere lì per mesi o anni senza
che accada nulla", aggiunge Katia.
Claudio Cerica è entrato nel carcere romano di Rebibbia lo scorso
febbraio. Latitante, condannato per reati associativi legati ai movimenti
sovversivi degli anni Settanta, Cerica si era rifugiato in Francia dopo
le dichiarazioni di un pentito sul suo coinvolgimento nell'omicidio
Taliercio (l'accusa si dimostrerà in seguito infondata), ma era
recentemente ritornato in Italia "per risolvere la sua situazione
giudiziaria", come ha specificato in alcune lettere inviate a sottosegretari,
giornali, amici e deputati. A Roma svolgeva lavori precari e saltuari,
e proprio recandosi a lavoro aveva trovato un portafoglio, contenente
il numero telefonico della proprietaria, con la quale si è messa
in contatto.
Tuttavia, c'era una denuncia per smarrimento che doveva essere archiviata
e un poliziotto giunto sul luogo di lavoro di Claudio aveva annotato
le sue generalità. Controllo di routine e la "scoperta"
di quella condanna per reati associativi. Da momento del suo ingresso
in carcere Claudio ha cominciato a scrivere lettere, sottolineando la
necessità di un superamento della legislazione d'emergenza e
ricordando come le misure alternative al carcere siano spesso un miraggio
per "chi non ha santi in paradiso". Al suo caso si sono interessati
deputati e sottosegretari alla giustiza visto il suo status di "detenuto
politico" e che sono passati oltre venti anni dai fatti contestati.
Tuttavia Claudio ha sempre precisato che "il problema vero è
rappresentato dalla discrezionalità delle misure alternative
al carcere: se non si introducono meccasmismi automatici alla loro applicazione
perdono in efficacia, diventando il terreno per piccoli o grandi arbitri".
Per il deputato verde Paolo Cento "la vicenda di Claudio è
un tassello di quel brutto puzzle chiamato legislazione d'emergenza.
Basterebbe che il Parlamento approvasse la legge sull'indulto per smontarlo".
Tuttavia, Claudio rimane a Rebibbia: per questo Radio Sherwood di Padova
ha deciso di inviare telegrammi al Tribunale di sorveglianza (Via Triboriano
15, 00193 Roma) per la sua immediata scarcerazione, chiedendo a tutti
di fare altrettanto