da "il manifesto" del 02 Novembre
2002 Imprese pirata all'arrembaggio della vita Il copyright, i brevetti
e i marchi aziendali sono strumenti indispensabili per garantire la crescita
economica, anche se riguardano la biodiversità e il Genoma umano.
Lo affermano gli apologeti della globalizzazione. Lo contesta la fisica
e ambientalista indiana Vandana Shiva nel volume «Il mondo sotto
brevetto» BENEDETTO VECCHI, , Alcuni anni fa una trasmissione televisiva
italiana da prima serata ebbe un particolare successo mettendo sotto i
riflettori inventori di marchingegni spesso futili. Ne usciva fuori un
quadro di travet frustrati che la sera, in qualche scantinato, si gettavano
con passione su circuiti stampati, tubi, bielle e cuscinetti a sfera per
mettere a punto prototipi che avrebbero alleviato le fatiche del vivere
di noi poveri mortali, incuranti della fatica delle loro compagne e mogli
intente nel preparare la cena o a mandare avanti la carretta. Così
l'Italia si scoprì essere, oltre che terra di poeti, santi e navigatori,
anche nazione di inventori. La trasmissione faceva sua l'aura del solitario
artigiano o dello scienziato autodidatta che dedica il proprio tempo libero
alla produzione di quel manufatto a cui tutti avevano pensato, ma che
tutti avevano ritenuto impossibile da realizzare. Insomma, un'idea romantica
della ricerca scientifica e delle sue applicazioni tecnologiche. Senza
scomodare nessun classico, per rendersi conto che la realtà è
ben diversa basta leggere le pagine che la fisica e militante ambientalista
Vandana Shiva ha scritto per denunciare le strategie delle multinazionali
farmaceutiche o agro-alimentari (la distinzione tra i due settori è
tanto labile da confermare il sospetto che in relatà siano la stessa
cosa) nel mettere sotto brevetto la bio-diversità, cioè
quei saperi antichi, usanze e costumi dei popoli indigeni che costituiscono
la terra di conquista per imprese famose come la Monsanto o meno note
come la W.R. Grace.Il volume si intitola Il mondo sotto brevetto (Feltrinelli,
pp. 140, € 9) ed ha le caratteristiche del saggio propedeutico a
un tema tanto sfuggente, quanto determinante nel comprendere l'attuale
capitalismo. Si tratta della proprietà intellettuale e di una delle
forme specifiche che assume, i brevetti.Vandana Shiva è nota per
il suo impegno a fianco dei contadini indiani. Fisica di formazione ha
anche conseguito una specializzazione in economia come recita il suo biglietto
da visita, ma forse più importante è stato il suo ruolo
all'interno di quella rete costituita da piccoli agricoltori e contadini
che, in India, da tempo «resiste» alle strategie delle grosse
corporation che hanno cercato, e cercano tutt'ora, di spossessarli della
loro autonomia per renderli parte integrante di una rete produttiva da
loro controllata ed eterodiretta. Un libro, quindi, che non dice niente
di innovativo, né di teoricamente arguto. Più semplicemente,
e quindi con indubbia efficacia, esamina un tema, quello della proprietà
intellettuale, evidenziando il fatto che la scienza, la tecnologia e la
legislazione in difesa della proprietà intellettuale sono fenomeni
centrali nello sviluppo capitalistico, contribuendo a determinare le «geometrie
dell'imperialismo». O, se si preferisce, i rapporti tra centro e
periferia dell'economia mondiale, come ci ricorda la controversia legale
tra lo Stato del Sudafrica e alcune multinazionali farmaceutiche dopo
che Pretoria aveva deciso di ignorare i brevetti per produrre e vendere
a prezzi «popolari» farmaci anti-Aids.Le teste d'uovo della
globalizzazione difendono la proprietà intellettuale perché:
a) garantisce la crescita economica; b) copyright e brevetti sono indispensabili
perché il pagamento delle royalties consente gli investimenti nella
ricerca; c) la legislazione a tutela della proprietà intellettuale
rende infine possibile il trasferimento di tecnologia dal Nord al Sud
del mondo. Tre argomenti supportati dalle stime fatte da alcuni organismi
internazionali (dalla World intellectual property organization all'Onu)
sulla quota di scambi commerciali (il 50 per cento nel 1994) che riguardano
brevetti, marchi di fabbrica, copyright, design industriale, disegni di
circuiti stampati, le forme cioè assunte dalla proprietà
intellettuale nella legislazione internazionale e nell'attività
produttiva. Per quanto riguarda la competizione economica, i brevetti
hanno consentito ad alcune imprese di stabilire un monopolio in un dato
settore, cedendo in un secondo momento, e dietro il pagamento di roylaties,
la possibilità ad altri di sfruttare «l'invenzione».
Per quanto riguarda la ricerca scientifica, il grido di allarme lanciato
dall'ex-presidente Bil Clinton e da Tony Blair sulla necessità
di rendere pubblici i risultati della ricerca scientifica sul Genoma umano
pena la paralisi del progetto di ricerca, la dice lunga sul ruolo propulsivo
dei diritti delle proprietà intellettuale negli investimenti in
«Ricerca e sviluppo». In altri termini, il copyright e i brevetti
imbrigliano l'innovazione tecnico-scientifica. Questo, in sintesi, è
ciò che sostiene Vandana Shiva ne Il mondo sotto brevetto.Un libro
dunque che fa il punto della situazione sul ruolo della proprietà
intellettuale nello sviluppo capitalistico, ma che registra anche le novità,
i punti di rottura, l'insorgenza politica della messa sotto brevetto della
biodiversità. Per Vandana Shiva, il punto di svolta è la
decisione della Corte Suprema degli Stati uniti di considerare il vivente
alla stessa stregua di un'invezione. Era accaduto che i ricercatori della
DuPont avevano trapiantato a un topo alcuni geni umani e di pollo in modo
da causare il cancro. Il piccolo roditore è diventato famoso per
il nomigliolo di oncotopo, ma quel che è rilevante è che
il 12 aprile 1988 la massima istituzione giuridica statunitense abbia
deciso che i risultati di quella ricerca fossero di competenza dello Us
Patent Office, l'ufficio dei brevetti. La strada per la brevettabilità
del vivente era stata dunque aperta. Per la fisica e militante ambientalista
indiana, la vicenda dell'oncotopo, assieme alla controversia legale tra
la General Electric e il Patent and Trademark Office americano sulla brevettabilità
o meno di un batterio, sono da considerare non solo il punto di partenza
della brevettabilità del vivente, ma anche della «biopirateria»
delle grandi multinazionali nei confronti dei saperi, delle usanze della
biodiversità che costituiscono la ricchezza di molti popoli indigeni
nel sud del mondo.Ma affinché il mondo venga messo sotto brevetto
c'è bisogno di una decisione politica che lo permetta. Decisione
politica presa, ricorda Vandana Shiva, nell'Uruguay Round e nel vertice
mondiale sullo sviluppo di Rio de Janeiro nel 1992 e ratificata da tutti
gli organismi sovranazionali, dal Fondo monetario alla Banca mondiale
al Wto. Il grimaldello per forzare le legislazioni nazionali al fine di
uniformarle è rappresentato, tanto per cambiare, dai Trips (trade
related aspect of intellectual property rights), cioè dagli accordi
relativi ai diritti sulla proprietà intellettuale definiti dall'Organizzazione
del commercio mondiale. E tuttavia, in un movimento sincopato tra il presente
e il passato, l'autrice introduce degli intermezzi per spiegare come opera
la brevettabilità del vivente. Per quanto riguarda l'agricoltura
accade che le sementi siano brevettate e manipolate geneticamente in maniera
tale che risultino sterili i frutti. I contadini sono quindi costretti
a ricomprare le sementi dalle stesse multinazionali. Se poi vengono brevettati
varietà di riso indiano o alcune piante con proprietà medicinali,
siamo di fronte, secondo quanto scrive Vandana Shiva, a veri e propri
atti di biopirateria. Ín altri termini, non si spossessano i piccoli
agricoltori solo con i brevetti sulle sementi, ma anche appropriandosi
del sapere e dell'esperienza tramandate nei secoli. Ed accade che dopo
quel «furto» c'è chi propone la «bioprospezione»,
cioè il pagamento di un risarcimento una tantum sulla rapina perpetuata
nei loro confronti.Il linguaggio di Vandana Shiva è a volte apodittico,
ma questo nulla toglie al valore delle sue conclusioni politiche. Ad esempio,
quando sostiene che la «bioprospezione, di fatto, porta alla 'recinzione'
del patrimonio biologico e intellettuale collettivo, perché trasforma
la biodiversità e il patrimonio intellettuale delle comunità
indigene in merce protetta dai diritti di proprietà intellettuale»
non trapela nessun atteggiamento antiscientifico, come spesso le viene
addebbitato, ma semmai un invito agli scienziati a tutelare la biodiversità
assieme agli «spossessati» (i popoli indigeni). Se una critica
si può fare a Il mondo sotto brevetto riguarda il fatto che ciò
che accade nel Sud non è molto diverso da ciò che accade
nel Nord del mondo. Così è accaduto, senza necessariamente
citare la realtà nota della produzione di software, che le università
americane stanno mettendo sotto copyright corsi di apprendimento a distanza
o che vogliano brevettare innovative procedure finanziarie. Oppure che
il Wto inviti gli stati membri dell'organizzazione a privatizzare le istituzioni
culturali e ad estendere il regime della proprietà intellettuale
a quelle conoscenze che sono state considerate da sempre di pubblico dominio.In
altri termini, la proprietà intellettuale è cosa troppo
concreta per lasciarla nelle mani dei giuristi. Il copyright, i brevetti,
i marchi aziendali sono infatti gli strumenti attraverso i quali sono
definite le feroci gerarchie sociali dell'economia mondiale tanto al Nord
che nel Sud del pianeta. Ed è quindi giusto che questa materia
venga nuovamente presa nelle mani di chi è espropriato del suo
sapere, sia che si tratti di un contadino indiano che di un programmatore
della Silicon Valley, di uno studente bolognese che di un ricercatore
del Massachusetts Institute of Technology a Boston.
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