Berardi Franco "New Economy, madre di infelicità" (articolo, Il Messaggero on line, 9/2/2001)
La new economy genera infelicità. E' la tesi che Franco Berardi, (http://lgxserver.uniba.it/lei/rassegna/berardi.htm) alias Bifo sin dai tempi di Potere Operaio di Radio Alice e del movimento studentesco del '77, avanza nel suo saggio La fabbrica dell'infelicità. New economy e movimento cognitivo (DeriveApprodi, 214 pagine, 22.000 lire). L'autore, oggi esperto di nuove tecnologie e Internet, analizza la nuova società informatizzata, generata dalla rivoluzione digitale. "Circola da alcuni anni un sentimento euforico intorno alle nuove forme di lavoro, di comunicazione e di consumo. Tutto il meccanismo della new economy è pervaso da una ideologia della felicità. E questo ha alcune motivazioni, perché effettivamente il lavoro è cambiato in meglio. Sul piano psicologico, sociale, però, c'è stato un netto peggioramento. Si sviluppano sempre di più l'ansia, la depressione, la solitudine, o addirittura il panico, tra i lavoratori "cognitivi", cioè il nuovo tipo di proletariato creato dalla rivoluzione high tech". Ma in quali meccanismi si cela l'infelicità del lavoratore "cognitivo"? "E' la capacità, è il piacere comunicativo, creativo che è coinvolto nel lavoro cognitivo. Questi lavoratori hanno un salario, una competenza, però invece di essere come il vecchio operaio che in fondo poteva sentirsi estraneo al processo produttivo, finiscono per sentirsi incatenati perché provano piacere. Il lavoro diventa la loro stessa identità. Si rischia sempre, inoltre, di perdere di vista la divaricazione che c'è tra le potenzialità della macchina e quelle dell'essere umano. E ciò genera un costante senso di inadeguatezza. In più, c'è un totale annullamento del proprio corpo. Un economista svizzero, Christian Marazzi, (http://lgxserver.uniba.it/lei/rassegna/marazzi.htm) sostiene che nell'economia va tutto bene tranne il fatto che distrugge l'affettività e la corporeità". Cosa deve cambiare allora nella new economy? "Qui io mi ricollego al movimento di Seattle. La mia tesi è che il centro di questo movimento è proprio il lavoro cognitivo, nella sua capacità di diventare fattore di cambiamento, di autorganizzazione. Ma non nelle forme della vecchia politica, se pensiamo alle vecchie lotte operaie siamo fuori strada. La forma nuova della politica è quella che io chiamo la ricombinazione". Cosa intende con questa espressione? "E' necessario che i lavoratori cognitivi, da quelli dell'informatica alla biotecnologia, prendano coscienza e si sentano responsabili delle conseguenze che il loro lavoro ha sull'intera società. Assunzione piena di responsabilità e ricerca di alternative umane rispetto alle tendenze disumane". Ma come, con un flusso di controinformazione? "Questo il movimento di Seattle lo sta già facendo. Bisognerebbe invece creare degli ambienti di discussione globali, in rete, nei quali i singoli problemi, della produzione, della tecnologia, dell'informazione, vengano risolti autonomamente. Per esempio noi sappiamo che sulle biotecnologie si giocheranno alcune delle questioni fondamentali del secolo. Ma se l'innovazione biotecnica sarà in mano a poche grandi aziende multinazionali, allora si moltiplicheranno le mucche pazze, le Galapagos, perché il loro unico problema è il massimo profitto. Questi saperi devono diventare un patrimonio comune, non privatizzabile" La globalizzazione, quindi, una rivoluzione avvenuta? "E anche bella per molti aspetti. Il mondo che conosciamo è infinitamente più grande. Globalizzazione non vuol dire solo profitto. Lo slogan "globalizzazione dei diritti" per me è molto più interessante di "stop globalization".
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