Volevo cominciare questa chiacchierata amichevole né con il corpo
né con la musa, ma con una figura, che spero non vi sia ostica:
quella del logico matematico tedesco Kurt Godel. Questo nome mi è
venuto in mente quando il professor Carlo Sini, stamattina, ci ricordava
che il pensiero occidentale si svolge, da più di un secolo, all'interno
di un paradosso molto coinvolgente. Ovvero, se noi siamo il prodotto
di un medium (come diceva Sini alludendo alla tematica generale dell'eclissi
del soggetto nel pensiero del '900), e quindi ci esprimiamo non perché
siamo situati in un luogo privilegiato e detentori di un linguaggio
privilegiato, ma sempre condizionati nel nostro discorso da premesse
materiali e dall'ambiente comunicativo e culturale che ci circonda,
allora dove sta il nostro spazio di libertà? A questo punto allora
mi viene in mente che forse mai come nella nostra epoca (e qui mi trovo
d'accordo con Sini nel non poter generalizzare troppo astrattamente:
parlando di scrittura, per esempio, si deve sottolineare la differenza
tra quella alfabetica e quella geroglifica, o parlando di oralità
la differenza tra quella indios e quella eschimese) ci sia stata una
contraddizione così forte; la nostra è un'epoca in cui
le realizzazioni pratiche e le trasformazioni della vita quotidiana
dell'uomo sono state cosi forti e così ingenti, che, man mano
che le generazioni passavano, la ricchezza e la pienezza della vita
di ognuno aumentavano; un'epoca in cui, da una parte, le possibilità
comunicative sono sempre crescenti, vediamo un '900 pieno di trasformazioni
apparentemente positive e in grado di aumentare la presa dell'uomo sull'ambiente
e, dall'altra, vediamo nel pensiero e nelle elaborazioni concettuali
la fioritura di un pensiero negativo e di un nichilismo che certo risale
anche al secolo scorso (e mi riferisco alla rottura della filosofia
operata da Nietzsche). Anche pensando alla stessa scienza, nel nostro
immaginario restano due eventi determinanti: il principio di indeterminazione
di Hsemberg e il teorema di Goedel. Da una parte un principio che afferma
l'impossibilità teorica (non dovuta all'insufficienza dei nostri
strumenti) di determinare due grandezze che nella fisica classica sono
sempre state correlate, posizione e velocità, e che nella misurazione
relativa agli elettroni possono essere determinate solo una per volta.
Dall'altra due teoremi che minano il programma logico impostato da Russel
e da Freghe all'inizio del secolo, che dimostrano che è strutturalmente
impossibile (di nuovo non per colpa della nostra bassa intelligenza)
dimostrare tutte le proposizioni "vere" dell'aritmetica elementare.
A questo punto voglio cercare di capire un passaggio precedente della
storia, quello da Omero a Platone, da una società orale ad una
società basata su scrittura. Mi chiedo come mai Platone, che
sul sistema della scrittura costruisce il primo sistema filosofico,
il padre della metafisica occidentale, si permetta delle dure critiche
alla scrittura dopo aver bandito lui per primo i poeti (la tradizione
orale).