Cadavere
Squisito |
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Fra i vari campi dell’attività umana, l’arte sembra fra i meno toccati dall’avvento delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Certo, ci sono artisti nel mondo (e qualcuno anche in Italia) che utilizzano le nuove tecnologie, ci sono festival dedicati specificamente a questa attività. Ma nel "mondo dell’arte" (artisti, critici, gallerie, musei) tutto ciò ha un peso ben scarso. Più scarsa ancora è la percezione, in questo mondo, delle enormi possibilità che le tecnologie consentono di superare lo scarto fra il creatore e il consumatore, fra la mano di chi lavora con l’immagine o con il suono, e l’occhio o l’orecchio di chi guarda o ascolta, fino a suggerire l’ipotesi che dell’arte in quanto tale, in quanto attività separata, possa non esservi più bisogno (come forse di letteratura, di politica, di cinema e di televisione). Il concetto di "arte" così come oggi lo intendiamo, di "belle arti", è nato nel Settecento, insieme con la rivoluzione industriale, con le macchine, con i libri a stampa e con la democrazia rappresentativa. In quel periodo nasceva così un nuovo tipo di esperienza, che né i greci né i romani né i popoli del medioevo avevano conosciuto, l’"esperienza estetico-artistica", la contemplazione del "bello" in una nuova categoria di oggetti, rigorosamente definiti: le "opere d’arte". E l’estetica si trasformava così da una trattazione generale della sensibilità umana in una disciplina specialistica, quella che consentiva di distinguere, classificare, interpretare le "opere d’arte". Tutto ciò ha avuto senza dubbio la sua funzione e la sua giustificazione storica, ma ha ancora un senso oggi? È ancora vero che l’esperienza estetico-artistica è l’unica forma possibile (o comunque la più alta, la più gratificante) di rapporto dell’uomo con la bellezza? O piuttosto le nuove condizioni tecniche, sociali, immaginative, non portano a superare le vecchie compartimentazioni, le categorie separatrici, l’ordinamento tradizionale delle attività umane? |
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