LA
STORIA DI INDYMEDIA ITALIA |
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La nascita a Bologna Oggi, 12 Giugno 2000, alle ore 11.00 e' stato attivato il canale web di Indymedia Italia, il primo mass media indipendente italiano via internet. Indymedia presenta la sua rivoluzionaria missione nel panorama dei media italiani e invita tutti a partecipare ad un appassionante assalto al cielo. "Indymedia e' un network di media gestiti collettivamente per una narrazione radicale, obiettiva e appassionata della verita'. Ci impegniamo con amore e ispirazione per tutte quelle persone che lavorano per un mondo migliore, a dispetto delle distorsioni dei media che con riluttanza si impegnano a raccontare gli sforzi dell'umanita' libera" (dalla presentatione americana). Indymedia ha rappresentato una rottura nel mediascape nord-americano ed ora si appresta a fare lo stesso anche in Italia, ultimo nodo ad aggiungersi al suo network internazionale. Nato per esigenze di copertura mediatica di un evento che i media rischiavano di deformare, le proteste di Seattle contro il WTO, Indymedia ha dimostrato possibile grazie a internet la creazione di mass media dal basso, autogestiti, non-profit e indipendenti dai media istituzionali e commerciali. Nulla e' stato piu' come prima: da quel momento i grandi media hanno dovuto confrontarsi con una voce che l'opinione pubblica considera attendibile, e questo li ha costretti a una maggiore obiettivita'. La vera forza di Indymedia sta in ultimo nella capacita' di influenzare i grandi media, di costringerli a collaborare con l'informazione dal basso, di vigilarne la condotta. Indymedia e' lo zoccolo che si incunea negli ingranaggi della grande industria dei media e la costringe a riavviarsi in modo nuovo. In un paese come l'Italia dove i 7 telegiornali nazionali sono la copia esatta l'uno dell'altro, paese in cui l'informazione e ancora infeudata alle burocrazie di regime o ai grandi gruppi economici, Indymedia rappresenta una rottura rivoluzionaria. Indymedia Italia e' un telegiornale quotidiano fruibile a qualsiasi ora da chiunque abbia un computer collegato a internet. In un epoca di colonizzazione selvaggia della rete e dei primi esperimenti di Web Tv da parte dei grandi monopoli della comunicazione, battendo tutti sul tempo, Indymedia si presenta come prima Web Tv italiana con un apparato redazionale organizzato, motivato e indipendente. Indymedia deve la sua forza mediatica ad una piattaforma web flessibile e user-friendly, ad un database completamente automatizzato, a potenti server per lo streming audio-video, ad un flusso di news sempre aggiornato. La caratteristica più importante e' che i contenuti possono essere aggiornati e controllati da chiunque attraverso un computer collegato a internet. Chiunque può caricare ed editare registrazioni audio e video, immagini, articoli, news, comunicati. La redazione non ha bisogno di essere centralizzata, può costituirsi lì dove l'evento accade e organizzarsi a network attraverso e-mail e canali IRC. Indymedia Italia si sviluppa strategicamente considerando la storia e la stato attuale dei media italiani e vuole conquistarsi una propria visibilità nel panorama televisivo, radiofonico, della stampa, della rete. Indymedia Italia e' una piattaforma che sa innestare dinamicamente i propri formati nel palinsesto nazionale e aspira a conquistare spazi autogestiti su canali pubblici, come già accade in alcune televisioni europee. Indymedia Italia cerca redattori, giornalisti, organizzatori, tecnici, attivisti, videomaker, fotografi e soprattutto web designer, sistemisti, linuxisti, hacker sensibili ai temi dell'informazione libera e disposti a lavorare a Indymedia Italia. Indymedia si rivolge in particolare a tutte quelle esperienze italiane che hanno già sperimentato in questi anni forme di informazione dal basso, indipendenti, autogestite, con la speranza di valorizzare al meglio la ricchezza di questo network. Comunicare la proprio disponibilità inviando nome, e-mail, numero di telefono, e un breve curriculum a: italy@Indymedia.org Indymedia Italia inaugura la sua attività seguendo la settimana di eventi del meeting contro l'OCSE, che si tiene a Bologna dal 12 a 15 giugno. Join the media revolution! Join Indymedia Italia! Questo il messaggio di lancio di Indymedia Italia circolato per tutte le mailing list di movimento il 12 giugno 2000. A Bologna è in preparazione il movimento di protesta contro il meeting dell’Ocse dedicato al rapporto tra piccola e media impresa e sviluppo globale. Per la prima volta in Italia, si affianca alla protesta un nuovo modo di organizzare la copertura mediatica del movimento che rivoluziona la tradizionale e reattiva contro-informazione. Un gruppo di attivisti provenienti dalle più varie realtà e in contatto con il network nordamericano che ha dato vita a Indymedia Seattle, decide di sviluppare Indymedia Italia, come avevano già fatto altri collettivi europei. Sono videomaker, fotografi, giornalisti, hacker, sistemisti, redattori. Provengono dai centri sociali come dai giornali locali, dal cinema e dalla televisione come dall’associazionismo. Al contrario di una multinazionale che decide di diffondere dall'alto i suoi cloni in giro per il mondo, il network di Indymedia nasce dal basso. I primi mediattivisti italiani sono legati dalle esperienze di video attivismo e telematica indipendente: Isole nella Rete, Cybernet, PeaceLink, i primi hacklab italiani, Candida Tv. Lo slogan di Indymedia Don’t hate media be the media è già presente in alcune esperienze italiane come Tactical Media Crew, che con un proprio sito dal 1995 definiscono i media tattici come “quello che succede quando i media a basso costo e fai-da-te resi possibili dalla rivoluzione che c’è stata nell’elettronica di consumo, vengono sfruttati da coloro che sono fuori dalle normali gerarchie del potere e del sapere”. Gli attivisti che vogliono costruire Indymedia Italia si appoggiano al Net_institute [http://net-i.zkm.de/root], un progetto di attivismo di rete che curerà la realizzazione del sito e avrà un ruolo di coordinamento iniziale e di tramite tecnico tra Indymedia e Indymedia Italia. Racconta Matteo Pasquinelli, uno dei fondatori di Indymedia Italia, che soltanto dopo settimane di lavoro, di chat e telefonate a notte fonda per via dei fusi orari, i tecnici e i volontari riescono ad aprire il sito italiano su un server in Colorado. Il server rimane negli Stati Uniti per due ragioni: la prima è strettamente tecnica e dipende dal fatto che negli Usa esistono già le strutture dedicate, la seconda riguarda invece la libertà di espressione, maggiormente garantita in America dal primo emendamento e pilastro di un progetto facilmente attaccabile e perseguibile per il suo ruolo nel movimento globale. Le infrastrutture di rete e i server sono offerti gratuitamente da alcuni provider americani tra cui Freespeech.org, progetto erede del Free Speech Moviment degli anni ’60. Il primo Media Center, usato da Indymedia a Bologna, è una piccola libreria con collegamento internet, punto di raccolta e riversamento in digitale dei video girati e punto di coordinamento e aggiornamento informativo. La nascita di Indymedia Italia è caratterizzata anche dall'uso di linguaggi e strategie di "guerriglia comunicativa" che si consideravano intimamente legate alla concezione di "media tattici" e ad un discorso critico sullo spettacolo dell'informazione ma che poi sono state abbondonate dal collettivo di mediattivisti. In occasione del corteo in strada, memori dei disordini di Seattle, si pensa di lanciare in modo ludico e provocatorio la questione delle violenza della polizia sui manifestanti e di spiegare ai mass media come sarebbe cambiato da allora in poi il rapporto tra informazione e movimento. Alle 2 di mattina del 14 giugno fu concepito un "mantra" per le forze dell'ordine che fu subito pubblicato e diffuso via e-mail fino ad essere ripreso dalle trasmissioni radio della stessa mattina, a cominciare da Golem di Gianluca Nicoletti su RadioRai. Il mantra di Indymedia "SONO SOTTO COSTANTE CONTROLLO VIDEO" Questo è il mantra che le forze dell'ordine a Bologna per il vertice OCSE devono ripetere. Si ricordino che sono sotto il controllo video di circa 40 videooperatori indipendenti. Alcune webcam sono state piazzate alle finestre dei palazzi. Ogni operatore è a sua volta filmato e tenuto sotto controllo da un altro operatore a distanza. Indymedia invita tutti a pubblicare al più presto sul sito i loro materiali. Fare informazione e filmare è un diritto di tutti. Nessun articolo di legge può impedirlo. Ma Bologna è soltanto il punto di partenza di quest’esperienza italiana. Da esperimento mediatico diventa comunità aperta, con decine di persone che decidono di iscriversi alle mailing list redazionali e di contribuire volontariamente allo sviluppo di questo nuovo medium dal basso. Indymedia Italia verso Genova G8 Al primo meeting europeo di Indymedia a Bruxelles, i media attivisti si salutano con un “see you in Genova”. E’ il giugno 2001 e manca poco più di un mese e mezzo all’incontro del G8 nella cittadina italiana. Genova è sicuramente l’evento più importante dopo Seattle per il movimento. Per Indymedia Italia l’evento è capitale perché il suo sito rappresenta il punto di raccordo tra l’Italia e il mondo. Essendo parte di un network globale ha il compito di fare da vetrina per gli altri nodi, come gli altri nodi sanno che dovranno collegarsi a Indymedia Italia per aggiornare i propri siti. Da New York al Chiapas, da Amsterdam a Israele, gli operatori dell’informazione di movimento sanno che possono contare sul lavoro degli italiani e degli stranieri che si troveranno fisicamente a Genova per avere un’idea di quel che succede. Già mesi prima del G8, nella mailing list generale si discute il da farsi. La maggior parte delle discussioni vertono su problemi pratici, l’organizzazione di un media center, la sede, le attrezzature, la disponibilità delle persone. Gli attivisti si danno appuntamento in chat per snellire le discussioni che poi sono riportate nella lista generale. Il 15 luglio è tutto pronto, la lista delle attrezzature disponibili è definitiva, i tecnici volontari che anticiperanno gli altri per cablare la sede sono pronti. A disposizione di tutti, dal sito, si accede alle mappe di Genova, le indicazioni logistiche e il vadem legale per media attivisti: come comportarsi di fronte alle forze dell’ordine, quali diritti si hanno e quali no, cosa è possibile riprendere con la propria telecamera e i rischi in cui si incorre, come difendersi dai gas lacrimogeni e mettere in salvo i filmati. Dall’estero, Indymedia Globale, taiwanesi, americani, svizzeri, australiani, si preparano a raggiungere Indymedia Italia, forse la “parte” del movimento più legata alla dimensione internazionale e meno vincolata da appartenenze di gruppo. Non a caso a Genova Indymedia è stato l’ambito in cui gli internazionali che sono arrivati a Genova per partecipare alle manifestazioni e raccontarle al loro paese, si sono relazionati in maniera più integrata con gli italiani. Nei giorni del controvertice si concentrano soprattutto sul lavoro di traduzione, formando delle vere e proprie squadre di traduttori di testi che poi saranno diffusi globalmente in rete. Sono partiti con meno contatti e punti di appoggio e dormono quasi tutti nel Media Center e nella scuola di fronte, la Pertini-Diaz. Il Media Center alle scuole Diaz A Genova Indymedia si sistema all’ultimo piano della scuola Pascoli, la sede adibita al Genoa Social Forum, anche centro stampa sia per i media ufficiali, sia per quelli di movimento. I primi arrivati svolgono il faticoso e difficile lavoro di messa in rete di computer, telefoni, centraline di montaggio video, tutti mezzi tecnici messi a disposizione dai singoli volontari. In due giorni gli attivisti di Indymedia e degli Hacklab italiani, montano, cablano, rendono operativa e connessa l’intera scuola, creando una rete interna da 100 megabite con 2 mega diretti verso l’esterno. In questo modo, tutti i computer del Genoa Social Forum possono comunicare tra loro e coordinarsi attraverso i singoli terminali. Un’info-line è predisposta per permettere a chiunque abbia un telefono con sé di chiamare in qualsiasi momento la sede per dare, confermare e chiedere le ultime notizie. Sono 500 i media-attivisti accreditati dal Network di Indymedia. Un gruppo fisso di persone decide di stare in sede tutto il giorno per risolvere problemi tecnici, rispondere alle richieste di informazioni, aggiornare il sito con le ultime notizie, foto, video, e accogliere e coordinare i nuovi arrivati. Intanto in giro per la città, almeno 250 tra fotografi e videomaker, si apprestano a cogliere ogni istante, a immortalare ogni singolo movimento. Spesso gli operatori portano il proprio girato in sede, dove i montatori si occupano di mettere in rete brevi clip di video, con il risultato che chiunque da tutto il mondo connesso a Internet può vedere quasi in tempo reale pillole della manifestazione genovese e dei suoi protagonisti. I mediattivisti decidono di organizzarsi in squadre per affrontare i momenti caldi, durante i cortei di massa e le azioni programmate per giovedì 19 venerdì 20 e sabato 21 luglio. Le squadre sono composte da un operatore, un avvocato e un medico del Genoa Social Forum. Un breve escursus sui fatti di Genova I manifestanti che arrivano a Genova a metà del luglio 2001, trovano una città ormai blindata da mesi, anche se soltanto mercoledì 18 luglio vengono definitivamente eretti i cancelli che chiudono la “zona rossa”, la zona centrale dove si incontreranno le delegazioni del G8. Lunedì 16 luglio inizia il controvertice del Genoa Social Forum, con otto ore al giorno di interventi di rappresentati di tutto il mondo e di tutte le associazioni coinvolte, leader sindacali, singoli cittadini. I forum sono molto partecipati fin dal primo giorno. Notizie di allarmi bomba in tutta Italia, di matrice incerta, occupano le prime pagine di tutti i giornali. Il 19 luglio è il primo giorno di grandi manifestazioni, con 50000 migranti in piazza, senza particolari incidenti. Il 20 luglio è il giorno dedicato alle azioni dirette non violente nel tentativo di “disturbare” la zona rossa. Altre 50.000 persone partecipano a queste iniziative. Ogni gruppo del Social Forum ha una sua piazza: ci sono i lillipuziani e gli ambientalisti con le piazze tematiche e i gruppi di affinità, il blocco “pink silver” e la sua tactical frivolity che vuole “danzare sul G8”, Attac, il blocco dei disobbedienti, il blocco di COBAS e network per i diritti globali. Ci sono infine le tute nere, che non appartengono né al Genoa Social Forum, né a nessun altro movimento. Il Black Bloc è piuttosto un gruppo di persone che agiscono con la stessa strategia di guerriglia, attaccando materialmente i simboli del capitalismo. I disordini cominciano quasi subito da Piazza da Novi, la piazza tematica dei Cobas occupata imprevedibilmente da tute nere o presunte tali. Sono le 11 di mattina circa. Da quel momento in poi è un susseguirsi di scontri e guerriglia urbana, con scontri violentissimi e una repressione indiscriminata delle forze dell’ordine verso tutti i manifestanti. Saltano gli schemi per tutti e tutti si devono confrontare con il caos. Alle 18.17 una camionetta dei carabinieri coinvolta in uno di questi scontri, rimane bloccata in Piazza Alimonda. Carlo Giuliani, ventenne di Genova, viene ucciso da un colpo di pistola provenienti dalla camionetta, e travolto dalla jeep che fugge. Il 21 luglio è il giorno del corteo internazionale: 200.000 persone formano un unico corteo dalla Sturla a piazza Rossetti, ma il copione si ripete. Nessuno sa bene cosa succeda ma al “convergence center” del Social Forum di piazzale King, inizia un’altra giornata di scontri e repressione. Il corteo viene spezzato in due. Alle 00.10 tra il 21 luglio e il 22 luglio, quando ormai gli scontri erano finiti e tutti si apprestavano a cercare di riposare o di rientrare a casa, le forze dell’ordine fanno un blitz al Media Center del GSF (dove si trovano anche l'Indymedia Center e la sede dell'assistenza legale) e alla scuola di fronte, la scuola Pertini-Diaz, dove stanno dormendo un centinaio di manifestanti, accusati di appartenere al Black Bloc. L’operazione si conclude con 61 ragazzi feriti e 93 fermi, 68 dei quali non convalidati dai giudici perché illegittimi. Le modalità irregolari del blitz e le violenze subite dai manifestanti, arrestati quasi tutti e rilasciati, sono ancora sotto inchiesta. L’assalto alla Diaz e all’Indymedia Center Domenica 22 luglio una mail di strano.net tradotta in quattro lingue e dal titolo inquietante inizia a girare per le mailing list di movimento. ”L’Italia verso una dittatura? Diritto alla comunicazione negata!”. La mail si riferisce ovviamente all’assalto delle forze dell’ordine al Media Center del Genoa Social Forum, la notte del sabato 22 luglio, mentre dall’altro lato della strada le forze dell’ordine entravano alla Scuola Pertini Diaz. La mail proseguiva con questo invito: “Anche i media ufficiali stanno veicolando le immagini di quanto successo, comunque invitiamo a prendere in considerazione le seguenti fonti d'informazione indipendente per avere riscontro su quanto stiamo per comunicare: http://www.italy.indymedia.org/ http://www.radiogap.net/ http://www.ecn.org/g8 http://www.tmcrew.org/ http://www.carta.org/ http://www.genoa-g8.org/ http://www.decoder.it/” Radiogap da Genova aveva smesso di funzionare dopo l'irruzione della polizia mentre le ultime parole in diretta da Genova urlavano "e' come il Cile, e' come il Cile... calma.... seduti e mani alzate... resistenza passiva...". Gli ultimi cinque minuti della trasmissione di Radio Gap prima del blitz fanno il giro del mondo, creando un vero caso mediatico, diffusi dai media alternativi di movimento ma anche ripresi da portali commerciali. Le conseguenze materiali del blitz al Media Center (diversamente dal blitz alla scuola/dormitorio di fronte), non sono molte: dagli uffici IMC vengono confiscate alcune cassette ma l’unico sequestro grave e consistente è quello dell’hard disk dal computer dei legali del Social Forum, materiale che sarebbe potuto servire come documentazione sugli abusi della polizia nei giorni antecedenti. Uno degli avvocati ha affermato: “Il blitz della polizia è contrario ad uno stato basato sul diritto e scatena un clima di orrore". Ma l’assalto alla scuola di coordinamento del GSF, colpisce l’opinione pubblica internazionale, non tanto per queste perdite materiali, ma per il colpo inferto alla stessa libertà di pensiero e di stampa. Mai come in questo momento il Media Center assume un valore tanto simbolico: la libertà di espressione negata. Si ripropone continuamente l'articolo 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani: "Ognuno ha il diritto alla libertà di opinione ed espressione”, un diritto che “include la libertà di avere opinioni senza interferenze, e di ricercare, ricevere e dare informazioni e idee attraverso ogni tipo di medium senza limiti di frontiera”. Durante tutta la giornata di domenica, le pagine di Indymedia Italia, con la grande libertà di pubblicazione da parte di tutti, diventano una lunga raccolta di testimonianze. Il diario dei torti subiti. Il bollettino IMC contiene racconti di ripetuti pestaggi della polizia sugli attivisti di Genova, sia nelle strade che in prigione. Alcuni racconti segnalano che molti dei manifestanti feriti hanno paura di recarsi in ospedale per farsi medicare in quanto la polizia ha portato via dall'ospedale alcuni ricoverati con ferite sospette e li ha condotti in carcere. Racconti di testimoni oculari dei raid si diffondono anche tra gli Indymedia in giro per il mondo, a San Francisco, Los Angeles, nelle trasmissioni radiofoniche di Indymedia e nelle pubblicazioni cartacee. Dalle parole di una attivista di Indymedia: "un’azione violenta inaudita e ingiustificata, e per quanto riguarda il Media Center un gravissimo attentato alla libertà di pensiero e di stampa. Già durante i giorni precedenti avevamo subito più di un sequestro o comunque il tentativo di farci testimoniare il meno possibile. Tutto ciò fa pensare che con la nostra azione abbiamo dato molto fastidio e credo sia il miglio riscontro della bontà del nostro lavoro”. Domenica 22 viene preparato un comunicato stampa in cui si denunciano i fatti e i danni subiti. Aggiornamento #1 La quantità di materiale girato dai videomaker nella settimana di Genova è enorme, ma soprattutto è enorme il girato che rimane a Indymedia. Alla fine di agosto 2001 il sito Internet di Indymedia mette a disposizione la prima produzione fatta con quel materiale: Aggiornamento#1. Il video viene distribuito capillarmente dai nodi di tutta Italia e anche dai singoli attivisti, arrivando a diffondere almeno 3000 copie con la esclusiva distribuzione a mano e il passaparola. Una cosa mai successa e possibile soltanto grazie alla natura reticolare del network e alla motivazione dei volontari. Chiunque può inoltre richiedere la videocassetta dalla pagina delle produzioni video accessibile dall’home page di Indymedia Italia. Aggiornamento#1, come precisa Indymedia, non è un documentario, è piuttosto un atto di accusa e di denuncia, su alcuni fatti molto precisi accaduti a Genova, uscito a poche settimane dalla fine del G8, quando ancora non erano emerse con chiarezza le atrocità e gli errori compiuti dalle forze dell’ordine in quei giorni. E’ un film di poco meno di mezz'ora, il primo video di movimento con una lunghezza consistente scaricabile direttamente da Internet. Aggiornamento#1 è l'insieme di 5 clip su cinque fatti accaduti nei giorni del G8. Episodi salienti che, mettendo assieme immagini e testimonianze raccolte, vogliono restituire il clima respirato nelle strade genovesi. Il video non è solo una produzione collettiva di uno dei nodi locali (l’Italia in questo caso) del network globale. Come il progetto complessivo, risulta una piccola rivoluzione a livello formale, riguardo a due particolarità: prima di tutto è un lavoro collettivo, nato dal contributo di centinaia di operatori che hanno donato il proprio girato a Indymedia e da decine di volontari che poi l’hanno montato. Un lavoro in cui tutti hanno rinunciato alla proprietà intellettuale a favore dell’unico autore “Indymedia italia”. Inoltre rappresenta l’applicazione pratica dellla filosofia No copyright, intesa come libera circolazione dei saperi e dell’informazione al di fuori dello scambio commerciale. Chiunque, può scaricare dalla rete un video di qualità di poco inferiore a quella delle videocassette vhs. Le uniche due condizioni che pone Indymedia al momento sono: che il materiale non sia utilizzato a fini commerciali e che la fonte sia sempre citata. Mentre una forma di licenza che risponda all’esigenza politica di mantere il più alto grado di libertà nella circolazione del materiale firmato da Indymedia, pur tutelandolo, è in fase di elaborazione. Indymedia vs gli altri media “Anche nel fumo, anche tra i lacrimogeni anche quando pensavate di esserlo non siete MAI stati soli. In Australia, in piena notte (2-5), quasi un milione di persone chiedeva di voi, non dei black bloc. Centoventicinquemilioni di persone in tutto il mondo in quelle ore ha chiesto di Voi. E' più chiaro cosa è questo movimento, che tipo di diffusione ha?” C’è chi ha detto, a proposito dell’irruzione nella sede del Genoa Social Forum, che prima si sono distrutti i computer e poi sono state colpite, ordinatamente e a sangue, persone inermi. Questo non è esattamente vero, le due azioni avvengono quasi in contemporanea, ma l’assalto al Media Center e ad alcune macchine, assume il tratto di un’imperdonabile violazione. Le macchine, i computer, sono stati violati e con essi sono state violate le “armi” dei mediattivisti, il loro assetto di difesa, i computer contro i manganelli. Come recita uno slogan di Indy, “il pc è la tua sede, la tua testa la tua redazione”. L'informazione indipendente, attraverso il nuovi media, ha fornito alle giornate di Genova una copertura amplissima: sono 940.000 le pagine viste nel mese di luglio 2001 solo su Indymedia e 100.000 le pagine contattate ogni giorno nella settimana del controvertice, dal 16 al 22 luglio. E’ certo che al di là delle connotazioni politiche, i media di movimento hanno sconvolto l’intera struttura mediatica. Tutta Genova è stata un esperimento di autogestione dell'informazione che copriva non solo la Rete, dove affluivano con tempestività audio, video, immagini che avrebbero poi fatto il giro dei media mondiali, ma anche il “reale”, quando questa “diversa” informazione veniva diffusa nelle radio di movimento e nelle piazze di città italiane. Il grado di complessità tecnologica della struttura informativa messa in campo da singoli volontari avrebbe fatto impallidire qualsiasi redazione del mondo: interventi live, reti di computer e siti web approntati in pochissimo tempo, interfacce tecnologiche economiche, telecamere digitali, streaming mp3, software open source, e grandissima velocità di aggiornamento. Questa sperimentazione è diventata, all’apice dell’assalto al Media Center, un problema di ordine pubblico. Il blitz stesso è divenuto caso mediatico, sottolineando ancora una volta quanto efficace fosse l’apparato di media autogestiti messo in piedi in quei giorni. Sto parlando della quantità di documenti audio video provenienti dal lavoro di copertura informativa di Indymedia di RadioGap e del Genoa Social Forum e passati nei telegiornali nazionali. E sto parlando del caso emblematico dell’entrata delle forze dell’ordine alla scuola Diaz, ripreso esclusivamente dagli operatori di Indymedia che si trovavano alle finestre della scuola di fronte: nella notte tra il 21 e il 22 luglio, un video operatore di Indymedia riesce a riprendere l’entrata delle forze dell’ordine alla scuola Diaz. Il 6 agosto il video, che gira su Internet da un po’ di tempo, accessibile dal sito di Indymedia, è “scoperto” anche dai professionisti della comunicazione che ne rilevano lo scoop: le immagini fanno luce sulle confuse indagini sulle irregolarità del blitz e sono prova che ad entrare alla Diaz per prima e' stata la celere di Roma, mentre il loro dirigente aveva sempre ammesso di essere entrato dopo altri non specificati nuclei di poliziotti. La notizia è veramente importante nel clima di confusione e di sconcerto post-Diaz, e soprattutto mette in luce dei fatti che non erano mai stati accertati. Il Corriere della Sera “scarica” direttamente il video da Internet e non c'è nessuna legge che glielo vieti. E’ un medium cartaceo, e non ha bisogno di ritrasmettere le immagini per esaltare la notizia, ma pubblica alcuni “fermi immagine” sul quotidiano, non solo evitando di citare la fonte, ma coprendo il logo di Indymedia con il logo RCS, assumendosi quindi la paternità delle immagini. Tg5, Tg.Com, Studio Aperto e La7, sotto forma di real video in bassa qualità, trasmettono invece parte del video al telegiornale. In particolare è il Tg5 a utilizzare le immagini prese dal sito di Indymedia Italia trasmettendole in prima serata e omettendone la fonte (ma facendo genericamente riferimento a un Sito Anti-G8). Indymedia, infatti, ha una politica ben precisa: tutte le immagini sono no copyright, e chiunque può utilizzarle, citando la fonte e a scopo non commerciale. Un avvocato mediaattivista è incaricato dunque di chiedere il pagamento dei diritti della messa in onda. Il TG5 risponde con una lettera in cui si ritiene pienamente legittimato all’utilizzo gratuito di quelle immagini. Da un punto di vista del diritto patrimoniale d’autore, la politica “No Copyright” di Indymedia non comprende lo scopo di lucro, scopo che non può non riconoscersi in capo ad un telegiornale che vende a caro prezzo gli spazi pubblicitari prima, durante e dopo la sua trasmissione e che sempre a caro prezzo compra da agenzie e freelances filmati e fotografie; Diversamente dal TG5, il gruppo editoriale RCS, del Corriere della Sera, non ha neanche risposto alle due lettere di contestazione. In entrambi i casi sarà il Tribunale a decidere l’entità delle violazioni e del risarcimento se Indymedia deciderà di andare fino in fondo con una causa. Con i fatti di Genova comunque, i media ufficiali sono costretti a prendere atto che esistono forze indipendenti e autonome che competono con il loro lavoro. Da un po’ di tempo a questa parte, il flusso informativo ha invertito la sua rotta ed è sfuggito al controllo: se prima arrivava sul Web copiato dall'editoria professionale dentro i propri siti giornalistici, a Genova e comunque sempre più spesso, percorre il cammino opposto raggiungendo giornali e tv da Internet. Con tutte le complicazioni del caso. Indymedia, come molti altri net media indipendenti, non sono soltanto media di movimento. Sono rivali. Indymedia e Palestina A fine marzo del 2002, Indymedia Italia e Indymedia Israele [http://www.israel.indymedia.org/] stavano lavorando insieme per rendere autonoma Indymedia Palestina [http://www.jerusalem.indymedia.org/] mentre l’esercito israeliano riprendeva violentemente l’occupazione dei territori. Gli attivisti palestinesi avevano fortemente bisogno di un proprio sito in lingua araba e inglese che documentasse in modo indipendente la situazione nei loro territori, come avevano bisogno di supporto tecnico e materiale per altri progetti. E gli internazionali di Indymedia li avevano raggiunti per fornire il proprio aiuto. Indymedia Italia, insieme a Radiogap.net stava lavorando anche alla costituzione di una radio autogestita nel campo profughi di Deheishe, che dista 2 chilometri da Betlemme, quando l’occupazione ordinata da Sharon, costrinse tutti a interrompere quello che stavano facendo. Indymedia Italia si trovava improvvisamente a dover documentare una situazione di guerra in circostanze di emergenza e a rispondere alla domanda di informazione che proveniva anche dai media ufficiali (italy.Indymedia.org/palestina). Giorno e notte, in collegamento continuo con i collaboratori che si trovavano in Italia, attraverso canali chat, mail e cellulari, gli Indymediani in Palestina riuscirono a fornire 15 giorni di non stop informativo, con aggiornamenti in tempo reale e notizie di prima mano dai territori occupati. Uno sforzo estremo da parte dei volontari e un servizio eccezionale che conquistò l’attenzione dei media mondiali ma che soprattutto ribadì l’importanza della presenza di media center locali e autonomi sul territorio. Indymedia Italia è tornata in seguito in Palestina per sostenere nuovi media center a Betlemme, Jenin, Gaza e per sviluppare progetti di cooperazione e aiuto continuativi, come quello bellissimo di formazione interculturale dei bambini di Gaza, con l'idea di insegnar loro a filmare, perché siano loro stessi a portarsi le telecamere in giro per le comunità, raccontando le storie attraverso i loro occhi e facendo dell'informazione un uso funzionale alle loro necessità. Indymedia Italia continua a cercare fondi, macchine, computer portatili, telecamere, per sostenere questi progetti. |
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