GLOBAL INDIPENDENT COMMUNICATION

Da una tesi di laurea in scienze della comunicazione

Nella mia rassegna sulla telematica di movimento dei precedenti capitoli ho volutamente lasciato in sospeso la discussione sul mondo della cosiddetta controinformazione, limitandomi ad una descrizione sommaria delle strutture alternative messe in piedi per informare sull’evento di Genova. L’ho fatto per due motivi. Il primo è che ho deciso di parlarne in altro modo, partendo da Indymedia. Indymedia segna un punto di rottura con le precedenti esperienze e nello stesso tempo ne ingloba le istanze. Indymedia è un simbolo di questo periodo di crescita e di cambiamento, nata per documentare le proteste del Millennium Round a Seattle, si è espansa spontaneamente per diventare un network planetario. Traccerò la storia di Indymedia e l’esperienza italiana di Indymedia a Genova durante i giorni del G8. Il secondo motivo è che questa tesi non vuole essere uno studio sul giornalismo “alternativo”, né sulla controinformazione. Mi interessano invece i contorni di questo mondo, le rivoluzioni del linguaggio e dei processi produttivi perché incarnano l’identità e i valori della comunità che vi partecipa, i connotati di questa comunità, i suoi rapporti con i media corporativi; il suo ruolo all’interno del movimento No Global, in sostanza la politica della comunicazione adottata da questo network. Tutto ciò, insieme al resto del mio percorso sul movimento No Global on line, mi servirà ad arrivare a capire la “politica della comunicazione No Global”. Una politica determinata dalla tecnologia che usa e nello stesso tempo mediata dalla stessa. Una politica che va al di là di questa. 3.1.1. Indymedia Indymedia è un network di media gestiti collettivamente per una narrazione radicale, obiettiva e appassionata della verità. Ci impegniamo con amore e ispirazione per tutte quelle persone che lavorano per un mondo migliore, a dispetto di distorsioni dei media che con riluttanza si impegnano a raccontare gli sforzi dell’umanità libera Partiamo subito dalla prima affermazione: Indymedia è un network, una rete, un insieme di media interdipendenti localizzati in posti lontanissimi tra loro ma legati da un progetto comune e naturalmente dallo stesso supporto: Internet. I nodi del network si presentano come ordinari siti internet in ipertesto, ma i siti, pur essendo il cuore di Indymedia, sono il motore di attività al di fuori della dimensione virtuale, quali produzioni video indipendenti, workshop sul media attivismo, coordinamento e copertura dei movimenti di protesta. Ogni Indymedia locale, in occasione di eventi specifici, cerca di integrare l’informazione testuale e quella audiovisiva attraverso lo streaming di montaggi video e trasmissioni radio, arrivando a trasformarsi in una vera Web Tv indipendente. Indymedia si dichiara indipendente, il nome deriva appunto da “independent media”, in altre parole libero da editori e strutture verticali che possano deformare o distorcere l’informazione e i progetti del network. Naturalmente la storia di Indymedia è inscindibile dalla storia di quella vasta area del movimento antagonista che abbiamo chiamato Popolo di Seattle. E’ nata e cresciuta parallelamente alla protesta mondiale avendo un doppio ruolo di copertura degli eventi e di supporto agli stessi. La dimensione e la spontaneità del network rendono l’idea di come il movimento globale si stia diffondendo e stia creando un immaginario e una solidarietà transnazionale. Le cosiddette Centrali Indipendenti dei Media sono state concepite per “neutralizzare la macchina dei media industriali”, attraverso le quali gli attivisti possano parlare del movimento in prima persona. Le IMC sono centri-stampa di una protesta di massa, situati nelle città nelle quali sono presenti gruppi attivi nel movimento: forniscono in tempo reale un commento critico sugli eventi locali o mondiali e facilitano una copertura giornalistica decentrata e indipendente dalle rivendicazioni. Gli attivisti volontari che scrivono, filmano o scattano fotografie significative per le manifestazioni possono pubblicare i loro materiali sul sito web. Filmati girati da attivisti delle IMC a Seattle, a Praga e a Genova sono stati parzialmente utilizzati per sostenere l’accusa dei manifestanti di abusi da parte della polizia. Nello stesso tempo Indymedia ha sempre tenuto alla distinzione tra il piano della politica e quello dell’informazione, anche per una ragione pratica: Indymedia è un collettivo super partes, un collante di centinaia di fermenti, ed è praticamente impossibile che sia la voce ufficiale di un movimento spesso definito “dalle mille anime”. In “Sopravvivere al G-8 ”, di Nanni-d’Asaro-Greco, Indymedia viene classificata di matrice anarchica ma c’è una forte distinzione tra attivisti e attivisti telematici, che possono stare entrambi nella realtà di Indymedia. “Noi attivisti mediatici non siamo politicizzati, non aderiamo per forza alle cose che vengono dette o alle iniziative ma le seguiamo dal punto di vista dell’informazione. Certo ci sono delle regole: per esempio la prima regola di un media-attivista in un filmato è di non riprendere mai in faccia i manifestanti” Essendo tenuto in piedi da volontari, le tendenze editoriali e le preferenze di ogni IMC, sono condizionate dalla composizione dei media attivisti effettivamente operativi. 3.1.2. Perché Indymedia? Se ho scelto di approfondire il caso Indymedia nel mio studio sull’attivismo in rete è perché vi ho trovato, concentrate in un unico progetto, delle sfide enormi alla società della comunicazione nell’era digitale e dei punti di partenza per approfondire questa realtà. Queste sfide si possono riassumere in due punti: Creazione di una comunicazione a rete orizzontale e trasformazione del lavoro cognitivo, con l’incarnazione dei valori del movimento che rappresenta. Tentativo di costruire una sorta di opinione pubblica internazionale libera dai poteri forti e dagli schemi dell'identità etnica, nazionale e corporativa. Una sorta di identità globale. 3.1.2.1. Trasformazione del lavoro cognitivo Così come la TV dei primi anni fu modellata sulle impostazioni e dal linguaggio del grande medium di massa che l’aveva preceduta, quello radiofonico, Internet è vissuto attraverso le stesse pratiche e modi di fruizione dei vecchi media. L'orizzontalità ancora non è usata e sfruttata, o meglio, si è persa non appena Internet si è sganciato dall’ambiente accademico e underground dove aveva iniziato ad attecchire. Si veda la contrapposizione tra chi interpreta i nuovi media come semplici canali per veicolare prodotti on demand e servizi di pubblica utilità semplicemente trasposti dal medium tradizionale all’altro, e chi sta cercando di articolare linguaggi e pratiche esclusive ed ancora minimamente diffuse. Indymedia fa parte della seconda categoria: ha inventato una struttura nuova e l’ha fatta diventare prassi; come descriverò in seguito, ogni progetto, ogni percorso di produzione di senso è il frutto dei contributi di individualità diverse, ma tutte allo stesso livello: nelle intenzioni non c’è gerarchia, non c’è verticalità, così come anche il movimento antiglobalizzazione è portatore di una sensibilità antigerarchica piuttosto marcata. Nella gestione pratica certamente, gli Indymediani mettono in conto la necessità di temporanee e puntiformi verticalizzazioni o gerarchizzazioni, ma, dice Blicero , “senza che questo determini o uno staccamento dalla base o una staticizzazione di ruoli e gerarchie”. Le individualità quindi mettono in comune opinioni, parole, immagini, competenze tecniche per dar vita ad oggetti di cui nessuno può dire di avere la proprietà intellettuale. Mentre da un lato il lavoro intellettuale e comunicativo è sempre più integrato ai processi produttivi ed è su di esso che si basa il mercato mondiale della cultura, le pratiche, gli stili, i processi creativi collettivi e orizzontali che il network sta sperimentando costituiscono una trasformazione del tradizionale lavoro cognitivo. Ma su questo livello penso che Indymedia sia ancora all’inizio; c’è chi va oltre con la fantasia e con la progettualità. Per una media attivista tra gli iscritti alle liste redazionali, “Indymedia è fin troppo associato ad una rivista o un giornale: non si stanno sfruttando tutte le potenzialità produttive delle intelligenze coinvolte. Pensiamo alla creazione e allo sviluppo di software, tecnologie di vita o sistemi intelligenti per facilitare processi decisionali collettivi.... pensiamo insomma che potremmo noi sperimentare nuovi sistemi produttivi e di commercializzazione solidale”. Infine in questo periodo storico, Indymedia sta svolgendo indirettamente un compito molto ambizioso: parallelamente al movimento No Global, si è posta come missione a lungo termine, la formazione di un'opinione pubblica mondiale. Perché mentre esistono istituzioni ed economie internazionali, tra le quali brillano per cattiva reputazione WTO e FMI, è chiara l’inesistenza di una società politica mondiale. Il tentativo è di creare una “soggettività pensante”, un’intelligenza collettiva, come direbbe Pierre Levy , come risultato della moltitudine di fermenti, idee, proteste, individui che rappresenta. Ma questa soggettività, sganciata da un territorio specifico, è concepita come una sfida al mondo degli interessi particolari e delle divisioni. Chiarificatore è l’intervento di * : '"Dobbiamo aiutare il mondo intero - e nel nostro piccolo quello italiano/europeo - a disfarsi dell'identità nazionale, dei suoi finti privilegi e sicurezze, le sue decrepite identità e convincerlo che la società non si ferma a Trieste o Siracusa, esiste solo una società umana ed è quella mondiale. E' un salto culturale immenso e faticoso per tutti, anche se non allo stesso modo: il migrante è già pronto, il ministro del lavoro italiano no”. E ancora secondo *: “Indy deve appropriarsi della funzione che sta svolgendo Ruggero e tutte le lobby di mediatori che vivono nel tenere i sistemi sociali divisi. Dobbiamo liberarci di tutta la diplomazia mondiale per trasformarla in pratiche politiche (interne) capaci di affrontare e risolvere i conflitti senza la logica dell'esclusione (non c'è più esteriorità in questo mondo)”. Tra queste parole si può cogliere l’ottimismo utopico dei cosidetti “integrati” della Rete, coloro che sostengono il “mito buono” di Internet, sulla scia dell’ottimismo digitale di Nicholas Negroponte, profeta dell’era cyber e azionista di Wired: “La tradizionale visione centralizzatrice sta per diventare una cosa del passato. La nozione di stato subirà una radicale mutazione [...]. Mentre i politici si dibattono con il retaggio della storia, una nuova generazione, affrancata dai vecchi pregiudizi, emerge dal paesaggio digitale. [...] La tecnologia digitale può essere una forza naturale che attrae la gente in una maggiore armonia mondiale ”. Non stupisce che Internet porti con sé valori talmente forti: nato ormai trent’anni fa, per un paio di decenni ha vissuto una situazione di irripetibili aspettative tra i pochi naviganti che lo sostenevano, tutti acculturati perché vivevano nelle università e tutti interessati a progetti di ricerca comune per far funzionare il network al meglio. Accanto a loro, si stava sviluppando la giungla dei BBS con l’esplosione di centinaia di piccole reti diverse e libere dove si sperimentavano la libertà della comunicazione, l’anarchia del linguaggio, le prime esperienze di comunità virtuali. L’ambiente che si creò all’inizio, fortemente influenzato dall’impronta accademica, e la tecnologia decentrata della rete, sembravano il luogo ideale della democrazia e dell’uguaglianza, dello scambio disinteressato di idee e conoscenze, con l’annullamento delle distanze fisiche e delle differenze gerarchiche tra i partecipanti. Questa idea fin troppo romantica di Internet non tardò ad essere disillusa con la progressiva diffusione della rete e appropriazione della stessa da parte del mondo commerciale. Per Carlo Gubitosa, storico attivista di Peacelink già citato in questo studio, gli anni della disillusione furono proprio quelli che portarono alla scomparsa dei BBS con il boom commerciale di Internet, a partire dal 1995. Per Franco Carlini l'anno di svolta fu invece il 1997. “Sulla copertina del settimanale economico "Business Week" del 5 maggio compariva il grande titolo Internet Communities. Come stanno plasmando il commercio elettronico. Negli stessi mesi due professionisti della consulenza presso Mckinsey and Company, John Hagel e Arthur Armstrong, pubblicavano un altro saggio decisivo, insieme a completamento e correzione di rotta di quello di Rheingold, Net Gain ”. Net Gain fu all’epoca un testo scandalo poiché profanava deliberatamente il mondo rosa della rete disinteressata e democratica passando all’esaltazione della rete-mercato. “Dalle relazioni molto umane tra persone, alle "transazioni" commerciali tra clienti e aziende”. Ormai Internet è la rete-mercato e i tentativi di dissociarvisi sono ristretti a poche nicchie di cybernauti. Indymedia si propone di essere una di queste nicchie, animata da uno spirito fortemente antiautoritario, anticorporativo e critico, anche nei confronti di quella sinistra politica che più facilmente potrebbe rappresentare le istanze dei contestatori per una globalizzazione dal basso. “(…)Indymedia Italia rapppresenterà una rottura rivoluzionaria. Indymedia Italia sarà un telegiornale quotidiano fruibile a qualsiasi ora da chiunque abbia un computer collegato a Internet. In un’epoca di colonizzazione selvaggia della rete e dei primi esperimenti di Web Tv da parte dei grandi monopoli della comunicazione, battendo tutti sul tempo, Indymedia Italia sarà la prima Web Tv italiana con un apparato redazionale organizzato, motivato e indipendente ”.In realtà Indymedia non è diventata proprio questo. Non è corretto definirla Web Tv né telegiornale quotidiano perché le tecniche di streaming audio e video sono utilizzati al massimo delle loro possibilità soltanto in occasioni particolarmente coinvolgenti.

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